Sicilia, la forza del territorio
Lucio Tasca d’Almerita, nato a Camastra il 9 gennaio 1940, laureato in economia e commercio, quattro figli (Giuseppe, Franca, Alberto, Alessandra). Si autodefinisce contadino, in realtà si legge Regaleali, ossia il vino in Sicilia e in Italia. 400 ettari di proprietà più una sessantina in fitto, tre milioni di bottiglie, ma soprattutto etichette storiche come il Contea di Sclafani Cabernet Sauvignon e Chadonnay, il Nozze d’Oro, il Rosso del Conte e adesso il Salina Tenuta di Capofaro. Il suo marchio ha garantito il vino italiano anche nei momenti più difficili, mi riferisco agli anni ’80, per molti, compreso me, sono stati il primo approccio del vino in bottiglia. Spero di non scandalizzare nessuno se rivelo che ancora oggi, quando ho voglia di un cabernet italiano in purezza, scelgo sempre Tasca. Erede di una tradizione secolare, Lucio è il testimone della trasformazione del mondo del vino dal Dopoguerra ad oggi: una esperienza preziosa per capire le radici del successo e, al tempo stesso, i rischi di un certo velleitarismo che spesso caratterizza la viticoltura italiana dopo la crisi del metanolo. Per chi ha voglia di fare un ripasso, www.tascadalmerita.it. A tutti, buona domenica.
Cosa significa essere Siciliani oggi in questa Italia?
Non credo sia un handicap, non ho mai incontrato difficoltà, solo una volta da ragazzino in collegio in Svizzera, mi incolparono, fra 250 studenti, di un furto di 5 franchi; la motivazione fu perché ero siciliano, lacrime a non finire.
Aiuta a stare nel mercato o invece bisogna superare ostacoli e pregiudizi?
E’ stato estremamente faticoso all’inizio, considerato che, nell’accezione generale, la Sicilia ha sempre prodotto vini da taglio.
La storia della vostra famiglia è intimamente legata alla viticoltura siciliana. Può raccontarcela?
La nostra famiglia discende da un paesino dei Nebrodi a 1000 metri sopra il livello del mare, Mistretta. Nel 1830 compriamo la Tenuta Regaleali. Da allora abbiamo sempre fatto vino, anche nelle terre di Camastra a Palermo sempre alla ricerca della qualità assoluta.
Quali erano le altre realtà significative, oltre la vostra, alla fine dell’800?
Penso a Florio, Ribattino, Ingham, Whitaker, Barbaro e anche a un milione di ettolitri che l’Etna produceva.
Quando avete esteso il mercato fuori dalla Sicilia e come?
Fin dalla fine degli anni 60 attraverso una rete di agenti e importatori
Cosa ha significato la filossera nell’Isola? Ha cambiato qualcosa nel rapporto tra produzione e commercio?
La filossera è un male generalizzato risolto con il portinnesto americano.
Spalliera o alberello?
Spalliera
Autoctono o internazionale?
Autoctono e internazionale, ma soprattutto territorio.
La vostra è una storia che attraversa tre secoli. Quali i momenti difficili?
Momenti difficili…economicamente parlando, la discesa del prezzo del frumento (la nostra era una azienda prevalentemente cerealicola), e il periodo della riforma agraria. Questa legge ci ha espropriato di 700 ettari, pur essendo Regaleali l’azienda modello in Sicilia.
Quando, invece, avete percepito che il vino cominciava ad avere una marcia in più?
Già mio nonno Lucio produceva vino che vendeva sfuso a Regaleali con buoni risultati economici. Mio padre Giuseppe ebbe l’idea di imbottigliare all’inizio degli anni 60.
In genere le aziende storiche hanno faticato a capire la rivoluzione vitivinicola dopo la tragedia del metanolo. Voi come avete affrontato il cambio di marcia?
Il problema del metanolo non ci sfiorò neppure dal punto di vista commerciale
Una nuova cantina. Perché?
Se si riferisce a Capofaro siamo ancora in via di costruzione, il perché è abbastanza semplice, vorremmo che tutto il ciclo produttivo fosse identificato nel luogo di origine.
Due enologi. Perché?
Anzi tre, due in azienda, marito e moglie, e una consulenza esterna. Quest’ultima molto utile, perché è Carlo Ferrini un uomo che fa cinquanta vendemmie all’anno da 25 anni
Capofaro. Quale la filosofia dietro una scelta così difficile?
