#lsdm: le Strade della Pizza: integrale? No, napoletana!

Pubblicato in: LSDM 2015
Le Strade della Pizza, da sinistra: Franco Pepe, Gino Sorbillo, Ciro Salvo, Luciano Pignataro, Enzo Coccia, Gennaro nasti e Salvatore Salvo

di Luciana Squadrilli

La seconda giornata del congresso si apre con la pizza, la cui alleanza con la mozzarella è ormai sancita anche dai disciplinari. Ma per gli assaggi – e che assaggi – bisogna aspettare la sera, quando la pizza diventa protagonista della serata conclusiva agli Oleandri Resort accompagnata dagli Champagne Bruno Paillard. Al mattino, invece, si parla e si ragiona sulla pizza napoletana con 6 assi – Enzo Coccia, Franco Pepe, Gino Sorbillo, e i due fratelli Ciro e Salvatore Salvo per la prima volta a confronto da quando le loro strade lavorative si sono separate, più l‘italo-francese Gennaro Nasti – con il coach-moderatore Luciano Pignataro.

Quasi una mezza Nazionale della pizza schierata sul palco del Savoy.

Integrale o integralista? Recita il titolo dell’intervento, e la risposta sembra essere: né l’una né l’altra. Sicuramente non può essere integrale – vale a dire realizzata con il 100% di farina integrale – la pizza napoletana, come afferma senza mezzi termini Ciro Salvo. E non è questa la strada per renderla più salubre: come in ogni cosa, sottolinea Pignataro, la chiave sta nell’equilibrio, caratteristica alla base dell’alimentazione mediterranea e a cui dovremmo tornare a fare più attenzione.

Ma non è nemmeno integralista, la pizza napoletana, o almeno non può più esserlo.

Prima di dare la parola ai singoli pizzaioli e alle loro storie – quasi tutte storie di famiglia e di sapienza tramandata per generazioni – Luciano Pignataro ne traccia a brevi linee l’evoluzione degli ultimi anni. Lasso di tempo in cui, pure grazie al web che ha finalmente dato luce anche ai pizzaioli oltre che agli chef, la pizza ha conquistato l’attenzione di un pubblico sempre più ampio ed esigente, portando alla nascita di altri stili di pizza, espressioni diverse ma valide. La differenza fondamentale, sottolinea Pignataro, «è che che la pizza napoletana è espressione della memoria collettiva di un popolo, maturata nel corso di 2 secoli, in cui gusto e manualità si sono formati in maniera peculiare».

Ma i grandi pizzaioli di oggi sono pronti a guardare avanti, e ad accettare le sfide del futuro.

Che si tratti di studiare farine impasti sempre più digeribili, o di chiedere a gran voce una formazione professionale seria per i pizzaioli del futuro, perché non basta fare un corso di pochi giorni per imparare quello che ognuno di loro ha appreso in anni di gavetta, di studio e di apprendistato familiare, senza mai scegliere la via più facile. Gino Sorbillo ha passato 20 anni da banconista nella piccola pizzeria di famiglia, Ciro Salvo diversi da “fornaio” vicino al papà prima di poter mettere le mani sull’impasto. Fondamentale il ruolo della scienza e della conoscenza, la più grande alleata del pizzaiolo contemporaneo. Se Coccia è stato il primo a entrare all’Università – prima per studiare e ricercare, oggi anche per insegnare e collaborare – gli altri lo seguono a ruota, spesso supportati da artigiani e mulini con cui mettono a punto prodotti e farine su misura. Salvatore Salvo racconta dello studio portato avanti con il Molino Caputo per la loro miscela dedicata, e viene spontaneo il parallelo con la minuziosa opera che sta dietro ai blend delle cuvée di Champagne, pensando alla serata in programma.

Insomma, non è più il tempo del sale aggiunto a pugni dal padre di Franco Pepe e dell’acqua “a secchi” del padre di Ciro Salvo. Bisogna ricercare, codificare, individuare dosi precise e processi da poter insegnare, perché quella dell’impasto é una scienza esatta. Poi, certo, restano la sapienza “istintiva” e la gestualità dell’artigiano a fare la differenza, e soprattutto l’amore e la passione. «Ci dobbiamo ricordare che siamo prima di tutto panificatori – dice Franco Pepe – Dobbiamo saper amare e rispettare l’impasto; mozzarella, pomodori e altro vengono dopo».

Solo su un argomento, sollevato da Gennaro Nasti nel racconto della sua attività a Parigi, dove è praticamente impossibile avere nuove licenze per i forni a legna, i pareri dei pizzaioli si dividono: il forno, appunto. Coccia e Ciro Salvo sono più “integralisti” (su questo si) mentre Sorbillo, Pepe e Salvatore Salvo riconoscono che sia possibile fare delle – buone – pizze napoletane anche nei forni a gas o elettrici di nuova generazione, con qualche accortezza nell’impasto.

Perché, alla fine, quello che conta è il “manico”.

 

Foto di Alessandra Farinelli


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