Estratto dall’articolo pubblicato ieri sul Mattino
Luciano Bifulco è scomparso a soli 40 anni, compiuti il 21 novembre scorso, lasciando la moglie Carmela e tre figli. Una cosa è certa e inconfutabile: la sua vita è stata breve ma ha lasciato un segno indelebile nella storia recente della gastronomia campana e italiana. E’ stato una di quelle persone che, realizzando con puntigliosità e determinazione il proprio mestiere, ha modernizzato il proprio settore portandolo dal passato al futuro, come Alfonso Iaccarino nella ristorazione, Antonio Mastroberardino nel vino, Enzo Coccia nella pizza.
Insomma, ci sarà sempre un prima e un dopo di lui. Il rammarico, oltre che per i familiari distrutti dal dolore, è che avrebbe potuto dare ancora tanto, come dimostra l’ultimo progetto di questo mese firmato Bifulco, il BIF Burger Family Farm a San Pasquale a Chiaja.
Due i punti che lo hanno messo all’attenzione del mondo gastronomico.
Il primo, di natura regionale, è aver reso competitivo il livello di servizio della carne in Campania con qualsiasi altra braceria in Italia e in Europa partendo da una tradizione sostanzialmente inesistente perché la gastronomia napoletana è basata soprattutto sull’orto e sul mare, sugli animali da cortile e sugli ovini nelle zone interne. I grandi piatti della tradizione, genovese e ragù, esprimono un desiderio di carne in cui la protagonista resta la pasta.
Il secondo elemento da considerare, è che Luciano Bifulco è riuscito a far fare questo enorme salto qualitativo a questo alimento in un momento in cui viene costantemente criminalizzato e additato come una delle cause del cambiamento climatico nonché di gravi malattie per gli assidui consumatori.
Insomma il suo è stato un lavorare controcorrente puntando dritto sulla qualità assoluta. Potremmo dire che questa è stata l’ossessione della sua vita lavorativa, sin da quando iniziò a trasformare con il consenso dei genitori e l’aiuto del fratello Nando, la macelleria di famiglia di via Lavinaio in un vero e proprio covo del buono campano e italiano, dalle carni ai salumi, dai formaggi alle paste, dai vini alle preparazioni artigianali più disparate, sino ad aprire in un’ala che si era liberata il primo ristorante dove realizzava il circuito chiuso del prodotto.
Chianchiere di quarta generazione, ha subito capito la direzione in cui doveva procedere per restare sul mercato e diventare leader del settore in un segmento sino ad allora, con quale rara eccezione, sostanzialmente trascurato. Un percorso iniziato trentenne che ha visto poi tre tappe fondamentali: l’apertura nel centro di Ottaviano di Bifulco Exclusive, un vero e proprio palazzetto a tre piani della carne gestito direttamente dal fratello Nando che vi ha trasferito la propria macelleria. Poi la creazione di un bellissimo ristorante a doppia brace a fianco ai locali storici di via Lavinaio-Primo, con un servizio fine dining, una sorta di presepe vivente con affettamento dei salumi con la Berkel, taglio dei pezzi e cottura davanti ai clienti, cucina a vista, servizio impeccabile affidato ad esperti, cantina di ampio respiro. Un vero e proprio salto di qualità che la Michelin ottusamente non ha mai ritenuto di segnalare nonostante in cucina per un periodo ci sia stato anche lo stellato Salvatore La Ragione.
L’altro passo, proprio quest’anno, è stata l’acquisizione dell’azienda di formaggi Carmasciando e la creazione di un vero e proprio caveau di bottiglie, salumi e formaggi di alta qualità sotto il ristorante diventando così una vera e propria Mecca per gli appassionati.
Il primo ad entrare e l’ultimo ad uscire. Ma anche il primo a viaggiare, tra i boschi della Lucania e del Cilento fra gli allevatori di ovini, sul Fortore e in Daunia per i bovini di razza podolica e marchigiana perché aveva ben compreso che solo la tracciabilità assoluta avrebbe garantito il cliente a venire e a spendere senza pensare al prezzo.
Ma mica l’elenco dei suoi meriti finisce qui. Durante il lockdown Luciano ha infatti perfezionato un servizio di asporto leggendario che ha coperto tutta l’Italia in pacchi eleganti, disegnati da grafici professionisti come Nju di Eboli premiati persino in California, e in tanti hanno iniziato a comprare la carne da lui. Un successo di cui era particolarmente fiero: “Mai avrei pensato di vendere carne ai toscani” diceva spesso e volentieri. Ma trovala in quella regionale una braceria come quella che ha creato Luciano a Ottaviano.
Infine, last but not least, la sua capacità, nonostante il carattere non facile, di relazionarsi, di comunicare il suo lavoro, di stringere rapporti con gli chef più sensibili che gli hanno fatto poi da sponda, da Cannavacciuolo a Chicco Cerea, da Gennaro Esposito ai romani che avevano già un grande come Liberati nel proprio Pantheon carnivoro.
Insomma, un vero gigante. Un giovane gigante ossessionato dal lavoro, molto competitivo (a volte inutilmente competitivo), innamorato del mestiere di famiglia che ha portato a livelli impensabili prima del suo ingresso in questo mondo e che ha costretto tutti ad alzare l’asticella complessiva, dalla qualità del prodotto a quella del servizio, dalla cantina alla comunicazione.
Ai familiari mancherà come sempre accade quando c’è una perdita di un proprio caro. Ma nessuno che abbia a che fare con la gastronomia lo dimenticherà mai. Lui che è stato capace di far entrare anche la carne rossa nella Dieta Mediterranea all’insegna del poco ma buonissimo. Anzi, eccellente.
Ciao Luciano.
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