Ristorante La Peca a Lonigo dei fratelli Portinari
Via Giovanelli, 2
Tel. 044.830214
www.lapeca.it
Sempre aperto. Chiuso lunedì e domenica sera. Nei mesi estivi anche a pranzo
Era davvero troppo tempo che non andavo alla Peca dei fratelli Portinari e godere della consolidata esperienza artigianale e familiare che ha cambiato e modernizzato la cucina italiana a partire dalla seconda metà degli anni ’90. Una cucina che si è modernizzata grazie all’estetica di Marchesi da un lato e dalla evoluzione della trattoria in ristorante dall’altro. Strabiliati negli ultimi tempi dai piatti pensati per Istagram o per Masterchef, stupiti da fenomeni che non riescono a cucinare per più di dieci persone alla volta (era il limite anche di mia madre), che passano da un ristorante all’alto come i calciatori di cui imitano pure i tatuaggi, di gente che si sente arrivata dopo una partecipazione televisiva, o dopo aver sparato quattro cosette al Congresso Catalogo Commerciale, o dopo aver sbucciato per quindici minuti la frutta in un tristellato, sentivamo il bisogno di una serata confortevole, solida come un classico dell’800, dove i valori principali sono la famiglia e la soddisfazione del cliente. Che volete, l’età avanza e come tutti per me è difficile restare contemporanei. Lo ammetto sensa sussiego.
Ed eccoci qui allora. A vivere quella che secondo noi è la vera cucina contemporanea, ossia alleggerita di grassi e nelle quantità, radicsata nella terra in cui viene espressa, senza fare copia e copiazza.
Qui il segreto è la vera forza della gastronomia italiana, quella della famiglia, il livello artigianale come sottolinea Giulia Gavagnin che non tende a replicare all’infinito se stessa, ma che sta concentrata nel proprio spazio per approfondire la materia. Nicola Portinari è cuoco completo e maturo, la proposta prevede tre degustazioni, dal vegetale a 180 euro a quello creativo di 235 (ma c’è anche l’opzione di tre piatti più dolce a 130) e noi abbiamo potuto saltellare dall’uno all’altro in maniera più che soddisfacente in cui l’eclettismo della cucina è apparo in tutta la sua forza. Non vogliamo essere snob, ma il piatto indimenticabile è il minestrone, preso al termine di una giornata afosa passata al Vinitaly, che è un insieme di sapori vegetali nei quali è difficile affermare che non ci sia anche carne dentro. Fresco e complesso, un piatto da favola, moderno nella sua antica consuetudine materiale, quel piatto che si apprezza solo da adulto e che adesso è di lusso visto che è difficile trovare verdure non trattate e coltivate in regime biologico o biodinamico. Ma chiunque cura un piccol oorto, o anche qualcosa nel balcone, sa pene la differenza di sapore.
La cura del pane, i piatti di mare classici e per certi veri uliassiani (spaghetto tonno e ibisco), carne trattata con rispetto ed esaltata in modo deciso e piacevole, il soufflè al cioccolato come Dio comanda (cit. Moro-Niola), la musicalità del testo secondo i canoni classici, la stagionalità e la territorialità non circoscritta solo alla regione, fanno di questo ristorante qualcosa da cui non si può prescindere per chi viene in Italia.
Basta, citerò la cantina enorme, moderna, per tutti i gusti. Noi ci siamo fatti guidare dall’ottimo Matteo Bressan sul locale, come siamo soliti sempre fare e abbiamo goduto soprattutto del Tai Rosso di famiglia: anche qui vino moderno, bevibile, semplice ma non banale.
Per tutto il resto, potete leggere le note delle precedenti esperienze dopo le foto della cena, a partire da quelle di Giulia Gavagnin per arrivare a quelle del 2010.
Imperdibile, spero proprio che la Michelin abbia l’intelligenza di tutelare questi locali senza inseguire necessariamente le cucine corporate che alla fine devono dar conto ai fondi di investimento e non ai clienti.
