di Giulia Gavagnin
Strana e bella la storia di Local, che si pronuncia Locàl, perché nell’estremo nord est l’accento è sempre sull’ultima e guai a sbagliare.
Due figli d’arte, storica locanda di famiglia dal nome esotico sulla Riva degli Schiavoni, Palazzo Ducale a due passi e il desiderio di dare qualcosa di nuovo e diverso alla loro città, qualcosa che l’avvicini alle grandi capitali d’arte e di cultura e non le solite, vituperate “tourist-trap”.
Venezia non si discute ma non è un segreto, si mangia(va) maluccio. C’erano i soliti, grandi, sontuosi posti, lo strapotere di Cipriani, la cuisine d’hotel, i Do Forni di Eligio Paties, il Covo e la riscoperta delle autentiche radici lagunari, ma nel mare magnum della ristorazione turistica mancava proprio “un posticino” moderno, che non fosse impolverato e nemmeno un’osteria, con una spinta decisamente dinamica e una presenza giovane ma connotata da una certa eleganza.
I figli d’arte sono Luca e Benedetta Fullin, quest’ultima, in particolare, forte di una lunga esperienza a Londra in tutt’altro settore e stanca di sentirsi dire: “Oh, bella la tua città, ma quanto male si mangia, non ci vengo proprio per questo!”. E allora, rientrata in patria, col compagno Manuel –valente sommelier- si distacca dalla pur ottima Pensione Wildner gestita dai genitori per dare vita alla sua idea di ristorazione, iniziando con un manipolo giovani con gli stessi intenti una sorta di nouvelle-vague veneziana.
Insieme al fratello, sceglie un locale intimo, piuttosto lontano dalle strade più turistiche, lo allestisce di un sontuoso pavimento a murrine incastonate che costituiscono il logo del ristorante.
Local, perché è forte la vocazione di valorizzare la materia prima di un territorio così peculiare, che fu Repubblica del Leone e marinara, con ecosistema lagunare del tutto peculiare e grande tradizione di importazione di prodotti dai tempi della via della Seta.
Luogo ideale per uscire dal clichee delle sarde in saor e dei risi e bisi, per sperimentare una “bistronomie” (se il termine è concesso) che si presti a cambi di menu stagionali e idee che fanno viaggiare la mente, com’è naturale in questa terra che fu di viaggiatori e marinanti.
Poi capitano situazioni strane, Local prende la stella Michelin nel 2021, il “localissimo” chef Matteo Tagliapietra da Burano abbandona la nave e salpa Salvatore Sodano, vecchia conoscenza dei frequentatori della Costiera. Così, due repubbliche marinare in una che sì, fanno faville.
Una strana coppia, Amalfi e Venezia, connotata da rivalità durante le regate e armonia quando si discorre di fornelli.
Sodano sta dimostrando intelligenza, quella di scavare nel terreno comune tra i due mari, sì da proporre piatti eleganti e schietti che possono incuriosire sia l’indigeno che il foresto, perché gli ingredienti che propone sono molto specifici di entrambi i luoghi, mai generalisti.
E poi, va detto. Due anni fa, appena giunto in Laguna era spaesato come tutti, oggi invece, come un altro “immigrato” eccellente, Donato Ascani del Glam, non vorrebbe più andare via.
Così, con il dream team Benedetta e Manuel sperimenta cose talvolta curiose, altre assai ardite, come un intero menu da abbinare ai distillati di Vittorio “Gianni” Capovilla, il mitico alchimista della vinaccia e della frutta più rara, che a Rosà –zona Bassano del Grappa- estrae aromi che normalmente si trovano solo oltre le Alpi, dove le temperature sono più inclementi.
Dice il “grande vecchio” Capovilla: era da vent’anni che non mi prestavo a una sperimentazione di menu in abbinamento ai distillati.
“Abbiamo studiato gli abbinamenti con i piatti tante, tante volte” ripetono all’unisono Sodano e Alvise Ennas, nipote del “Capo” (così lo chiamano gli amici e gli affezionati seguaci, anche delle sue mitologiche feste dicembrine).
Così, dopo aver selezionato tra sessanta varietà, escluse le grappe di vinacce (mai qualsiasi: i suoi fornitori si chiamano Franz Haas, Cappellano, Gravner, Mascarello, Dal Forno ecc.) per la loro troppo caratterizzante aromaticità, sono state scelte sei tra frutta coltivata e spontanea, essendo questa la summa divisio capovilliana.
Ribes Nero, Bacche di Sambuco, Lamponi Selvatici, Corniole, Mele Decio e –unica concessione all’uva ma in forma d’acquavite- il moscato rosa.
Le prime quattro da frutti spontanei, la Mela Decio specie autoctona di Belfiore in provincia di Verona, tutte con un corredo aromatico gastronomico.
Se i “cicchetti” proposti da Sodano sono amuse bouche a connotazione veneto-campana alternata, è piaciuto moltissimo il debutto avente il medesimo ritmo, “musso, garusoli e funghi”, che nell’idioma alternato sarebbe “o’ ciuccio, murici, funghi”. La carne d’asino, invero, è tradizionale in tutta la “bassa” dal veronese al padovano dove il vecchio animale da lavoro veniva consumato alla domenica. I “garusoli” invece sono tipici della laguna e di tutto l’alto Adriatico, affollavano le reti dei pescatori e hanno un carattere salmastro inconfondibile.
Prova superata anche nella ormai dovuta concessione al solo vegetale, sedano rapa bianco rigorosamente del Veneto e nell’omaggio quasi esclusivo alla regione ospitante, tradizionale risotto di radicchio trevigiano, celebratissima ostrica di Scardovari e un potente blu di capra.
