Locanda Mammì ad Agnone
Contrada Castelnuovo, 86
Tel. 0865 77379
Aperto a pranzo e cena, domenica solo a cena
Chiuso lunedì e martedì
Se sei un viaggiatore e non un turista in Italia devi camminare sulla dorsale appenninica, a volte con il profumo dell’Adriatico, altre con quello del Tirreno. E’ qui che l’Italia combatte la sua vera grande battaglia non solo contro l’omologazione del gusto, ma proprio per la sopravvivenza demografica. E il futuro, inutile girarci attorno, si costruisce non con gli algoritmi anglosassoni rimasticati alla Bocconi, ma quando due giovani si incontrano, progettano insieme casa, lavoro e figli. Punto.
Si arriva ad Agnone sommersi dal verde e dalla vegetazione rigogliosa percorrendo strade improbabili che la natura cerca di strappare all’uomo; l’aria è tersa, pulita, a 800 metri devi solo goderti quello che ti manca nel caos cittadino: lo spazio, parcheggiare l’auto senza estorsioni comunali o private, l’aria, l’acqua, il sapore vero dei prodotti, la calma. Ed è questo che vuoi trovare quando arrivi sin qui, nella Locanda di Stefana Di Pasquo e Tomas Torsiello completamente ristrutturata che ci ricorda i piccoli paradisi gastronomici che abbiamo avuto la fortuna di vivere sull’Appennino meridionale, da Locanda Severino a Caggiano a Frank Rizzuti a Potenza, dalla prima Casa del Nonno 13 all’Arbustico di Valva, dall’Oasis di Vallesaccarda a Villa Maiella.
Possiamo ragionare gastronomicamente, dire che siamo a un’ora o poco più da Fossaceca a San Salvo e da Reale Casadonna o da Villa Maiella, ma la verità è che una volta arrivati qui non avete voglia di andare via. Ma è giusto per dire che dall’Adriatico è una passeggiata di 40, 50 minuti.
Destino incrociato quello di Stefania e Tomas, entrambi figli di imprenditori edili, entrambi travolti dalla passione per il cibo. Lei dopo laurea e specializzazione in Economia a Pescara decide di perfezionarsi all’Accademia di Niko Romito. Lui con il fratello Cristian apre l’Arbustico nel piccolo paese di Valva dove per andare avanti si stringono i denti fino allo sbarco a Paestum, la conferma della stella e il motore che inizia a ruggire macinando clienti in quello che è ormai uno dei principali poli gastronomici del Sud. Si incontrano da Niko, dove Cristian ha lavorato a lungo, ma galeotti furono i gin tonic sino all’alba in una serata di Festa a Vico, scocca la scintilla tra sala e cucina e nel 2020 si parte riprogettando un vecchio casale, adeguandolo al contesto. Tomas lascia Paestum e rilancia la sfida ad Agnone, il paese dei campanari, importante centro borbonico dell’Abruzzo Citra prima dell’occupazione piemontese.
Il servizio di sala è seguito da Tomas, la carta degli champagne e dei vini è colta, ampia, curiosa, con i giusti ricarichi. Tomas lo conosciamo da ragazzo, è divorato dalla passione per il vino. Non si muove per sentito dire ma solo dopo aver provato. C’è anche buona Borgogna, quella non sborona. Dovrebbe avere solo più coraggio sul Molise, sia come posizionamento al primo posto fra le regioni in carta, che come numero di referenze.
La cucina di Stefania è solida, concreta, ben eseguita, pulita. A parte qualche ingenuità come il cervo, ha solidi riferimenti nei prodotti di una regione straordinariamente ricca: direi, in sintesi, la versione molisana dell’Oasis di Vallesaccarda: so dove sono e cosa mangio e mi ricorderò di questi sapori perchè per trovarli devo venire qui. Al massimo mi posso portare a casa la manteca che aggredisco in modo selvaggio come fece Proust con le madaleine: mi è sempre piaciuto il cibo che sta dentro il cibo, dai timballi ai caciocavalli con il burro che in Campania, nella zona del Vallo di Diano si chiamano burrini. Era un modo per trasportare il prezioso grasso animale senza perderlo.
L’aperitivo non è mera esibizione, ma ti spiega subito dove sei: dal cacio e ova alla tartelletta di cavolo nero. Bella ed efficace la panificazione, i grissini e la focaccia. La manteca al posto dell’olio e del burro è dunque una buona idea.
Cosa si mangia a Locanda Mammì ad Agnone
La batteria di antipasti è tutta centrata ed entusiasmante. A parte l’ottima materia prima, ovunque giochi di consistenza, di temperatura, giusti inserimenti di spezie e di odori e una costante preoccupazione per la freschezza, l’acidità, ottenuta in vari modi giocando sulla frutta. La trota affumicata farebbe invidia al più accorsato giapponese di Milano, nella cottura della quaglia si vede la scuola di Andreina, delizioso il piatto di piselli e caciovallo in proporzioni perfette con l’amaro-dolce della nocciola che si acchiappa e si respinge con i piselli.
Passando ai primi, il riso è davvero straordinario: una passeggiata in collina grazie alla capacità di far emergere il sapore delle erbe spontanee mentre il kefir da un lato attutisce un po’ l’amaro ma sostanzialmente regala al piatto velocità e freschezza. Un equilibrio perfetto.
Golosa, ben eseguita e ben cotta (come il riso) anche la pasta mista in una splendida salsa di zafferano. Molto ben inserito anche il tartufo, siamo nella regione con il maggior numero di cercatori di tartufo in rapporto al numero di abitanti, che si spingono sino in Sila per trovare quello che poi diventerà tartufo d’Alba. Il Molise e il vicino Sannio sono pieni di tartufaie naturali, purtroppo in questo settore funziona ancora all’antica: il Sud produce, il Nord commercia.
Tutti di buona scuola i secondi.
Anche se il cervo è il piatto che ci ha convinto di meno, sia per la scelta della carne, sia per una cottura portata troppo avanti che ha poi impedito al melograno di recuperare con l’acidità la secchezza di una carne magra che va appena scottata.
Geniale, infine, il dolce, che riprende una antica tradizione contadina di saporita povertà.
Per il bere, come al solito, abbiamo puntato sul territorio anche se, ripetiamo, le tentazioni erano tantissime.
CONCLUSIONI
Locanda Mammì è un posto dove si sta benissimo, rifugio fresco d’estate per chi soggiorna sulla costa adriatica, magnifica tappa per un viaggio nei paesi del nostro Appennino, confortevole rifugio d’inverno. I menu degustazione costano 50 e 65 euro, noi abbiamo preso qualcosa in più e abbiamo pagato 70 euro. Sono cifre che dimentichi appena usciti perchè sono i piatti che ti restano in testa e appena uscito vorresti tornare per provare il resto del menu. Ma purtroppo solo quando sto con il mio amico Giuseppe Di Martino posso ordinare tutto il menu, e lui sta in esilio a New York al contrario mio che, ad Agnone, mi sono sentito al centro del mondo.
Ale!
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