Scheda del 22 dicembre 2022
di Giulia Gavagnin
L’anima del Veneto è una-e-trina.
Sotto la bandiera unica del Leone riposano tre dimensioni spirituali.
Quella veneziana, Serenissima Repubblica estinta, oggi luna park per adulti e lo scempio della Grande Industria intorno che ha lasciato macerie.
Quella veronese dei suoi abitanti “tutti matti”, terra di confine che si trastulla nelle fredde acque lacustri del Garda e guarda con un occhio alla Lombardia, con l’altro –sghembo- al Brennero.
Infine, il cuore del Veneto, il Deep Veneto. Incuneato nelle province di Padova, Treviso, Vicenza, terra elle partite Iva, dei capannoni che hanno deturpato il piatto piano Padano, dei “schei” (“sghei” in altre declinazioni vernacolari). Nel Deep Veneto – Veneto profondo- sono fioriti i due ristoranti più importanti del miracolo economico della Regione.
Le Calandre e La Peca.
Una storia di rivalità che esiste soltanto nell’immaginario dei loro clienti affezionati, i padovani con il loro istinto espansionistico da un lato e dall’altro i vicentini –terra di artigiani dell’oro e della concia- amanti dell’altissimo artigianato e della familiarità d’impresa. Entrambi si contendono lo scettro di “miglior ristorante del Veneto”, ma il dibattito è ozioso perché diversi sono gli stili, gli intenti, l’approccio.
Nella realtà, La Peca continua a essere, semplicemente, “l’altro” grande ristorante del cuore del Veneto.
“Grande ristorante” inteso come luogo dove il territorio narra se stesso nella sua versione più elevata, ma anche dove il cuore pulsante dell’economia locale discute affari, elabora piani, progetti, sviluppo, decide il futuro proprio e del comparto aziendale.
Si parla troppo di ristoranti e troppo poco di clientela.
Il pregio di luoghi come La Peca (o Le Calandre) è che continuano a detenere un’ampia percentuale di clientela imprenditoriale locale, stabile e abbiente, che contribuisce a orientare la solidità della proposta culinaria.
Una e trina, come l’anima della sua Regione.
***
La Peca sembra un piccolo forte nel cuore di Lonigo, sul limitare dei Monti Berici.
Tutt’intorno svettano alcune famose ville Palladiane, simbolo di un’ideale di classicismo connaturato al territorio.
Colonne, proporzioni auliche, cupole e rotondità.
In questo panorama, fiorisce la cucina di Nicola Portinari, figlio di macellai che con il fratello Luigi “Gigi” ha iniziato negli anni Novanta l’avventura de La Peca (“impronta” nell’idioma locale) portandola fino al traguardo indiscusso delle due stelle Michelin.
Due sale, una panoramica sulla Rocca Pisana dove si erge la villa dello Scamozzi, il servizio preciso di Luigi Portinari e Cinzia Boggian, e uno dei migliori sommelier d’Italia, Matteo Bressan.
Non del Veneto, d’Italia. Bressan è uno che potrebbe lavorare ovunque, a New York, a Parigi, a Madrid e invece, da più dieci anni convive felice con la famiglia Portinari che grazie alla sua conoscenza si avvale della carta dei vini più interessante della Regione. E –per fortuna- non ha alcuna intenzione di andarsene, ci dice.
La proposta stagionale consta di tre menu, uno di terra (180 Euro), uno di mare (190 Euro) e uno vegetale (160 Euro), oltre a una ricca scelta à-la-carte.
Nicola Portinari è sempre stato attento al vegetale, anche in tempi non sospetti.
Il menu esclusivamente vegetale non è una concessione alla moda del momento, ma una naturale evoluzione di un percorso iniziato molti anni prima, ci dice Portinari. In ogni caso, nei mesi di gennaio e febbraio questo menu non sarà disponibile, presumibilmente sostituito da un intrigante percorso di selvaggina che non mancheremo per tutto l’oro del Mondo.
