di Giustino Catalano
Che il nostro sia un mondo davvero strano non v’è dubbio. E men che mai che, in un mondo così strano, la gente non si accontenti di essere ma cerchi di diventare ancora più strana del mondo che la circonda.
Così nel campo della lievitazione, e soprattutto in pizzeria, a immensi progressi che hanno consentito di servire pizze sempre più leggere, quasi aeree, hanno cominciato a far seguito le “sperimentazioni”.
A far da cavie spesso i clienti che vengono, a loro insaputa, esposti a nuove ricerche, talvolta scientificamente fondate e testate e altre assolutamente gestite con l’empiria di chi non sa quel che fa ma ha la supponenza di saperlo. Discernere su se sia cosa fatta con i giusti controlli o meno è difficile davvero. Soprattutto per il consumatore che oltre al quotidiano bombardamento di “idiozie” spesso si trova a dover subire la novità come il “lampo di genio”.
Per capirci, ad esempio, anni fa imperversò la moda dell’acqua di mare. Cominciarono come sempre gli chef stellati di un certo livello e, via via, si unirono al coro un po’ tutti sino ai pizzaioli.
Qualche disattento giornalista amplificò la notizia facendo divenire la cosa come la scoperta dei “quanti di luce” e il gioco fu fatto. La pizza all’acqua di mare che propose più di un amico pizzaiolo divenne per un periodo di tempo un must.
Nessuno che si sia chiesto che differenza passava tra l’impasto con l’acqua di mare e l’impasto secolare con acqua e sale. E tutti a bersela questa “sciocchezza salata” senza domandarsi se l’acqua di mare non sia acqua e sale.
Ma fin qui poco male. Acqua e sale assumevamo prima e acqua e sale abbiamo assunto con l’acqua di mare!
Tempo fa però sono sobbalzato dalla sedia quando ho letto su questo sito di una pizzeria dove, si riferiva testualmente: ”L’impasto a 60 ore complessive di maturazione (pre-fermento solido) è impalpabile, leggero, idratato, ed è ottenuto senza aggiunta di lievito chimico, ma con acqua fermentata (che in questo caso vede l’impiego della mela annurca), assicurando al morso scioglievolezza e morbidezza.”
Ho letto e riletto più volte e mi sono ricordato dei numerosi appelli e grida di allarme giunte sul web da più parti in merito alla fermentazione spontanea, una cosa che va molto di moda anche nel mondo del vino.
Ma per gradi!
Cosa è la lievitazione con acqua fermentata?
Né più e ne meno una fermentazione spontanea dove il processo di degrado e trasformazione di zuccheri e talvolta amidi, attraverso la spinta di batteri, avviene senza alcun controllo. O meglio, si potrebbe ottenere con controllo ma in un laboratorio chimico con l’attenta gestione sia strumentale che umana di professionisti del settore (e non parlo di pizzaioli ma di microbiologi, biochimici e chimici!).
Per capirci la pratica, PERALTRO VIETATA DALLA LEGGE, non è nuovissima ma davvero antica come l’uomo.
Provenendo da una famiglia contadina ho mangiato pani i cui lieviti sono stati innescati con frutta secca, succo di frutta, frutta fresca, cacca di cavallo (si quella!!) ecc.
Si mangiava perché costava meno dell’acquistare il lievito e perché eravamo sostanzialmente ignoranti. E pertanto il “finire al bagno” era il colpo di freddo o l’ingordigia con la quale si era mangiato ma giammai il pane. Quello era santo. Anche se fatto con la cacca di cavallo!
Ma a quanto pare il mondo è progredito ma gli ignoranti (intesi come coloro che ignorano, che non sanno) sono rimasti.
In prima battuta mi son voluto sincerare che le informazioni in mio possesso non fossero errate o “datate” dalla mia età e da uno scarso studio della materia che magari, negli ultimi anni si era evoluta.
