ANTONIO CAGGIANO
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Capolinea. Uno dei rari esempi di Taurasi ai quali possiamo prevedere solo una serena decadenza. Francesca Martusciello ce lo propone curiosa. Il 2002 sì sa, è stato il peggiore anno del vino italiano nel Dopoguerra dopo quello della crisi del Metanolo: annata pessima dal punto di vista climatico, cantine piene per il quasi totale azzeramento del mercato anglosassone, alle prese con i danni psicologici delle Twin Towers. Il Vinitaly stesso sembrava annunciare una vendemmia problematica.
Insomma, come il secolo breve si chiude nel 1989 con l’implosione dell’Unione Sovietica, gli anni ’90 serrano i battenti proprio con la 2002. Molte aziende preferirono non vinificare i loro grandi rossi, il primo segnale di arretramento, un primo sfondamento dei Barbari oltre i confini.
Da allora non è facile dire se siamo in una decadenza piuttosto che agonia o se invece è in un fermento che porta a qualcosa di meglio. Nel Sud sicuramente l’aria è migliore adesso che dieci anni fa, quando si giocava un ruolo marginale.
Salvatore Molettieri anche di recente mi ha detto che è sbagliato considerare la 2002 un’annata minore, io penso che parli dal suo punto di vista, ché, invero, il suo Taurasi è bello snello e a me piace molto di più del tanto decantato 2001, simile ad una rumorosa e intrigante sfilata di cornamuse sotto il castello di Edimburgo.
La 2002 di Caggiano non ha mai avuto storia, a sua volta apre un periodo problematico per l’azienda, coinciso soprattutto con l’ampliamento della cantina, che credo si sia chiuso davvero solo con il Taurasi 2008. E così lo proviamo sul laticauda e il maialino di Angelo D’Amico. Intendiamoci, il vino è assolutamente integro, persino vivo nel colore: anche il naso è persino esuberante, carico di frutta in conserva, tostature di caffé, notarelle balsamiche. Però a differenza della serie degli anni ’90 (precisamente 1994-1999) non è cangiante, assume un tono monocorde, sicuramente privo di cedimenti, ma alla fine un po’ noioso. In bocca c’è la la perdita dello stile azienda che tanto amiamo: in effetti sembra un vino toscano degli anni ’90, assolutamente molle, appena un filo di acidità accennata a tenere in piedi l’impianto che comunque arriva sino alla fine con una chiusura leggermente amara che comunque lascia la sensazione di amarena in bocca. Un Taurasi morbido per me è un ossimoro.
Ecco perché, se ne avete, è il momento di stapparlo e chiuderla lì.
Voltandola in positivo, potremmo sottolineare la capacità enologica di tenere botta all’annata e al calo di tensione psicologica o anche di poter fare il paragone con quanti osarono produrre Taurasi in quella annata sfortunata: in qual caso diventa un gigante, proprio come il 2002 di Molettieri.
Credo, dunque, che la importanza della 2002 è di puro valore documentario in una ipotetica verticale completa.
Scheda del 9 marzo 2007. Quando avevo assaggiato in anteprima, circa due anni, non l’avevo giudicato tra i migliori in quelli, non molti a dir il vero, prodotti in quel disastroso millesimo. Avevo scritto, più precisamente, di questo vino: “Uno dei migliori. Discreto in spessore e pulizia. Molto interessante. Decisamente un (buon) Taurasi!”. Nulla di più sbagliato o quasi. Ciò dimostra due cose.
Primo che gli assaggi in anteprima possono fornire solo indicazioni di massima ma richiedono successivamente una continua ed indispensabile verifica, etichetta per etichetta; secondo che, più in generale, le degustazioni professionali trovano, spesso, un grosso limite nel deglutire solo percentuali irrisorie di liquido vinoso, espellendo la parte più consistente nelle sputacchiere. Non mi resta che recitare il “mea culpa”. Qualche sospetto, per dirla tutta, l’avevo già avuto quando lo scorso dicembre, ospite insieme ad altri giornalisti presso l’agriturismo dello stesso Antonio Caggiano, tra i vini serviti notai, assente ingiustificato, proprio il millesimo in questione.
Ho acquistato, così, (per la cronaca a 25 euro che non mi pare un buon affare visto che da annate piccole ci aspetteremmo altrettanto i prezzi nda) questa bottiglia onde poterne testarne, in privato, il momento evolutivo. La delusione è stata abbastanza cocente e profonda. Il naso si salva solo in parte continuando a essere non del tutto deprecabile. Ci sono spunti interessanti con le note resinose abbastanza tipiche di questo cru, solo forse un tantino più verdi del solito complice, più che probabilmente, la materia prima non esaltante proveniente dalla difficile vendemmia. Ci sono, per la cronaca, anche vaghi spunti minerali e qualche strana sensazione che definirei addirittura chimica per la sua anomala ed insistente pungenza aromatica. È, però, al palato dove proprio non riesce a convincere ed, anzi, con il suo finale scomposto ed amaro conferma tutte le perplessità di un’annata decisamente minore. (Fabio Cimmino)
Sede a Taurasi, Contrada Sala. Tel efax 0827.74043. www.cantinecaggiano.it. Enologo: Marco Moccia. Ettari:20 di proprietà. Bottiglie prodotte:100.000. Vitigni: fiano, greco,aglianico.
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