ANTONIO CAGGIANO
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Sapete di come stia centrando le mie riflessioni sulla questione del tempo, di come sia un ingrediente indispensabile per valutare vini come il Fiano di Avellino e l’Aglianico.
Moio ha conosciuto il tempo nel vino studiando in Francia, ma si è scontrato con la fretta tipica del parvenue, ossia del vino italiano nato dopo la crisi del metanolo. Fatte sempre le debite eccezioni.
La fretta del tutto e subito, risultato che sicuramente è possibile ottenere con alcuni vitigni e alcuni vini, ma sicuramente non con l’Aglianico e Fiano.
A questo aggiungete l’uso del tempo come strumento tipico dell’Accademia: la lunghezza delle ricerche, degli studi, delle carriere, dell’arrivo dei risultati, in una gestione antica e sicura. In ogni caso opposto all’idea moderna della fretta senza tempo, in cui è indispensabile arrivare primi e poi magari recuperare errori e dimenticanze dopo aver raggiunto lo scopo.
Il 1998 spunta, dopo sei anni pieni da questa scheda, nei meandri della cantina di Mario Sposito a Brusciano.
Abbiamo di fronte un Aglianico, non dirò quale, ma in ogni caso non irpino, che aveva velleità nel 2003 di essere un top wine. Lo apriamo, sentiamo cuoio, ma il colore è stanco e il palato non ha energia, non ha interesse a trasmetterti più nulla, il vino è assorbito da se stesso, dalla sua necessità di sopravvivere.
Per questo si decide di scendere di altri cinque anni e prendere questa bottiglia del 1998, annata non facile e densa di problemi in cantina. Esce un vino dal colore perfetto, rosso rubino brillante, il naso ricco di frutta ancora matura, pochi indizi di terziarizzazione, tanta freschezza, ma soprattutto finezza di tannini ed eleganza.
Una beva compiutamente ovale nel palato, capace di regalare solo piacere, con alcol, corpo, tannini e acidità in equilibrio assolutamente perfetto.
Ed è allora che penso: ma se Moio non ci fosse stato in Campania avremmo avuto solo vini stanchi e polverosi come il 2003 che non abbiamo più bevuto? Probabilmente no, tutti sono necessari ma per fortuna nessuno è indispensabile.
Sono però anche sicuro che le cose sarebbero andate molto diversamente perché questo 1998 dimostra una cosa: che Moio aveva ben in testa, con sole cinque vendemmie di aglianico alle spalle, il suo progetto di vino. E che questo progetto è assolutamente capace di attraversare lungo il tempo, avvicinandosi molto di più a Bordeaux pre-Parker che alla Borgogna per la volontà di espressione di potenza mediata da una veste bilanciata.
Il tempo di Moio è il tempo del vino, o quanto meno dell’Aglianico.
Uno dei problemi veri del distretto irpino è che c’è poco tempo in cassaforte, ed è quasi tutto di Mastroberardino. Moio è il secondo, cosciente, costruttutore di tempo. Due è meglio di uno, ma molto peggio di dieci, quindici.
Quanti dovrebbero essere cioé quei protagonisti capaci di ragionare su questo versante.
Purtroppo non ne vedo molti all’orizzonte. E così ogni anno ci troviamo a descrivere come sono venute le pummarole invece di assorbire le emozioni del tempo.
Questo 1998 dimostra che il Taurasi può essere grande, se si aspettano una decina di anni e se non si fanno operazioni caricaturali: perché in questo caso non è solo la resistenza vitale a stupire ed emozionare, ma anche l’anima del vino.
Se, insomma, non si ha fretta e se alla miopia ragionieristica si sostituisce la lungimiranza commerciale.
Scheda dell’11 gennaio 2007. Una bella iniziativa della condotta Slow Food dell’Alta Irpinia a Sant’Andrea di Conza ha messo a confronto l’Aglianico di Taurasi con quello del Vulture: per la prima volta i due giganti della viticoltura meridionale si sono incontrati ufficialmente in un convento meraviglioso da cui si domina tutta la Valle dell’Ofanto, a mezza strada fra i due terroir, uno spicchio di Campania proprio al confine con la Basilicata nella zona del Vulture da scoprire e completamente sconosciuta.
Qui si è svolta la verticale incrociata fra due aziende che amo molto, la Cantina di Venosa che ha presentato il Carato Venusio1997, 1999 e 2001, e Antonio Caggiano con il suo Macchia dei Goti 1998,1999 e 2001. Il confronto è stato interessante anche per verificare il bicchiere nelle due annate corrispondenti e devo dire che è stata una sensazione molto chiara di uniformità climatica: come abbiamo già avuto modo di scrivere, il 2001 è una annata molto ricca di carattere che adesso inizia ad esprimersi al meglio dopo alcuni anni passati in sordina.
Ma in questa sede è del 1998 che voglio parlare. Nella degustazione verticale svoltasi a gennaio 2005 a Positano, l’unica sinora di Caggiano, ma vi prometto che quest’anno tocca a me organizzarne una memorabile a partire dal 1994, Gaetano Marrone, fiduciario Slow di zona e grande appassionato oltre che intenditore, ha espresso un giudizio molto secco e negativo definendola <la mia parziale delusione. Vino già dal colore piuttosto diluito, una sorta dimezzo aborto laddove tutte le sensazioni risultano attenuate, smorzate>.
Devo invece dire che esattamente a due anni di distanza da questo descrizione la situazione è stata diversa a livello olfattivo e gustativo.
Dopo ormai nove anni dalla vendemmia devo registrare al naso una elegante pulizia olfattiva ricca di sentori speziati, ancora un po’ di frutta, note balsamiche. L’impatto non è violento, cioé non c’è grande intensità, ma buona persistenza. In bocca il vino è apparso composto, in equilibrio fra tutte le sue componenti, senza alcuna traccia di cedimento sul fronte della freschezza che è quello che più conta in questi casi. Certo, questa bottiglia ha avuto il vantaggio di restare in cantina sino a un paio d’ore prima della degustazione, ma io penso, rispetto alla prova di due anni fa riportata da Gaetano anche pubblicata sulla Guida ai vini della Campania, che molto abbia giocato positivamente l’evoluzione del tempo.
Ho visto il volto di Antonio visibilmente soddisfatto quando abbiamo provato il1998 e non vi nascondo che è stato il mio bicchiere della staffa al termine della degustazione secondo una mia abitudine ormai consolidata: provo tutti i vini e poi decido alla fine quale bere davvero. Ancora una volta, ormai l’esperienza davvero si sta accumulando vendemmia dopo vendemmia, si è dimostrato la impressionante longevità del Taurasi. Rispetto ad altri 1998, in genere vini difficili ed esuberanti, ho notato una nota di finezza e di elegante che me lo fa preferire decisamente. Lo abbino a piatti di carne non eccessivamente strutturati.
Sede a Taurasi, Contrada Sala. Telefax 0827.74043. www.cantinecaggiano.it. Enologo: Marco Moccia con i consigli di Luigi Moio. Ettari: 20 di proprietà. Bottiglie prodotte:100.000. Vitigni: aglianico, fiano di Avellino, greco di Tufo
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