Il primo a dare conforto alle mie parole è stato il sito di Piero Nuciari – grande conoscitore della materia e punto di riferimento per le questioni giuridiche legate ad Annona e Igiene, il quale nel riportare le seguenti indispensabili premesse allega un interessante articolo della dottoressa Simona Lauri.
Nuciari spiega che “….Per realizzare questi impasti si parte da culture che spontaneamente si sviluppano fermentando in una soluzione di acqua e zucchero, in laboratori non adeguati, gestiti da soggetti che spesso non hanno alcuna formazione microbiologica specifica. E’ da sottolineare che le culture “spontanee” sono senza alcun controllo e che, molto probabilmente, viene sottovalutato il pericolo che si cela dietro questo nuovo sistema di lievitazione, ovvero che si può sviluppare qualsiasi microrganismo (patogeni compresi) e che la cottura tempo/temperatura a cuore del pane (90°C) e della pizza non garantisce la sicurezza igienica.”, concludendo che: “In pratica l’utilizzo di questi impasti/acque in fermentazione è estremamente rischioso da un punto di vista microbiologico e quindi di salute nel prodotto, tale da ipotizzare non solo la Frode in Commercio”.
A supporto di quanto affermato la dottoressa Simona Lauri ha sostenuto:
“Partendo dal presupposto che da secoli si usano in mille modi e per fare qualsiasi cosa è anche vero che una gestione incontrollata di esse può portare per esempio a bombaggi indesiderati, esplosioni, contaminazioni rischiosissime, perdita di fatturato da parte di Aziende e anche alla morte del consumatore per la presenza di tossine prodotte da Eumiceti, sviluppo di patogeni come C. botulinum, oppure problematiche gravi e importanti come le infezioni, tossinfezioni ecc. Ora questo è un discorso generico per dire che a livello casalingo o professionale artigianale non controllato rigorosamente, i rischi microbiologici legati alle fermentazioni spontanee sono molto elevati e pericolosi. Se da una parte qualche sprovveduto pensa di fare “innovazione” nel settore dell’Arte Bianca (nulla è innovativo anzi esattamente il contrario!), dall’altra occorre avere nozioni specifiche in quanto si può veramente incorrere a sviluppi di patogeni molto pericolosi se tali fermentazioni appunto casuali/spontanee sono condotte con faciloneria estrema pensando che tutto sia lecito e facile.
Un conto è lavorare in condizioni adeguate tipiche delle Aziende, camere asettiche, verifiche microbiologiche, ecc. con personale qualificato, un conto è fare “qualche cosa” in una realtà artigianale contaminata da non si sa quale forma microbica, con nessuna cognizione da parte degli operatori professionisti, fare corsi ad altri professionisti (quello che sta succedendo) divulgando tali teorie senza cognizione alcuna di microbiologica, igiene degli alimenti e HACCP, ma cosa ancora più grave, non avere costantemente sotto controllo il fenomeno con opportuni “piastramenti”, identificazioni colturali, conta microbica ecc. ecc. Non parliamo poi delle denominazioni di vendita errata dei prodotti che il Maestro che tiene il corso consiglia a tutti i partecipanti: “Pane/pizza senza lievito”.”
Parole molto dure che non lasciano spazio a interpretazioni dubbiose.
Non pago, però, ho voluto chiedere a persone che ritengo di rilievo nel settore e da una persona che erroneamente temevo avesse le stesse abitudini e dal quale ero stato giorni prima a mangiare una pizza, senza alcun effetto negativo successivo val la pena di rimarcare.
A tutti e tre ho posto la stessa domanda. “Cosa ne pensi della fermentazione spontanea?”
La risposta in ogni caso è stata identica alle valutazioni precedenti ma la riporto.