Così, nella quiete di una ventosa giornata dicembrina, ci avventuriamo in un percorso misto, che rappresenta La Peca ora ed allora.
Tiriamo il collo e avvistiamo qualche tavolo più in là Elisabetta Foradori, la signora del Teroldego trentino in anfora, con un noto esperto locale di vini francesi.
Per nulla suggestionati dalla presenza dell’Illustre Indigeno, stavolta evitiamo incursioni transalpine e sfruttiamo la conoscenza di Bressan per avvicinare il poco conosciuto mondo enologico locale.
Scegliamo il “Cinque” di Marco Buvoli, pinot nero metodo classico emozionante ed emozionale di Gambugliano, che uno deve cercare apposta sulla mappa geografica e il Tai Rosso di Daniele Portinari, insospettabile nelle delicatezze del frutto e nella trama piacevolmente elegante.
Cosa si mamgia alla Peca dei fratelli Portinari
Amouse bouche di rito, “il nostro pane” e iniziamo con il classico dei classici de la Peca, il Gelo di Acqua Tonica, lime e profumo di gin con tartare di scampi, gamberi rossi e canoce.
Un piatto che fu il trait d’union tra Adriatico e suggestioni ispaniche, quando lo chef frequentava Lo mejor de la Gastronomia e si produsse persino in un piatto chiamato “Cartoline da San Sebastian”. Erano anni più scoppiettanti, ammettiamo tutti.
Ma, poiché la vita continua, procediamo con alcune estrapolazioni dal menu vegetale: un’estetica rosa di rapa, kefir di capra, liquirizia e arachidi e le Casarecce integrali “Fracasso” (piccolo pastificio locale) con Fagioli di Lamon e Olio “Le Marsicane” di intrigante persistenza, prima di pescare a piene mani nella parte più selvatica e intensa del menu di terra.
Un trittico sensazionale, da manuale della cucina. Risotto di faraona, porro e mosto d’uva Garganega; Sella di lepre dry-age, nespole al bitter, scorzonera e amaranto; e Germano reale alle verze tostate, coscia fondente e crostone ai fegatelli.
Game, set, match: intravediamo il piacere più lussurioso nell’imminente menu di caccia by Portinari.
Infine, la lezione di cucina si conclude con due soufflé, armonici e delicatissimi che mi riportano direttamente alle scorribande lionesi da Mère Brazier.
Un dessert che si trova sempre meno, perché sempre in meno sono capaci di farlo, triste verità.
De La Peca non si parla moltissimo perché la sua eccellenza è fatto noto, perché i Portinari sono gente riservata non incline ai riflettori, perché si sa che gli abatini della ristorazione sono affaccendati in altre ricerche di immagine.
La verità è che La Peca è un grande ristorante ancora nel pieno della sua vitalità, e questa è la notizia più importante di tutte.
REPORT DEL 16 APRILE 2010
La Peca
Via Alberto Giovannelli, 2
Lonigo (VI)
Via Giovanelli, 2
Tel. 044.830214
www.lapeca.it
Sempre aperto. Chiuso lunedì e domenica sera. Nei mesi estivi anche a pranzo
Ferie: variabili a febbraio, due settimane a giugno e una in agosto.
A metà strada fra Vicenza e Verona c’è il ristorante veneto più importante dopo le Calandre e Perbellini. Per l’Espresso 2010.
La Peca (vuol dire traccia) ha dal 1996 la prima stella Michelin, da qualche mese la seconda. Siamo nella campagna veneta, l’ambiente è assolutamente rilassante, l’atmosfera ricorda vagamente i salotti delle nuove case borghesi degli anni ’70 con bei pezzi e pavimento di parquet: molta funzionalità niente ostentazione e pochi ricordi per capirci. C’è la sala grande per la tavolate familiari e di gruppo, e poi un po’ di angolini dove è possibile vivere più intimamente la serata.
