di Raffaele Mosca
Stessa spiaggia, stesso mare, stessa giostra di sapori. Ma se Mauro Uliassi ci aveva portato a fare un giro tra porto canale, bagnasciuga, ristorante dello stabilimento e collina che guarda la riviera, Moreno Cedroni ci conduce nel suo mondo interiore: quello del ragazzo innamorato del mare che non ha mai smesso di sondarne gli abissi inesplorati.
“ È una raccolta di piatti che erano finiti su in soffitta” confessa il grande rivoluzionario della cucina marinara mentre si cimenta in una preparazione al tavolo degna di un performance artist. Consiste in un compendio dei suoi cavalli di battaglia il menu “Ricordi d’infanzia”, ma guai a pensare che si tratti di qualcosa di statico, di una compilation di greatest hits concepita per capitalizzare sui successi del passato: “Alcuni piatti sono rimasti uguali, perché erano già perfetti – ci spiega – In altri, invece, ho cambiato parecchie cose, perché bisogna sempre aggiornarsi”.
E aggiornarsi, per lui, significa osservare il mondo, seguire gli sviluppi nelle nuove terre promesse della gastronomia – Perù, Giappone, Scandinavia e via discorrendo – senza, però, dimenticare le proprie origini. E poi non avere dogmi, perché la cucina di mare, rispetto a quella di terra, è rimasta anni luce indietro: troppo appiattita sulla regola apparentemente incontrovertibile del “pesce fresco che va manipolato il meno possibile”, oramai utilizzata come scusa da chi si rifà ad una tradizione generica, senz’anima e senza fondamenti.
Ricordi d’infanzia della Madonnina del Pescatore
Da un ristorante che, nei suoi sotterranei, ospita il CERN dell’Adriatico – un tunnel in cui si fa ricerca chimica ancor prima che culinaria sul pescato – ti aspetteresti un’ apertura con i fuochi d’artificio, di quelle che elettrizzano e conturbano. E, invece, la partenza alla Madonnina del Pescatore è un semplice gelato al parmigiano racchiuso in una cialda – omaggio a Ferran Adrià – abbinato allo straordinario Metodo Classico Extra Brut di Garofoli (affinato sui lieviti per ben 13 anni).
Segue una prima portata che piacerebbe anche ad un bambino: chilcano cocktail con chela granchio fritta sullo stecco. Il millesimo del piatto – si, nel menu sono riportate le annate come se si trattasse di vini – è il 2020. Cedroni si è ispirato al Sudamerica per la panatura – con lime e sesamo in stile peruviano – e per il cocktail a base di pisco e ginger ale che dà una botta di freschezza.
Torniamo indietro di ben ventiquattro anni con la seconda tappa: il 1996 è l’anno della prima stella Michelin. Lo scampo crudo marinato rimane un piatto assolutamente contemporaneo: un trionfo di materia prima appena bilanciato dal dolce-acido dell’ arancia e della vinaigrette di pomodorini. Sulla stessa linea i crudi e cotti (1997), versione sintetica di un altro caposaldo dei pranzi in riviera. Tra i quattro cucchiai spiccano il polpo – meravigliosamente morbido – e la ricciola, viola del pensiero e amaranto soffiato che guarda all’Oriente con i suoi rintocchi umami.
Equilibri pazzeschi tra sapori forti, pervadenti caratterizzano i due piatti che seguono. I primi 2000 sono gli anni dell’apertura del Clandestino – il tempio del “susci” – e la cotoletta di tonno, salsa di cavolfiore e miso, giardiniera e kefir (2002) riafferma il legame tra questa riva dell’Adriatico e il Sol Levante, con miso e giardiniera a smorzare l’untuosità di una frittura classicamente italiana. La creazione dell’inizio del secondo decennio – gnocchetti con patate affumicate, carpaccio di baccalà, cocochas e vongole, salsa di topinambur – oscilla, invece, tra Paesi Baschi e Scandinavia, ed è il frutto della combinazione molto ben riuscita tra affumicato che non sovrasta, acido del topinambur fermentato e l’esplosione di sapore del pesce atlantico. Per il sottoscritto è il piatto della giornata.
Piccolo excursus in terra ferma con un negativo di tortelli della domenica – il parmigiano è liquido e la carne è cruda e sta fuori – e poi si ritorna negli abissi. Niente stagionature di pesce questa volta, ma non potevamo passare di qui senza assaggiare almeno un piatto a base di pesce frollato. La cernia ai carboni, zucca gialla, salsa di zenzero, soia e rum, prezzemolo bruciato (2021) trascorre qualche settimana nella cella del tunnel. In questo lasso di tempo, le carni si rassodano, l’acqua evapora, la consistenza cambia e il sapore diventa più intenso. Gli ingredienti a corredo in questo caso non fanno altro che amplificare sensazioni marine – e umami – travolgenti.
Potevamo chiuderla così, con un dessert rinfrescante . E, invece, lo chef ha altri colpi in canna: arriva con il suo braciere che esala azoto liquido – “ricordo di quando andavo dal medico a togliere le verruche” – e cuoce all’istante un gelato allo zabaione ghiacciatissimo che fa da preludio a un dessert che sa di avanguardia spagnola: “ E adesso che si lava i piatti?”. Siamo noi a completare la performance indossando un guanto e spruzzando del caffè su di una saponetta di pan di spagna, poi cospargendo la superficie di crema e ri-spruzzando. Il risultato? Un tiramisu eccezionale per leggerezza che ci spinge sul serio a lasciare il piatto completamente pulito.
CONCLUSIONE
Trentasette anni di ricerca, di sperimentazione, di resistenza all’omologazione della cucina marinara – e non solo – riassunti in un viaggio attraverso i sette mari sulla nave della memoria di un grandissimo avanguardista. Il tutto con il supporto di una brigata di sala straordinaria: quella capitanata da Mariella Organi – compagna di vita di Cedroni – e dall’esuberante maitre Paolo Rossi, che riescono a ricreare l’atmosfera rilassata, distesa della classica osteria di mare senza, però, rinunciare alla professionalità che occorre per gestire alla perfezione la sala gremita in questa Domenica d’agosto.
Tirando le somme, Ricordi d’Infanzia è un percorso sintetico, riassuntivo, che rispolvera la vecchie glorie della Madonnina del Pescatore, ma rimane comunque attuale, a tratti visionario, perché Cedroni era tanto, troppo avanti già vent’anni fa. Dopo il commiato – con tanto di autografo sul menù – c’incamminiamo sul lungomare di Marzocca con la voglia di ripetere l’esperienza al più presto, e la domanda che sorge spontanea è: perché sulla riviera di Senigallia non brilla una sesta stella?!
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