Il pizzaiolo dal quale ero stato a mangiare la pizza e mi ero posto il dubbio se avesse pari sistema lavorativo (non serve spiegare il perché) era Pietro Fontana il quale alla domanda mi ha risposto:
“Non è pratica che adopero assolutamente e per vari motivi. In primo luogo perché si tratta di attività non consentita dalla Legge o se lo è sotto specifici controlli che io personalmente non sono in grado di garantire. E poi soprattutto perché non è gestibile sia da un punto di vista della costanza di risultato che dal punto di vista del controllo dei rischi che derivano dal suo impiego come attività di starter degli impasti. Ci sono tante strade più semplici che non vale la pena di complicarsi la vita. Oggi la tecnologia e lo studio delle lievitazioni, applicato a molta esperienza e gavetta, consente di ottenere in piena sicurezza eccellenti risultati”
Grande esperto di impasti e lievitazioni, noto anche per l’essere stato tra i primi a fare una pizza 100% segale con doppia tecnica di impasto Patrick Ricci è partito, invece, rispondendo con una domanda: “Ma perché? Perché complicarsi la vita se non si hanno i mezzi e le conoscenze per gestire una cosa così pericolosa? La nostra attività, per nostra fortuna e capacità di approfondimento ci ha portato a studi e risultati conseguenti che ci hanno messo in condizione di poter ottenere un prodotto pizza che è sicuramente di gran lunga superiore a quello che si otteneva 30 anni fa.
Se non si ha un laboratorio chimico e le dovute competenze quest’esercizio è pericolosissimo. Ne penso male. Malissimo. Ma poi per farne cosa? Mettere a rischio la salute dei propri clienti?
Ecco questa è la riprova che la nostra categoria non è ancora sufficientemente istruita. Ma quanti sanno che nella farina già esistono dei saccoromiceti, che alcuni mulini ne aggiungono. Con che criteri si ha la pretesa di innescare fermentazioni incontrollate”.
Per capirci i timori di Patrick Ricci non sono da sottovalutare. Diciamolo una volta per tutto. I prodotti senza lievito NON ESISTONO!
E’ impossibile, in un laboratorio artigianale di Arte Bianca, dal panificio alla pizzeria, produrre prodotti senza lievito, perché ogni locale di produzione è per forza di cose “contaminato” dai batteri per esempio della pasta madre o di quelli lattici.
Il “senza lievito” non soltanto non esiste, ma non è ammesso dalla legge, pena sanzioni amministrative con l’aggravante della pubblicità ingannevole e sanzioni penali se qualche cliente rimane intossicato.
Ma per essere al sicuro ho voluto chiedere a un luminare del campo la stessa cosa. Dario Bressanini, che non necessita di alcuna presentazione, è stato meno lapidario di Patrick ma decisamente in linea con tutti i pareri.
“Non sono un microbiologo come tu sai, però questa moda che ho visto da un po’, mi sembra rischiosa, pericolosa. Certo, non è che si va sempre a finire in ospedale, però, il rischio non è nullo. Lo abbiamo visto nei primi mesi della pandemia, quando era sparito il lievito di birra dai supermercati e la gente ha provato a far lievitare la qualunque. C’erano anche dei video, che ti spiegavano come potevi rifare il lievito di birra a partire dalla birra, cosa che non aveva nessun senso, per cui, mi ricordo, che in quel periodo alcune persone fermentando qualunque cosa, sono finite all’ospedale per intossicazioni varie. Capisco l’esigenza delle pizzerie di trovare sempre qualcosa di nuovo, una volta c’era l’acqua di mare ma, per carità, me ne terrei lontano e adesso ci sono queste robe qua, però, non so, mi sembra una cosa di cui non ce n’è bisogno.”
Insomma a voler tirare le somme e certi che si sia trattato solo di una sperimentazione data dalla curiosità più che da un metodo adoperato sistematicamente la fermentazione spontanea è vietata, pericolosa per la salute, inutile e ingestibile.
Cari amici pizzaioli vogliateci bene per cortesia.
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