Antica Trattoria e Pizzeria Da Donato dal 1956
Via Silvio Spaventa, 41 (Porta Nolana)
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso lunedì
Tel. 081 287828

di Carmen Autuori
Al netto della cloche con la veletta, sostituita da una graziosa cuffia da cucina che incornicia i grandi occhi azzurri e profondi come il mare di Capo Posillipo, Marilena Amoroso, cuoca e titolare dell’Antica Trattoria Da Donato 1956, è la trasposizione nel mondo reale di donna Rosa Priore, la protagonista di uno dei capolavori eduardiani: “Sabato, domenica e lunedì”.
I tratti salienti ci sono tutti: la famiglia di stampo matriarcale, comprese le zie nubili che a Napoli si chiamano “monache di casa”, i momenti bui quando ha rischiato di annegare in un mare di sofferenza, il grande amore, le lotte per mettere a posto i pezzi del puzzle che si chiama vita, le sfide portate avanti in nome della sua identità di donna prima e di ristoratrice di successo poi, in un quartiere – Mercato Pendino – al di fuori dei circuiti dei gagà (oggi si chiamano gastrofighetti) della Napoli ‘alta’.

A fare da sfondo il profumo del ragù e in generale quello del ‘cucinato’ che inondava le stanze della casa paterna: “non ricordo di essermi mai svegliata con l’odore del caffè – mi racconta tra il serio e il faceto – come sottofondo il rumore del cucchiaino nel bicchiere“, era mamma Angela che preparava rinforzanti zabaglioni per i piccoli di casa, una volta si usava così. Da lei – e da tutta la schiera di donne che abitavano nel grande appartamento – ha interiorizzato il senso più profondo del nutrimento.
Marilena è nata alla Ferrovia, a pochi metri da Porta Nolana, tra via San Cosimo Fuori Porta Nolana e via Silvio Spaventa, nei vicoli scampati al Risanamento dove ancora l’intestino di una Napoli squarciata “restano esposti alla luce del sole”, come scrive Pietro Treccagnoli in La Pelle di Napoli. Lì sono le radici della sua famiglia e da lì non ha mai pensato di andare via.
Sebbene l’insegna della trattoria riporti la data 1956, la storia degli Amoroso iniziò molto prima, nel 1930, con nonno Donato, garzone di pizzeria e proseguì con i cinque figli tutti impegnati nel mondo della ristorazione.
Papà Vittorio con il fratello Salvatore nel 1956 aprirono, a pochi metri dalla sede attuale, proprio in via San Cosimo il loro locale che oltre alle pizze proponeva anche dei piatti pronti, quelli tipici della cucina napoletana di casa, spesso destinati anche all’asporto.
Con il passare degli anni la pizzeria – trattoria diventò punto di riferimento soprattutto per i residenti dei quartieri limitrofi e per qualche cliente di passaggio che frequentava la zona Mercato, all’epoca luogo nevralgico per commercianti di stoffe e abbigliamento che andavano a rifornirsi presso i grossisti.
Marilena, al centro dell’attenzione di nonne, zie e mamma Angela che vigilava attentamente sulla sua educazione, trascorreva le giornate tra la scuola, l’università (ha studiato lingue), la cucina i cui fornelli non venivano mai spenti e le sortite in trattoria per vedere il papà la cui vita si svolgeva dietro al banco delle pizze.
Nel frattempo, assorbiva come una spugna tutto lo scibile che concerne la cucina napoletana verace, prendeva appunti in quaderni conservati gelosamente anche oggi. Ma il suo pallino fisso restava la trattoria che agli occhi di bambina prima e di giovane donna poi, rappresentava un luogo magico, crocevia di incontri, di confronti, di relazioni interpersonali che ruotavano intorno alla tavola. Ma i tempi non erano ancora maturi per Marilena.
Poi tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio il locale subisce una battuta d’arresto complici i cambiamenti epocali iniziati in quegli anni nel mondo della ristorazione, ma non solo, cui Vittorio e il fratello facevano fatica ad adattarsi anche a causa dell’età non più giovanissima. Marilena cominciò a frequentare più assiduamente il locale, occupandosi prevalentemente della sala. Poi accadde che lo zio Salvatore lasciasse l’attività, la cucina restava scoperta mentre resisteva al banco delle pizze papà Vittorio.
