Al ristretto parterre dei gastrofighetti il nome Luigi Iapigio dice poco nonostante il locale Pescheria di Salerno dove lavora sia segnalato dalla Michelin: dopo il caso del Giglio di Lucca e la Michelin mi è venuta in mente l’intervista che gli ho fatto per introdurre il volumetto delle ricette di mare edito dal Mattino questa estate. Chi ha tempo la legga, è molto istruttiva perchè anticipa il nocciolo del tema.
Napoletano doc, classe 1971, Luigi Iapigio è il cuoco di Pescheria a Salerno e del Veliero ad Acciaroli e sovrintende la cucina Il Bistrot di Pescheria e Gioia, sempre a Salerno. Insomma, tempo da perdere ne ha davvero poco, ma di mare ne sa davvero tanto. E di pasta con pesci, crostacei e frutti di mare altrettanto. La sua è una cucina semplice, diretta, tocca pochissimo la materia prima sui secondi perché i fratelli Enzo e Fabio Esposito, che gestiscono il ristorante principale insieme a Guido Guariglia dal 2017 hanno puntato tutto sulla qualità del prodotto.
Può sembrare, e spesso lo è, una frase fatta, ma in questo caso corrisponde alla realtà perché i patron del ristorante, anche loro napoletani, nascono come imprenditori della ristorazione nel Cilento partendo con un locale, La Pizzetta, che subito si è distinto rispetto al resto della ristorazione di mare cilentana di questa parte del Cilento.
Bravura? Si. Passione? Tanta. Ma è il dato strutturale che gioca a loro favore: cento chilometri di costa da Agropoli a Sapri pieni di insenature popolati da settembre a giugno da poco più di 50mila persone sparse nei paesini. Insomma, il mare, sia pure in misura ridotta rispetto ai decenni passati, garantisce un pescato sicuro durante il quale l’offerta supera la domanda locale.
Incentivando i fornitori locali, alla clientela di città e a quella di Acciaroli in estate arriva una grande materia prima che passa per i fornelli di Luigi Iapigio.
Sbaglia chi pensa che la Michelin basti a riempire il locale
-Un napoletano trapiantato nel Cilento…
“Si, qui si vive benissimo, mia moglie Maria Grazia è di San Mauro ed è qui ormai la nostra base anche se ovviamente io amo Napoli. Trovo meraviglioso che nella stessa regione ci sia il più bel parco naturale d’Europa dove è nata la Dieta mediterranea e la più bella città al mondo. Siamo fortunati”.
-Come vi siete conosciuti con i fratelli Esposito?
Ero in Cilento con mia moglie e andai a mangiare al loro primo ristorante, la Piazzetta. Loro cercavano qualcuno e da allora il nostro sodalizio è cresciuto.
-Sogni anche tu la stella Michelin?
“Non mi sveglio la mattina pensando alla Michelin, però è inutile negare che i riconoscimenti fanno piacere. Siamo stati già segnalati in guida. Però mi si consenta una osservazione: sbaglia chi aspetta la Michelin per riempire il locale, il processo deve essere inverso, un bravo cuoco insieme a buon servizio di sala deve creare una impresa economicamente sostenibile e non di pendere da nessuno per riempire i cassetti. Poi se dopo arrivano premi e segnalazioni è ovvio che siamo felici, ma come attestato di un lavoro e non come aspettativa di qualcosa. Credo sia questo il modo giusto per rapportarsi a questo tema. Certo una città vivace come Salerno che ha fatto passi da gigante sulla ristorazione una stella se la merita. Ormai è meta turistica tutto l’anno”.
Il nostro chef (ma lui preferisce farsi chiamare cuoco) ha studiato nel prestigioso Istituto Alberghiero Cavalcanti di Pozzuoli e si è fatto le ossa giovanissimo lavorando in tutti i lovali più famosi di Napoli. “Erano altri tempi -ricorda – non avevamo orari e si lavorava sodo. Sacrifici impensabili oggi ma con il senno di poi hanno ragione i ragazzi che mettono i puntini sulle i, a patto però l’impegno nelle ore pattuite e soprattutto la costanza non venga mai meno. La verità è che per fare questo, come quasi tutti i lavori, ci vuole la passione. Deve piacere, perché altrimenti diventa una prigione”.
Oggi la clientela è molto più preparata di 30 anni fa
-Come è cambiata, se è cambiata, la clientela rispetto a quando hai iniziato circa 30 anni fa?
“Tantissimo. Sono nato dopo il colera e la gente era molto diffidente rispetto ai crudi, purtroppo il mare non è più lo stesso e bisogna stare attenti perché tante insidie. La tecnologia del freddo oggi ci mantiene sicuri ed è essenziale che ogni locale la rispetti non tanto perché lo prescrive la legge, ma per la sicurezza di tutti. Il gusto, contrariamente a quello che si crede, non viene assolutamente meno. Oggi la formula vincente è un buon crudo trattato con rispetto e un buon piatto di pasta. Niente altro, semplice ma fatto bene, benissimo. Al massimo livello possibile. La gente ama spendere se sa che non viene presa in giro”.
-Bisogna essere ricchi per poter mangiare il pesce?
“Secondo me bisogna essere colti. Chiaro che i prezzi sono saliti a causa dei costi e soprattutto della domanda, siamo la regione che ne mangia di più. Per questo abbiamo ideato la formula del bistrot dove usiamo pescato meno nobile ma non per questo meno gustoso: pesce azzurro, polpi, totani, specie dimenticate che invece danno grandi soddisfazione, a cominciare dagli scorfani e le triglie che sono buonissime. E le nostre buone cozze di Bacoli non sono meno buone di un’ostrica”.
-Molti dicono che con una materia prima di alta qualità quasi non serve il cuoco, perciò tanti si complicano la vita elaborando ricette particolari.
“La creatività è una cosa bella, ma non tutti possono essere Maradona. Se crei qualcosa deve essere più buona della tradizione, altrimenti meglio essere un buon esecutore con un occhio alla modernità: sostenibilità, ossia presentare pesci di stagione e ridurre drasticamente grassi e sale. Il nostro stile a tavola su questa materia è numero uno al mondo, forse solo i giapponesi ci superano in qualche preparazione. Ma i nostri piatti che abbinano orto e mare sono insuperabili dal punto di vista della salute, dell’ambiente e soprattutto del gusto”.
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