di Fabrizio Scarpato
Subito sotto l’albero di cachi c’è il tee di partenza, per mettere alla prova lo swing.
In effetti sull’aia del Serendepico credo sarebbe davvero bello ballare: una di quelle cose che ti guardi negli occhi, senza necessità di muoversi più di tanto, le luci sospese, le candele, l’orchestra americana. Ma qui oggi non è questione di ballo: laggiù in fondo al prato c’è ungreen da golf. Un legno è troppo, credo basti un ferro nove per andare in bandiera dalla piazzola dei cachi: tutto sommato, per chi è bravo, si tratta di un semplice approccio, che tuttavia richiede una certa dose di eleganza.
C’è il sole, non ero mai venuto di giorno e mi inebrio di colori: l’arancio dei cachi ancora acerbi, il marrone delle foglie, il bianco delle porte finestra all’inglese, il bruciato delle pietre e del pergolato. Poggiate su una botte, due cassette da frutta in legno rosso custodiscono alcuni plaid a tinte sgargianti nei toni del verde mela, dell’arancio e del blu, arrotololati in bella mostra come in attesa del pic nic sui prati verdi e curati che si perdono fin laggiù, nella foschia della piana lucchese.
Dio solo sa se mi piacerebbe stendere plaid e tovaglie a quadretti su quel prato asciutto, aprire i cesti di vimini, far tintinnare i piatti e i bicchieri belli, e brindare rumorosi alla disfida golfistica del lampredotto, tra papaveri e papere, sulla riva del lago di quando in quando galeotto.
Per quanto breve, la buca è un par tre, con un green in discesa e in contropendenza. Occorre coraggio nell’approccio, conoscenza del terreno e grande sensibilità di tocco per chiudere la buca. Come puoi giocare, se non possiedi queste doti? Come puoi pensare di avvicinare una padella all’abomaso e al quintoquarto se non sei in grado, con la testa, con le mani, e anche coi piedi, di gestirne le consistenze, di coglierne gli equilibri, sospesi sul filo della bestiale dolcezza? Mi chino sui tre millimetri d’erba del green per valutarne con mano la vellutata ed infida scorrevolezza. Sembra facile, ma non lo è.
I panini sgocciolanti salsa verde dei lampredottai sono un ricordo perso nel viraggio a seppia delle foto Alinari. Cibo da strada, cibo povero: etichette scontate, ritornelli sgualciti da uso e consumo, lisi come diafanie dimenticate dal tempo. Brillano invece le fantastiche posate moresche tra il bianco più bianco dei muri, a testimoniare attimi di territorio, scintille di genio, lampi di curiosità. E se voglio leccarmi le dita lo faccio, senza bisogno della strada né dei finger food, ipnotizzato dal dripping di salse rosse e verdi da spalmare sul pane nero di castagne. Quanta ricchezza povera di eleganza abbiamo conosciuto e subìto. Davanti ai nostri occhi oggi passa la ricchezza che viene dalla conoscenza, l’ebbrezza dell’azzardo, la bellezza delle nuove idee, a seminare divertita soddisfazione. Lontani dalle mode, seguendo le storie degli uomini.
Fuori: è andato appena fuori dal rough l’approccio fiorentino non millimetrico sulla tempura, mentre Lucca, ispirata, usa un wedge per disegnare una parabola altissima con un lampredotto ignudo tra il verde e il rosso piccante. Il putt lucchese appare timido nella minestra di riso e collagene di vitello, che profuma del brodo d’ossetti garfagnino, tra rimandi ad una femminea meccanica celeste; lenta e corta, invece, la lasagna fiorentina in un difficile approccio dall’erba di taglio più alto. Il mancato birdie consente a Damiano Donati un tranquillo par con una lingua controversa, mentre Luca Cai, con un difficile e prodigioso putt in discesa, morbido e deciso come la sua spannocchia, tartufo e olio nuovo, svirgola la buca d’un soffio, consegnandosi fiero al bogey e alla sconfitta di un solo colpo, forse mezzo, ammesso ci fosse qualcosa da vincere, al di là del nostro riconoscente e ripartito stupore.
Mi confondo tra il pubblico festante, tra tappi in quantità e scorbutiche macchine calcolatrici. Una voce dall’accento inequivocabilmente fiorentino grida “Viva la trippa”: il ticchettìo incerto di qualche batter di mani, si fa applauso scrosciante. S’alzan tutti i vessilli: viva la trippa. Affondo avido il cucchiaio in un confortevole crème caramel di castagnaccio: arde il fuoco nel camino, tutti rientrano dall’unica buca diciotto, i plaid variopinti si fanno tappeto per i vincitori. Tra i colori dell’autunno le mani afferrano rassicuranti fette di Panettone di patate, morbide e delicate come una carezza, vere come un piccolo gesto d’amore. Voci angeliche di bimbi si aggiungono felici alla festa.
La Disfida del Lampredotto / Lucca vs Firenze
Luca Cai e Damiano Donati
Ristorante Serendepico del Relais del Lago (Capannori, Lucca)