<<Ricordo che quello fu l’anno in cui il locale restò chiuso per l’intero mese di agosto – racconta Marilena -, era giunto il momento di scendere in campo in prima persona. E lo feci a gamba tesa, cominciando dall’arredamento, riutilizzando tutti gli antichi utensili di famiglia, le teglie in rame, i mestoli, le padelle che divennero elementi di arredo: una sorta di storia visiva della nostra tradizione di ristoratori. Rinnovai tutto il tovagliato e volli mantenere il nome “Da Donato”, sarebbe stato semplice cambiarlo e ricominciare da zero, ma non l’ho fatto perché è facile costruire sul terreno fertile, mentre la mia sfida fu quella di riportare alla luce tutto quello che il nostro locale aveva espresso negli anni, ovvero la tradizione della cucina napoletana autentica. E per fare ciò bisognava partire da una materia prima di qualità, non dimentichiamo che quelli erano gli anni in cui sulla pizza si usava l’olio di semi. Oggi sembra un fatto scontato, allora non lo era per niente. Ovviamente non è stato facile, ho dovuto fare i conti con uno status quo che durava da oltre mezzo secolo, abbattere le resistenze soprattutto di mio padre. Ricordo che il primo giorno cucinai l’impossibile, si presentarono solo dodici commensali. Ma non mi sono mai arresa, ho lavorato sempre grazie al passaparola, ovviamente all’epoca non esistevano i social. Ancora oggi è questa la mia filosofia che sul lungo termine si è rivelata vincente>>.
Oggi nella trattoria si assiste ad un’inversione di tendenza rispetto a molti altri locali: nei week end i clienti sono soprattutto napoletani, mentre i turisti scelgono Da Donato grazie alle guide e ai motori di ricerca, raramente si ferma gente di passaggio.
Quella del nome non è stata l’unica sfida di Marilena, anzi. Forse la più importante, invece, è stata quella di voler mantenere a tutti i costi un rapporto leale con i clienti in termini prima di qualità e poi di prezzo.
<<Stiamo tornando agli anni Settanta – precisa – quando il turista era solo un numero da sfruttare al massimo, tanto sarebbe venuto una volta e poi mai più, una cosa davvero deplorevole, tanto quanto presentare Napoli come una caricatura di sé stessa. Non capisco perché un patrimonio quale è la nostra gastronomia debba essere ridotto ad un “triccheballacche” per essere cannibalizzato dal turismo di massa.
L’unico modo per arginare questo fenomeno, e non ho paura di essere impopolare, è quello di conservare un’identità netta e precisa, in altri termini non sempre giova adeguare l’offerta alla domanda>>.
Dieci anni fa, come dicevamo, il locale si è spostato di pochi metri dalla sede storica. L’arredamento rustico, ma fresco nei colori e nei materiali, parla della storia della famiglia Amoroso: alle pareti gli antichi utensili di mamma Angela, i lampadari sono delle originali composizioni di vecchie pale da forno oppure pentole di alluminio.
All’ingresso campeggia una scritta che sottolinea l’amore per la cucina di Marilena, mentre in un angolo è posizionata la statua realizzata per lei dal maestro Marco Ferrigno. Cucina a vista ma non esibita e in un angolo il forno a legna per le pizze che non viene mai spento: è un omaggio a papà Vittorio scomparso qualche anno fa. In sala il marito Ciro Addo e il figlio Francesco, suoi insostituibili collaboratori. Inutile sottolineare che la loro filosofia è la stessa di quella di Marilena: l’accoglienza attenta e professionale, mai folkloristica.
La cucina di Marilena Amoroso
Quella di Marilena, ça va sans dire, è una cucina senza fronzoli, di grande materia prima, con qualche guizzo di fantasia, sempre ben calibrato, come nel caso dei crocchè di baccalà e friarielli oppure della polpetta di melanzana in crema di parmigiano. Ma il suo vero punto forte è la pasta.
<<Pasta per me è casa, è il primo nutrimento, è ancestralità. Un piatto di pasta ben eseguito appaga gli occhi, è una iniezione di serotonina e soprattutto allontana l’incubo della fame che storicamente ha attanagliato il popolo napoletano e ne ha aguzzato l’ingegno. Penso agli Spaghetti alla puveriello, nati nell’immediato Dopoguerra, quando ‘i criaturi nascevano niri, niri’, oppure alla pasta e patate, al riso e verza, allo stesso scammaro che, al netto dei precetti religiosi, è un piatto realizzato con ingredienti disponibili in tutte le case. Tutte pietanze che continuo a proporre nella mia trattoria>>.
È con il ragù che Marilena esprime il meglio di sé: tre giorni di cottura, la carne mista, le salsicce, l’immancabile cucchiaio di sugna, mai la braciola perché l’aglio contenuto nella farcia andrebbe a turbare i perfetti equilibri tra pomodoro e carni. Bandite anche le polpette che vanno cotte in un sugo a parte. Lo stesso ragù è protagonista de La Scarpetta: montanarine servite nella padella di rame da intingere nel voluttuoso intingolo. Nota a margine: qui è bandito il concentrato di pomodoro, la chef lo ricava dai bordi della pentola durante la lunghissima cottura.
Non è da meno la Genovese: cipolla di Montoro, muscolo scelto personalmente da lei (mamma Angela era figlia di macellai), il gambetto di prosciutto e gli ziti o i mezzanelli rigorosamente spezzati a mano.