Il panorama rilassa, ma noi, come al solito, siamo avvolti dal buio. Noi? Beh sì, stavolta ero con il Gran Capo in missione non segreta, una serata tranquilla prima del combattimento nella Fiera di Verona. Ovviamente spunti e valutazioni sono soltanto mie, anche perché Enzo, lo sapete, le cose non le manda a dire.
Prima domanda: cosa ricordo?
In primo luogo un servizio impeccabile e discreto, preciso ma contenuto.
Poi sapori molto precisi, niente inguacchi, una cucina costruita attorno ad una materia prima attorno alla quale Nicola gira come faceva Cassius Clay con gli avversari. Una cucina di energia dunque, legata sicuramente alla ricca tradizione territoriale continuamente richiamata, ma anche divertita, aggiornata con guizzi biricchini decisamente interessanti.
Sicuramente, insomma, non un ristorante autocelebrativo o fermo, ma ancora in movimento dinamico.
Vale la pena soffermarsi sul pane, in genere un po’ trascurato nelle recensioni eppure fondamentale, anche in considerazione del fatto che in genere è la cosa che più si mangia. Abbiamo ammirato l’ottima tecnica di lievitazione, come del resto potrete vedere anche dalla foto.
Quanto ai vini, la Carta è un aggiornamento della Treccani.
Si comincia con questo cuoppo veneto, ampollosamente chiamata cornucopia, un bel fritto semplice e pulito.
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Io non ho resistito e mi sono buttato su un classico, le variazioni del foie gras
Un piatto ghiotto, giocato sulle diverse consistente, talvolta si punta omeopaticamente sulla dolcezza, altre si lavora per contrasto. Una materia prima assolutamente sotto controllo, di quei colpi lanciati a memoria
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Potremmo dire il grande Nord, del resto annunciato dal burro a tavola. Sapore rotondo, morbido.
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Qui siamo sull’antipasto ordinario, con la carne impegnata a giocare nelle pieghe di ortaggi e legumi di stagione
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Qui torno bimbo quando si andava nei boschi in cerca di sciuscelle. La sapidità iodata dell’ostrica in combattimento con la dolcezza della pasta. Piatto dinamico, doccia scozzese nel palato, direi per certi versi emozionante. E poi buono, tanto buono.
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Qui il piatto è invece tranquillo, semplicemente buono.
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Non poteva mancare ovviamente il classico della casa
Qui è come dire spaghetto con lo scammaro a Napoli. Buono, goloso, netto, nessuna velleità di inventare nulla su un Propileo come questo
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Tra i secondi questo è stato sicuramente il più divertente: fresco, molto dinamico, la dolcezza della carne d’oca è molto ben contrastata e si finisce rapidamente anche con l’aiuto delle erbe di campo.
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Questo invece è stato il piatto più deludente, il tonno. Già di per se la sua carne non è esaltante, assolutamente monotematica, qui penalizzata a mio parere da un eccesso di cottura che lo ha caramellato all’esterno. Dov’è il mare?
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Le sfere di zucca esplodono in bocca spandendo dolcezza poi rinsavita da freschezza. Grande pensata ed effetto fuochi artificiali.
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Infine qui il rischio zucchero è sventato. Chiusura che ripulisce la bocca dopo una cena così importante.
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Dopo uno sguardo alla carta Vizzari ha studiato menu incrociati per consentire di provare praticamente tutto e confrontarlo: l’esperienza è stata piena e completa, spaziando dai classici sino ai piatti innovativi di stagione.
La Peca è sicuramente un luogo di sapore e di alta professionalità. Da non perdere se siete in Veneto, facile da raggiungere perché è logisticamente quasi al centro.
Avrete modo di entrare nel palato regionale, studiare il suo aggiornamento, sperimentare il naturale alleggerimento verso cui anche questa cucina è inesorabilmente diretta.
Vi lascio con l’altro vino e con una grande voglia di tornarci.
Ristorante La Peca a Lonigo dei fratelli Portinari
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