Il bianco è dappertutto ma non è ostile come la nebbia, sembra una nuvola che – faticosamente – fa da sfondo agli scheletri degli alberi e alle onde delle colline. A fine anno, avanziamo nella campagna marchigiana per nulla assistiti dal navigatore satellitare ma non viene voglia d’arrabbiarsi. L’atmosfera è quasi mistica e quando spunta l’abbadia di Fiastra, capiamo di essere quasi vicini alla meta che, più prosaicamente, è l’agriturismo-enoteca-ristorante “le Case”. Un nome che sembra scelto per aggiungere alla confusione del gps quella di google, caso mai doveste chiedere aiuto ad uno smart phone.
Intorno ad una corte, ecco le “case” che sono piccoli edifici, cresciuti senza l’ordine lezioso di un architetto, reminescenza della storie millenaria di queste terre appartenute al Monastero Farfenze di Santa Vittoria in Mantenato.
Nel più grande c’è l’agriturismo (con una grande e comoda piscina coperta), negli altri c’è il ristorante “tradizionale”, una “sala per sponsali” e il nostro obiettivo: “l’enoteca”, il ristorante mono-stellato che prende il nome dalla sua monumentale carta dei vini (fatevela portare in camera nel pomeriggio così da arrivare preparati a tavola).
Siamo qui per trascorrere il Capodanno, una scelta inedita per chi viene dal Sud o da qualche altro posto lontano, famoso per i capodanni movimentati e rumorosi. La cena dell’antivigilia la trascorriamo all’Enoteca, servizio impeccabile, un grande somellier, tavoli ben distanziati, atmosfera serena e un bel gioco di luci e di penombre, ma la vera prova del nove è la cena di capodanno. Inizialmente prevista dieci metri più in là, al ristorante “tradizionale”, ci ritroviamo invece nel salone per sponsali, la luce accecante (“serve ad esaltare il bianco dei matrimoni” ci spiegano quando chiediamo di abbassarla) depone male.
Le patatine fritte di benvenuto arrivano in uno stereotipato bauletto di cartone (da vietare ormai nei ristoranti come i vasetti a chiusura ermetica trasformati in ciotole), sono solo un frammento dello straordinario fritto di verdure (accompagnato da una gialla maionese fatta in casa) che avevamo mangiato la sera prima.
Si comincia con un classico dello chef: la patata lessa (in crema), tiepida ma poggiata su un gelato alla bieta. Quella del gelato è un ossessione dello chef, un metro espressivo che serve a vivacizzare i sapori della campagna (“il territorio”).
Il piatto che segue resta impresso, è una frittata con “erbe trovate”, presentata nel piatto “sfilacciata” e sormontata da un gelato alle penne all’arrabbiata. Il gioco tra il caldo morbido della frittata e il freddo spigoloso del piccante…meriterebbe il bis. Il gioco di sapori, o almeno il metodo, è lo stesso di uno dei piatti bandiera dello chef (mangiato la sera prima) ovvero il riso cotto nel brodo (con gelato di alloro) e tanto tartufo (caramellato?).
A seguire arriva un curioso cannolo alla siciliana che dolce non è nonostante l’aspetto (e la cialda, perfetta) riesca ad ingannare. La ricotta è mantecata con ortaggi, anice e barbe di finocchio (finocchietto” falso”). A riequilibrare il gioco dolce-salato, arriva il brodo di prosciutto (super!) aggiunto in tavola al piatto.
Il piatto di pasta è un tortello con un bella sfoglia all’uovo ben tirata e riempita di manzo tagliato in punta di coltello, il piatto è definito“boscaiola (di testa mia)”…ottimo il condimento con tartufo, verdure e panna acida..sul resto non mi avventuro vista la criptica spiegazione.
A mezzanotte la cena è ancora in corso ma tutti si alzano per stappare con la bottiglia champagne (Cremant de Borgogna ” Bailly – Lapierre” Pinot Noir intanto comparsa sulle tavole, i camerieri – bravissimi – distribuiscono le pizzette di mezzanotte, condite con una fetta di zampone. Fa felici addentarle mentre si brinda fuori nel freddo della campagna.
Si torna a tavola per un tradizionale agnello che è ottimo per cottura, schiettezza della cucina e della carne (molti delle materie prime vengono dalla fattoria biologica, con ricco allevamento, sui terreni circostanti) ma ha poca personalità. IN chiusura un bel fondente al cioccolato.
Ultima notazione, il prezzo. Per il cenone di capodanno, ottima occasione per tanti ristoratori per raddoppiare i prezzi all’insegna della banalità, abbiamo speso 95 euro a persona, portate multiple accompagnate da una curiosa selezione di vini (serviti in abbondanza): Brut “Ubaldo Rosi” 2004, Colonnara; Riesling “Estate” 2008, Georg Brever; Monferrato “Alterego” 2000, Coppo; Sherry Pedro Ximenez, Williame Humbert.
Se il sommelier ha fatto sentire la sua presenza in sala, unico neo della serata l’assenza dello chef che resterà tumulato in cucina come avvenuto anche la sera prima – un errore, secondo me, vista anche una carta che rende giustizia ai piatti (li spiega) solo nella sua versione inglese, ed a una cucina che meriterebbe di essere “raccontata” meglio perchè parte da materie prime essenziali e povere ma non è mai banale. La modestia non sempre aiuta, persino nell’epoca degli insostenibili chef-star.
Nico Piro
Via Mozzavinci 16/17Tel. 0733. 231897, 0733. 264762
www.ristorantelecase.it
Ristorante chiuso il lunedì, aperto la sera
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