di Laura Guerra
La pasta secca, le cipolle, il tempo, la creatività di chef giovani.
Sono questi gli ingredienti che caratterizzano il contest Primo Piatto dei Campi “Pasta Cipolle e…” che vede all’opera 25 chef under 35 che hanno superato la prima fase di selezione della gara.
In occasione del World Day of Antropology abbiamo chiesto a Lucia Galasso, antropologa alimentare, studiosa dei processi e delle dinamiche sociali legati alla preparazione e consumo del cibo, di raccontarci, da scienziata sociale, il loro significato socioculturale e simbolico.
- Cominciamo con la pasta secca
“Lo scrittore Giuseppe Prezzolini nel 1957 definì la pasta essenzialmente cibo popolare; lo è ancora oggi sia in Italia che in ogni luogo del mondo dove è arrivata e si è evoluto il suo consumo. La pasta è un alimento giornaliero, declinabile in mille varianti, di matrice familiare quindi conviviale, è infine economica, comoda e rapida da cucinare.
L’Italia –spiega ha influenzato il consumo in occidente preferendola di grano duro, secca e condita con sughi ristretti: è la famosa pastasciutta. E’ a Napoli, che il suo consumo, la sua popolarità la renderanno simbolo della città. La capitale partenopea detterà legge nel mondo in cui la pasta viene cucinata (al dente) e gustata, partendo come semplice alimento popolare e arrivando ad essere adottata da tutti gli strati sociali italiani”.
- Passiamo alla cipolla, ortaggio tanto pop da vantare un’ode firmata dal poeta Pablo Neruda.
Anche la storia della cipolla ci parla di un percorso alimentare che partendo dalla cultura contadina arriverà poi sulle tavole più ricche. Bisogna partire da un’osservazione molto semplice: la cipolla, insieme a tutte le altre “erbe commestibili” è coltivata in quel piccolo appezzamento di terreno, umile e povero che è l’orto. La sua coltivazione è pratica comune in tutto il Mediterraneo. L’orto fornisce ortaggi da pasto dal forte potere aromatizzante, tanto da caratterizzare tutta la cucina contadina, e rendendo le erbe aromatiche le spezie dei poveri. Gusto a poco prezzo e disponibile buona arte dell’anno”.
- Elemento determinante in cucina è il tempo, nella preparazione della genovese è lento, lungo e paziente.
“Il tempo ha un suo valore determinante e scandisce tante produzioni agro alimentari, come la pasta di Gragnano che deve memoria, consistenze, caratteristiche di cottura al lungo tempo di essiccazione e all’artigianalità”.
Il ragù è la tecnica di cottura elaborata per collegare l’ingrediente che lo caratterizza e la pasta. Per quante possano essere molteplici le sue varianti, la costante che lo qualifica è il tempo. Ecco perché fare il ragù è un vero e proprio rituale, con una sua sacra liturgia; non si tratta solo di eseguire perfettamente una ricetta, ma di mettere in scena il potere dei cinque sensi, che tutti vanno soddisfatti, e quello più importante di tutti l’amore e la e dedizione per chi lo gusterà. Ecco perché il ragù è fatto di famiglia, gioia della domenica, che mette tutti d’accordo intorno al tavolo. Ma con il suo profumo riesce anche a compiere una magia: risvegliare di ricordi un intero caseggiato”.
- Che significato ha oggi rivedere un classico come la genovese?
“La pasta alla genovese, riassumendo in sé questi tre ingredienti , ci racconta un piatto nato povero, un piatto che dal popolo arriva a impreziosirsi sempre di più, diventando pietanza succulenta dei giorni di festa e delle tavole di tutti. Una ricetta fortemente identitaria di Napoli, che racconta perfettamente la tradizione culinaria della città, perché ogni ingrediente risuona della storia del tessuto popolare del suo territorio.
Ricostruire i sapori e i saperi di questa ricetta, in maniera innovativa e creativa consentirà ai giovani chef del contest ,di scoprire come ogni tradizione culinaria sia non solo un gioco di prestiti culinari ma anche lo specchio dei valori che sono stati attribuiti a tutti gli ingredienti che la compongono. E’ in questo modo che sapranno valorizzarli al meglio, perché questa è la tradizione: cambiare senza perdere l’identità”.
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