Sempre in carta la pasta e fagioli, sia di terra che di mare con le cozze, i Manfredi con la ricotta, gli spaghetti alla Nerano quando è stagione e uno Scarpariello da manuale. Su prenotazione anche i bucatini con il soffritto che a Napoli si chiama Zuppa Forte.
Non mancano le zuppe, quelle di legumi, l’intramontabile scarola e fagioli e il pane cotto con gli scarti dei friarielli, ovvero i gambi e le foglie più dure.
Discorso a parte meritano i cosiddetti contorni: per Marilena rivestono un’importanza fondamentale sia a chiusura del piatto come nel caso delle polpette mai servite senza una forchettata di friarielli, sia come piatto a sé, buonissime le parmigiane.
I fritti sono quelli della tradizione, zeppolelle di alghe o di verdure di stagione, crocchè a regola d’arte, verdure pastellate.
Per i secondi imperdibile ‘o ruoto ‘o furno, capretto, agnello oppure spezzatino di manzo (rigorosamente muscolo), patate, cipolle, piselli e qualche pomodorino. Il segreto? La teglia di alluminio pesante e la cottura nel forno a legna.
<<Questa è una pietanza inventata dai pizzaioli – racconta -, io la propongo spesso perché omaggia l’arte del mio papà. Il nome deriva dal fatto che va preparata in una teglia rotonda (ruota) che deve “roteare” per evitare che la pietanza bruci>>.
Qui potete ancora trovare le uova in Purgatorio, un altro piatto povero realizzato con il ragù avanzato.
Il pesce è quello che offre il mercato, le alici sia fritte che in tortiera non mancano mai, così come il polpo all’insalata e il baccalà.
Dimenticate i crudi, non appartengono alla tradizione napoletana, almeno a quella delle trattorie. Una volta si consumavano dall’ostricaro, per strada, “gli scenografici fumi lasciamoli alle discoteche”, precisa non senza una punta di fastidio.
Buona anche la proposta delle pizze, di stile napoletano, circa una quindicina dalla marinara alla margherita, alla provola e pepe e ai quattro formaggi. Speciale la “Ciro fa’ tu” con il ragù denso denso e la Genovese. Il pizzaiolo Gennaro Celentano è da quindici anni al forno della trattoria – pizzeria.
Una caprese da urlo e la torta di ricotta e crema di limone rispettano scientificamente i ricettari di famiglia, unica concessione all’innovazione è la pastiera al bicchiere.
<<Sai quando smetterò di stare in cucina? Quando non sentirò più il cuore battere mentre sono ai fornelli>>, mi confessa un attimo prima di salutarci.
Questa è Marilena Amoroso, una rivoluzionaria.
Se donna Lionora (Eleonora Pimentel) che sicuramente è passata per quelle strade prima di essere condotta al patibolo in piazza Mercato, la stessa piazza dove è vissuta Bernardina Pisa, moglie di Masaniello, ha combattuto per gli ideali di libertà finiti ne “il resto di niente”, la rivoluzione di Marilena contro i luoghi comuni, la cucina napoletana farlocca ed il folklore scontato continua ogni giorno in nome di due ideali: l’identità e la famiglia.
Antica Trattoria e Pizzeria Da Donato dal 1956
Via Silvio Spaventa, 41 (Porta Nolana)
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso lunedì
Tel. 081 287828
1-Catia Corbelli,l’ostessa di Mormanno
2-Alessandra Civilla, la prima donna di Lecce
3-Angela Mazzaccaro, la regina dei fusilli di Felitto
4-Angelina Ceriello, I Curti di Sant’Anastasia
5-Stefania Di Pasquo, Locanda Mammi ad Agnone
6-Giovanna Voria, Corbella a Cicerale
7-Caterina Ursino dell’Officina del Gusto a Messina
8-Maria Rina, Il Ghiottone di Policastro
9-Mamma Rita della Pizzeria Elite ad Alivignano
10-Valeria Piccini, Da Caino a Montemerano
11-Mamma Filomena: l’anima de Lo Stuzzichino a Sant’Agata sui Due Golfi
12-L’uomo cucina, la donna nutre – a Paternopoli Valentina Martone, la signora dell’orto del Megaron
13- La vera storia di Assunta Pacifico del ristorante ‘A Figlia d’ ‘o Marenaro
14 -Veronica Schiera: la paladina de Le Angeliche a Palermo
15 – Laila Gramaglia, la lady di ferro del ristorante President a Pompei
16- L’uomo cucina, la donna nutre – 16 Michelina Fischetti: il ponte tra passato e futuro di Oasis Sapori- Antichi a Vallesaccarda
17 Bianca Mucciolo de La Rosa Bianca ad Aquara
18 Alice Caporicci de La Cucina di San Pietro a Pettine in Umbria
19 A Casalvelino Franca Feola del ristorante Locanda Le Tre Sorelle
20 Carmela Bruno, l’ostessa longobarda dell’Osteria La Piazzetta a Valle dell’Angelo
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