Torna parzialmente alle origini con un rosato agnello della Murgia pennellato da uva fragola e salsa peverada, tradizionale del Veneto.
Termina con dolci-non dolci, di topinambur e un “insolitamente” armonico “grappa, nocciola e curry”.
Un percorso stimolante, insolito, che se non fosse proposto a Venezia, ma
ma in un bistellato scandinavo, tanto per dire, farebbe gridare al miracolo.
Sono dunque avvisati i clienti più esigenti. Questo percorso è tra le migliori sorprese d’inizio d’anno e perderlo sarebbe un gran peccato.
Intanto, apprendiamo che anche il fratello di Salvatore, Francesco Sodano, approda in Veneto, sponda veronese, alla corte di Giovanni Rana. Se il buongiorno si vede dal mattino, sarà un successo.
Local
Salizzada dei Greci 3303
30122 Venezia
TEL. 041-2411128
Scheda del 3 aprile 2023
di Raffaele Mosca
Quante volte, mentre mangiavate un piatto gourmet, vi siete sentiti smarriti, perché, al secondo boccone, avevate già dimenticato la sfilza di ingredienti appena elencati a velocità di razzo missile dal commis di turno? Quante volte, consultando il menu stampato, o addirittura andandolo a cercare sul sito web, vi siete ritrovati davanti a tre parole scandite da una virgola che non aiutavano affatto?
Ebbene, da Local, indirizzo stellato con vista su di uno dei canali del sestriere Castello, nel cuore della Serenissima, hanno trovato una geniale soluzione a questo problema che si ripropone costantemente negli indirizzi fine dining: ogni portata è preceduta da un bigliettino con nome del piatto e qualche aneddoto su tecniche, ingredienti e concetti alla base. Lo si legge in attesa che la portata arrivi in tavola e ci si comincia a fare un’idea. In questo modo, non solo si riescono a carpire tutti i perché e per come di quello che si sta mangiando, ma i sapori rimangono anche più impressi nella memoria.
Bigliettini a parte, questa stella Michelin a una decina di minuti da Piazza San Marco merita attenzione perché è una delle tavole più creative e cosmopolite della Laguna e dintorni. Da circa un anno la proprietaria Benedetta Fullin, appartenente alla cerchia sempre più stretta dei Veneziani DOCG, che meriterebbero la protezione del WWF per il serio rischio d’estinzione, ha assoldato Salvatore Sodano, chef campano con esperienze pregresse nell’alta ristorazione a Londra e, più di recente, al timone del Faro di Capo d’Orso a Maiori. Insieme hanno congegnato una proposta che “local” lo è nell’uso rigoroso della materia prima proveniente dall’Adriatico, ma è anche “ g-local” per impiego di tecniche internazionali – e à la page – come fermentazioni e frollatura del pesce.
La formula cena, tutta impronta sulla degustazione, prevede due menu da sette e nove portate (rispettivamente a 110 e 150 euro). Noi optiamo per la versione più smart, rinunciando volentieri alla carne, per seguire un percorso con il fil rouge delle “sapidità essenziali” che ricorda a tratti quello omonimo dell’ ischitano Apreda da Idyilio a Roma. Può sembrare retorico, ma in molti piatti – a partire dai cicchetti d’entrata, tra i quali c’è anche una bolla d’acqua salmastra – si sente un profumo marino che arriva al cervello: lo stesso che si avverte a Venezia quando comincia a spirare il vento.
I piatti di Salvatore Sodano
A brillare tra le sette corse è il risotto con burro affumicato, anguilla e garum di polline: un’esplosione travolgente di ricordi acidi, salmastri e umami; finisce in un battibaleno, ma l’eco rimane per minuti.
Segue a ruota il granchio blu con quota imprescindibile di vegetale a corredo, “da mangiare più spesso – spiega il bigliettino – perché nell’Adriatico non ha predatori e danneggia reti e letti di alghe”; poi la cernia con radicchio di Treviso e agrumi, che, a discapito di una presentazione in cui una spuma un po’ retrò domina la scena, fa emergere la materia prima frollata – e quindi concentrata e rassodata – in tutto il suo splendore.
Bene anche il sashimi di tonno con shiso e limone – un po’ partenopeo e un po’ nipponico – così come il pane a lievitazione naturale di “romitiana” memoria.
Rinfrescante lo “sgropin” ghiacciato e la spuma di liquirizia, che vanno ad anticipare un dessert non corredato da bigliettino e anche per questo meno memorabile del resto.
In linea la scelta sul fronte del bere: ben studiata la cantina, con tante chicche e ricarichi non bassi, ma onesti se rapportati agli standard di una città dove nulla è a buon mercato. Noi scegliamo un percorso al calice molto azzeccato che parte da un valido rosato toscano, passa per un Friulano sloveno molto spinto sul varietale, sfrutta la versatilità di un Pinot Grigio ramato e poi l’azione stemperante di un insolito Traminer botritizzato con leggero residuo zuccherino che ricorda più l’Alsazia che il Friuli.
CONCLUSIONE
Biglietti salvifici a parte, Local è una tavola degna di nota in un luogo splendido e gastronomicamente dannato, dove l’aperitivo è generalmente meglio della cena, perché di bacari più o meno dignitosi se ne trovano, mentre i ristoranti veri e propri che travalicano il modello spenna-turisti si contano sulle dita di due mani (complice lo spopolamento quasi totale del centro storico). Una menzione d’onore va anche al servizio – spigliato, informale, ma efficiente a fronte di una sala in full booking – e alla vista canale che, quasi cozzando con l’interno in stile moderno e cosmopolita, sottolinea di nuovo il concetto di “g-local” che è alla base di tutta l’esperienza.
Salizzada dei Greci, 3303, 30122 Venezia
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