Luca Cesari
Storia della pizza – da Napoli a Hollywood.
Il Saggiatore, Maggio 2023, 348 pp.
di Giulia Gavagnin
Dopo il successo di Storia della Pasta in dieci piatti-dai Tortellini alla Carbonara, lo storico della cucina e autore del Sole 24 Ore Luca Cesari si cimenta con la pizza, sciorinando citazioni storiche ed aneddoti.
Storia della Pizza è uscito recentemente, sempre per la casa editrice Il Saggiatore.
Perché la pizza? E’ semplice. E’ la focaccia ricoperta di salsa e mozzarella diventata il piatto più amato al mondo.
Un linguaggio universale che ha unito gli italiani nel mondo più della koinè dialektosrappresentata dalla lingua. Al punto da trasmigrare e divenire un elemento d’aggregazione unico.
Da piatto locale, che per un paio di secoli è stato confinato ai luoghi partenopei, è stata il simbolo degli italiani negli Stati Uniti, dove si è cristallizzata nella forma e negli ingredienti che hanno conquistato il mondo.
Napoli o New York, si chiede l’autore? Sta al lettore scoprirlo, attraverso una lettura storica e documentale intrisa di glamour e costellata di popolani, illustri scrittori, re, regine, divi di Hollywood, cuochi, che non può non destare interesse.
Stiano però quieti i campani. Il luogo dove tutto ha inizio, inequivocabilmente è Napoli, ma le cose secondo l’autore non sono andate proprio come tutti credono.
Il capoluogo partenopeo nel Settecento era la città più popolosa d’Italia e la terza d’Europa, dopo Londra e Parigi. Era un importante porto commerciale legato a doppio filo con la Spagna borbonica e la sua popolazione, oltrechè numerosa, era già nota per “l’arte d’arrangiarsi”. In parole povere, la mentalità corrente era quella di lavorare il meno possibile per ottenere il minimo necessario alla sopravvivenza. Evviva i luoghi comuni, ma come dicono ad altre latitudini, “dove ci sono le voci ci sono anche le noci”. Questi sfaccendati erano chiamati “lazzaroni”. Invero, J.W.Goethe, nel suo Viaggio in Italia dipinse i napoletani in maniera un po’ differente, come gente industriosa pronta a qualsiasi lavoretto pur di tirare avanti. Qualunque sia la realtà, di una cosa s’era certi. A Napoli non si navigava nell’oro e l’agricoltura carente dei territori circostanti spingeva i contadini in città, a ingrossare il proletariato urbano.
La progressiva crescita della popolazione, un’agricoltura che non poteva soddisfare da sola i bisogno primari e il progressivo rincaro dei prezzi di appartamenti e generi alimentari aveva determinato un peggioramento nelle condizioni di vita degli abitanti.
I derivati della farina erano gli alimenti più consumati, ma furono incentivati dalla politica annonaria che favoriva la circolazione di grano, olio e farine a prezzi calmierati allo scopo –essenzialmente- di evitare rivolte e tumulti. Le verdure erano esenti da dazi, erano quindi anch’esse a buon mercato, a differenza della carne che per gli strati subalterni della popolazione era proibitiva.
I primi, rudimentali impasti di acqua e farina sarebbero la naturale conseguenza della facile reperibilità della materia e dell’attitudine a portarsi in giro un disco di acqua e farina cotta come capita.
La prima citazione di un “pizzaiuolo” risalirebbe tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, forse i primi erano ambulanti, tuttavia il primo censimento di pubblici esercizi nel 1807 contava 55 pizzerie.
Com’era la pizza all’epoca? Cotta in forno o in teglia, forse priva di lievito, una di grasso e farcita di strutto o “pesciolini”.
Pomodoro? Forse, qualche volta.
Il cliente del pizzaiolo? Il “Lazzarone”. Ne riferisce persino Alexandre Dumas, nel 1831, paragonando la pizza al “talmouse” parigino. Dice che si tratta di un prodotto del medesimo impasto del pane, farcito, a seconda della reperibilità, di olio, strutto, formaggio, pomodoro, pesciolini, soffice o secca a seconda della data dell’impasto.
La storia vuole che la pizza dalla strada sia giunta a Corte, ma non nel modo lineare di cui tutti sanno.
E’ vero che la regina Margherita di Savoia intorno al 1880 chiese di portare un pizzaiolo a Capodimonte, è vero che forse si trattava di un Brandi, ma non è detto che si trattasse del medesimo di cui all’attuale indirizzo napoletano. In ogni caso, la pizza con pomodoro e mozzarella era una delle tante variazioni, non la più popolare. Le fonti, secondo l’autore, riportano notizie non lineari e contraddittorie. Ma non vogliamo togliere al lettore il gusto di scoprirle.
Quel che è certo, è che la pizza margherita con base di pomodoro emigra negli Stati Uniti insieme ai nostri concittadini, incontrando un successo clamoroso.
La prima pizzeria americana censita è quella di Gennaro Lombardi a New York, nel 1905, che già all’epoca si afferma come depositaria della “vera pizza napoletana”, a base di mozzarella e pomodoro.
Nelle pagine a seguire, l’autore sostiene la tesi che la base di pomodoro si sia affermata negli Usa grazie allo sviluppo dell’industria conserviera e che il suo utilizzo sia dilagato in Italia grazie al ritorno in patria dei suoi emigrati.
Gli ingredienti industriali avrebbero favorito l’espandersi delle variazioni della margherita anziché della classica napoletana con i pesciolini.
Sarà vero questo doppio passaggio Napoli- States?
Sarà vero che gli Usa sono stati la “grande incubatrice” per il successo della pizza in tutto il mondo, togliendo qualcosa all’arte sacra dei napoletani?
Qualunque sia la verità, il libro offre una panoramica completa della genesi della pizza e della sua conquista del mondo intero in tutte le sue declinazioni geografiche ed antropiche e fornisce uno spaccato affascinante, quasi romantico, dell’alimento italiano che ha sedotto grandi e bambini di ogni etnia e latitudine.
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