Capofaro? Una scelta facile! Avere l’occasione di acquistare un posto unico come Capofaro credo poche volte nella vita ti possa succedere. La scelta è stata motivata dalla produzione di Malvasia, poi è venuto il Resort. Una scommessa vinta.
Quali sono i rapporti tra i produttori siciliani. Siete una squadra come appare dall’esterno o invece prevale in realtà l’individualismo?
Assovini, un’associazione di 70 aziende vitivinicole che imbottigliano l’80% del vino Siciliano, è un club che ha fatto squadra e sistema. Ho il privilegio di averla inventata e di presiederla.
Il ceto politico locale è consapevole di governare una delle potenze vitivinicole del mondo?
Nell’ultimo decennio si sono resi conto delle potenzialità dell’Isola.
Ritiene che si sia eccessivamente banalizzato il Nero d’Avola?
Il Nero d’Avola è il simbolo dell’enologia Siciliana nel mondo degli ultimi anni. Sta a noi comunicare un territorio straordinario e variegato a livello di clima e di suolo, dove i vitigni autoctoni al pari degli alloctoni possono esprimersi ad altissimi livelli.
Perché, nonostante il successo di cassetta, il vino siciliano ha difficoltà ad apprezzarsi in bottiglia? Molti imprenditori del Nord che hanno investito qui trovano difficoltà: come mai secondo lei? La Sicilia non era la California sognata nella seconda metà degli anni ’90?
Le aziende vitivinicole siciliane più importanti sono in continuo progresso in qualità e quantità. In merito alle difficoltà degli imprenditori del Nord….forse perché non sono siciliani? Bisognerebbe chiedere loro.
Qual è il vino che le ha regalato maggiori soddisfazioni e quello in cui si identifica?
Chardonnay e Cabernet Sauvignon sono creature mie. Rosso del Conte è la bandiera di Regaleali.
Come è cambiato il modo di gestire l’azienda e il mercato dai tempi di suo padre a quelli dei suoi figli?
La gestione dell’azienda è oggi molto professionale. Tutto è budgetizzato, ci sono manager amministrativi, agricoli ed enologici di qualità e ci avvaliamo di consulenze esterne di spessore. Una volta non ci occupavamo della commercializzazione dei prodotti ma bensì solo della produzione, dal 2001 abbiamo creato un nostra rete vendita che gestiamo direttamente.
Quale giudizio ha della stampa specializzata e, più in generale, del giornalismo impegnato a raccontare il vino in Italia? Nota una differenza con l’estero?
Dobbiamo sempre ringraziare la stampa per il fatto che si occupa di noi e credo che anche i giornalisti specializzati e non, abbiano trovato un argomento interessante. In Italia e all’estero c’è lo stesso interesse.
E, a proposito di estero, cosa cercano gli stranieri che gli italiani dimenticano?
Ahhh saperlo!
Ha mai pensato di impegnarsi in politica come suo nonno, sindaco di Palermo?
Ho riflettuto se impegnarmi in politica anni fa ed ho rinunciato.
In azienda adesso fanno tutto i suoi figli o interviene ancora? Insomma, c’è equilibrio generazionale?
Il passaggio generazionale è avvenuto: Giuseppe, Vice Presidente e Alberto, Amministratore Delegato. Stiamo lavorando in grande armonia e di questo sono pienamente soddisfatto.
Ma cosa, dipendesse da lei, dovrebbe fare il legislatore per il vino italiano?
Poche cose: imbottigliamento nei luoghi di origine e detrazione fiscale delle spese di promozione, di rappresentanza e dei costi non consentiti dall’ultimo DPEF come gli interessi passivi.
Qual è il suo giudizio sull’Ogm vino?
È ancora in fase di elaborazione, molte cose buone e poche sbagliate, speriamo in ulteriori correzioni.
Come trascorre il tempo libero?
Lettura, caccia e pesca, adoro il mare.
Le sue letture preferite?
Libri di attualità, storici.
E’ tifoso di una squadra di calcio?
Naturalmente tifo Palermo, ma spesso guardo la Roma per il suo gioco. Sarebbe bello vedere giocare Totti e Ibrahimovic insieme.
Il suo sogno nel cassetto?
Ristrutturare le due aziende sull’Etna appena acquistate.
Un bicchiere indimenticabile
Dom Perignon ’96 da Heinz Beck alla Pergola.
Una parola da scolpire sulla pietra per i posteri
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