ANTONIO CAGGIANO
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Voto 5/5. Naso 25/30. Palato 26/30. Non omologazione 32/30
Bene, mentre voi ve ne stavate oggi accalcati al sole della costa a mangiare freselle e gelati industriali io ho goduto a piene narici dell’Irpinia. Avevo da festeggiare l’arresto di Rebeccah Brooks, esempio di quell’avidità editoriale che ha tolto pathos al giornalismo.
Ho goduto guidando sul Formicoso di Vinicio Capossela tra pale eoliche e campi di grano e lungo la valle dell’Ufita assolata e deserta. Ma cosa spinge a questa follia. Beh, meno male: sole sui bronchi e venticelli ristappo il 1997 su agnello alle erbe, piatto della tradizione irpina di luglio.
Cosa devo dirvi di più. Il vino sta bene, molto bene. Ha una spanna boriosa di acidità che ha iniziato a camminare da sola mentre la materia inizia a scarnificarsi. Segno di un lungo invecchiamento iniziato, speriamo di beccarne altre in giro di 1997 nei prossimi anni.
Il contraltare a questa materia non più imponente è il discoso sull’uso della barrique: nel 1997 nessuno pensava di contestarne la presenza, era anzi motivo di orgoglio avere e farle funzionare a pieno regime. Eppure qui il piccolo legno è dosato con sapienza millimetrica, davvero eccezionale per l’equilibrio. Segno dunque che si era partiti molto bene, le cadute caricaturali sono avvenute dopo e altrove, ma sono ovviamente ricdaute a livello impressionale su chi aveva iniziato.
Invece, se proprio devo dirla tutta, si ha la sensazione di essere di fronte ad una vinificazione di tipo tradizionale, non spinta, molto buona.
La felicità di stare nel posto giusto con la persona giusta. Per l’ennesima volta con la bottiglia adatta.
Scheda del 6 settembre 2010. Si becca questa storica bottiglia all’Oasis di Vallesaccarda con Nicola Campanile e Franco Ziliani e piace. Una cosa è stata possibile fissarla con assoluta certezza in tuti questi anni: l’Aglianico è assolutamente indifferente allo scorrere del tempo, qualunque sia stata la lavorazione. Per gli appassionati Caggiano infatti non è meno importante di Mastroberardino quando si fanno considerazioni sulle possibilità di elevamento dei vini. Si tratta infatti in assoluto della prima azienda ad aver inserito la barrique, era il 1994, nella lavorazione.
Diventa dunque interessante capire gli effetti sui tempi lunghi su questo vitigno scorbutico e difficile. Abbiano già parlato del Macchia dei Goti 1994 in modo entusiastico appena un anno fa.
La barrique ha fatto molto anni ’90 conferendo ai vini spesso toni olfattivi un po’ invasivi come le note balsamiche, la menta, la vaniglia, la liquirizia che adesso vengono decisamente respinti dagli appassionati perché il risultato di queste pratiche è stata una sorta di omologazione dei vini.
Ma, come sempre accade, non è lo strumento il nodo del problema, bensì il suo uso. Come tutto.
In questo caso possiamo dire che l’uso del legno, preceduto sapientemente da una vinificazione in acciaio più facile da controllare e in un certo qual senso sempre più espressiva del frutto, ha contribuito bene alla stabilizzazione del vino e alla sua saggia evoluzione.
La 1997, come tutte le annate un po’ esuberanti, non ci fa molta simpatia. Definita la vendemmia del secolo in pieno boom Brunello, con cinque stelle a pioggia su tutte le tipologie, compresao il Taurasi, in realtà ha dimostrato di non saper contenere bene e domare la materia in assenza di risorsa acidtà necessaria.
Un difetto/qualità di cui l’aglianico notoriamente abbonda. Così le note di foglie secche, pomodoro e peperone secco, fumè, lasciano comunque spazio ad una buona confettura di more. Un vino un po’ cicciotello insomma, straei per dire piacione ma non nel senso di ruffiano. Piacione perché tutto sommato facilmente leggibile da chiunque.
In bocca, come sempre, l’Aglianico rivela a fondo la sua personalità. Come il Greco, in realtà non è un vino da olfatto ma da beva. Ottima la tensione acidà, in bocca ritornano soprattutto i sentori di conserva e un po’ di tostatura di tabacco, il cammino è molto piacevole dopo un ingresso non dolce: un vino, insomma, nonostante la barrique, ben lontano dai modelli toscaneggianti dell’epoca, ovale e non rotondo, dinamico e non palloso. Si dispiega ampiamente prima sulle fasce laterali e poi occupa il centro lingua proseguendo deciso sino in fondo, alla chiusura netta e pulita, con una punta di amaro non sgradevole che ripulisce completamente il palato.
Gran bel vino, insomma. La conferma dell’affidabilità di Caggiano e della impostazione di Luigi Moio a cui il tempo lungo giova sempre e comunque.
Sede a Taurasi, Contrada Sala
Tel e fax 0827.74043
www.cantinecaggiano.it
Enologo: Giuseppe Caggiano
Bottiglie prodotte: 150.000
Ettari: 20 di proprietà
Vitigni: aglianico, fiano di Avellino, greco di Tufo
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