di Roberta Raia
La vendemmia è finita, i vendemmiatori si accingono a partire.
Nonostante i consueti festeggiamenti post-vendemmia, sono un po’ triste- una sensazione di amarezza mi pervade: mi sento un po’ disorientata, come al termine di un viaggio, quando non si sa a cosa si va incontro…
si chiude, dunque, l’atto primo di questa mia esperienza.
Sono cambiati totalmente i ritmi di lavoro e del tempo in generale: si può constatare come, d’improvviso, le giornate si siano accorciate e godere della riduzione degli orari di lavoro.
Dopo aver seguito la vendemmia e le prime fasi della vinificazione, possiamo passare allo step successivo; vorrei spostare l’attenzione su un aspetto della vinificazione che mi affascina particolarmente : la degustazione dei mosti.
In realtà questa si effettua sin dal primo giorno in cui il mosto è convogliato nel “cuve”, al fine di monitorarne l’evoluzione durante la fermentazione alcolica, nel corso della quale (come, forse, tutti sapranno) avviene la trasformazione degli zuccheri in alcol, ad opera dei lieviti- ma non solo! Infatti contemporaneamente si originano molti composti volatili responsabili delle caratteristiche aromatiche del vino, questi dunque vengono, detti aromi di fermentazione.
Le caratteristiche aromatiche del vino non dipendono soltanto da questi ultimi. Molte sostanze odorose derivano direttamente dall’uva (aromi varietali); esse costituiscono il “patrimonio aromatico” che viene ceduto al vino durante la fermentazione e nell’invecchiamento. Questa parentetica è necessaria per comprendere il motivo per cui di fronte ad un Merlot o ad un Cabernet Sauvignon ci si aspetta, al naso, il classico odore di “peperone”.
E’ incredibile come, giorno dopo giorno, i mosti evolvano, acquisendo sempre più velocemente la propria identità, sprigionando profumi e aromi tipici della varietà a cui appartengono.
Sarei felice di riuscire a portarvi per mano e accompagnarvi nel viaggio sensoriale che tutte le mattine compio degustando i vari campioni.
Prima ancora che intervenga il palato, le diverse tonalità e intensità di colore ci orientano al riconoscimento del campione; poi, con la degustazione, in base al vigore dell’acidità, la morbidezza e la carica tannica, è possibile capire definitivamente di che “vino” si tratti.
E’ un’ esplosione di sapori, colori, odori!
Mentre mi perdo in quest’orda di sensi, provo ad’ immaginare il vino che potrebbe derivare dall’assemblaggio delle varietà vinificate (per il momento) separatamente- e mi sembra d’impazzire!
Tutta questa premessa era d’obbligo per poter parlare poi dell’assemblaggio. Di fondamentale importanza è capire che ogni vitigno ha la sua specificità, sebbene l’espletamento di alcune o altre caratteristiche è veicolato e influenzato da molteplici fattori, quali il clima, il terroir, l’annata, la resa, la vinificazione, parametri estremamente variabili; si può comunque affermare che, tendenzialmente, il vitigno-poi mosto- poi vino conserva talune caratteristiche di base.
La costante degustazione e valutazione dei mosti prima e dei vini poi, è di grande importanza per poter miscelare in modo armonico, bilanciando pregi e difetti delle singole basi e creare un prodotto che sia equilibrato: in questo sta la maestria dell’enologo.
La cosa “sconcertante” è che non esiste una ricetta: è il tempo a condurre il gioco, non resta che sottometterci al suo volere e osservare l’evoluzione del vino. L’arte e la sapienza dell’enologo consistono nel capire come e quando intervenire, considerando, nel contempo, tutta una serie di parametri, e nel pronosticare l’andamento dell’evoluzione delle caratteristiche organolettiche dei singoli vitigni e la loro reciproca interazione per poi decidere le percentuali d’assemblaggio che concorreranno alla realizzazione del vino finale.
Ritengo tutto ciò estremamente difficile e affascinante… curiosa, attendo le operazioni d’assemblaggio, pregustandone, per il momento, soltanto un’ idea!
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