di Raffaele Mosca
Il bianco e il nero, la luce e l’ombra. La grazia, la finezza e la piacevolezza senza se e senza ma da un lato; dall’altro l’estro, la complessità, la profondità.
È la dicotomia quasi shintoista della galassia Champagne, perennemente sospesa tra i Blancs e i Noirs. Storicamente queste due anime distinte del terroir champenois sono sempre andate a braccetto nell’assemblage, la miscela di vini e vitigni dalla quale nasce la cuveè. Ma negli ultimi sono proliferate le etichette prodotte a partire da una sola varietà o da vitigni diversi dello stesso colore. La radice del cambiamento va cercata nella rivoluzione agricola – contadina in un certo senso – della Champagne nel nuovo millennio, che ha comportato una riscoperta dell’identità territoriale e varietale dei vini a discapito dello stile aziendale.
Tutto questo serve ad introdurre l’unica masterclass internazionale della settimana più glam del vino italiano: quella organizzata da Alessandro Rossi di Partesa con Alberto Lupetti e Vania Valentini, curatori della guida Grandi Champagne, e due produttori champenoise quasi complementari: Philippine Diebolt di Diebolt Vallois e Michel Drappier della maison Drappier. L’intenzione degli organizzatori era proprio presentare due facce opposte del territorio: la prima strettamente legata ai Blancs, la seconda votata ai Noirs e alla riscoperta dei vitigni rari.
Diebolt-Vallois
A Cramant, nel cuore della Cote des Blancs, mecca dello Chardonnay champenoise che dá vita alle uve più costose della regione e forse del mondo (oltre 8 euro al kg), la famiglia Diebolt – divenuta Diebolt-Vallois in seguito al matrimonio tra Jacques Diebolt e Nadia Vallois – produce grappoli e vins clairs del 19esimo secolo. L’attività di vinificazione e commercializzazione, però, è assai più recente: la prima spumantizzazione in proprio risale al 1954 (annata base 1953) ed è realizzata dal bisnonno di Philippine per celebrare il ritorno del figlio della guerra d’Algeria.
Sei anni più tardi, nel 1959, si cominciano ad immettere le prime bottiglie con marchio proprio in commercio, in tempi in cui i vignaioli vinificatori si contano ancora sulle dita di una mano. “ Al tempo la produzione era completamente monopolizzata alle maison – spiega Alberto Lupetti – l’affermazione dei recoltant manipulant è un fenomeno più recente, che parte negli anni 70’, prima di allora a vendere vino da soli si moriva di fame”.
I Diebolt sono stati tra i pionieri di questo movimento e tutt’oggi la loro realtà mantiene l’assetto originale, con 14 ettari vitati gestiti in regime biologico da papà Arnaud, figlio di Jacques, con Philippine e sua cugina Ophelie. L’intera produzione è incentrata sullo Chardonnay – fatta eccezione per la Cuveè Tradition e il Rosè – proveniente da Cramant, Cuis e Chouilly nella Cote des Blancs ed Epernay nella Vallee de la Marne . La prerogativa che ha reso forte il brand Diebolt-Vallois anche a fronte di numeri non troppo importanti – circa 150.000 bottiglie – è l’equilibrio tra freschezza varietale e maturità. “ Sono Champagne dritti, raffinati, ma anche dotati di una certa cremosità – spiega Lupetti – è difficile resistere alla tentazione di berli subito, ma diventano ancor più buoni con il passare degli anni”.
Drappier
Dalle zone storiche, si passa alla Cote des Bars, area periferica della regione, situata all’estremo sud, non lontano da Parigi e da Chablis. Una terra che – come spiega Vania Valentini – era a malapena menzionata nei corsi per sommelier vent’anni e che, oggi, invece, sta vivendo un vero e proprio exploit. Michel Drappier è il rappresentante di una famiglia storica di questa parte di Champagne, tra le prime a spezzare il monopolio delle grandi maison – che l’ avevano trasformata in un grande serbatoio di uve – e a rilasciare nel 1952 una propria Cuveè che, poi, nei decenni successivi, è diventata una delle più iconiche della Champagne tutta con la sua etichetta dorata (da cui deriva il nome “Carte d’Or”).
La sede della maison, che attinge per la produzione dai 62 ettari di proprietà e da una rete di conferitori di lunga data, si trova a Urville, villaggio già noto in epoca medievale per i Vins de Bars, rossi fermi prodotti nel circondario dell’Abbazia cistercense di Clairvaux. “ Fu proprio Bernardo di Chiaravalle, abate di Clairvaux, ad introdurre il Pinot Nero in Champagne per fare vino da messa – spiega Vania Valentini – qui il vitigno si esprime in maniera meno austera che nella Montagne de Reims, zona di elezione nel cuore della regione”.
I Drappier hanno le spalle abbastanza grosse per sperimentare ed è per questo che da qualche anno si cimentano anche nella vinificazione senza filtrazione e senza solfiti aggiunti e nella sperimentazione della viticoltura biodinamica, con 27 ettari attualmente convertiti. “ Siamo vicini alla Borgogna e la viticoltura risente molto dell’onda green di Chablis e dintorni” spiega Vania. La domanda che può sorgere spontanea quando si sente parlare di questa vicinanza è: perché continuare a relegare lo Chardonnay al ruolo di uva complementare, secondaria se la matrice del suolo (kimmeridgiano superiore) è pressapoco identica a quella di Chablis? Ci pensa Michel a rispondere: “ non vogliamo produrre degli Chablis con le bolle. Il Pinot Noir ci permette di avere una nostra cifra stilistica inequivocabile.”
Altro filone di Drappier è quello relativo alla riscoperta dei vitigni dimenticati: in degustazione abbiamo anche Quattor e Trop M’En Faut (tradotto: non ce n’è mai abbastanza). Il primo è una cuveè composta da Arbane, Petit Meslier, Pinot Blanc e Chardonnay con un basso contenuto di solfiti (meno di 30 mg/l). Il secondo, invece, è l’unico esempio in circolazione di Fromenteau – variante champenois del Pinot Grigio – in purezza. “
I vini
Blanc de Blancs
Il brut sans anneè della casa: uve da Cuis, Chouilly, Epernay e vigne giovani di Cramant, affinamento del vino base in acciaio, tre anni sui lieviti prima della sboccatura. Il naso è didattico, quintessenziale: gesso e mela limoncella, qualche cenno di pasticceria e una ventata balsamica. Il sorso è coerente, leggero senza essere diluito, vibrante – solo 4 g/l di zucchero – ma non privo di una certa cremosità di fondo che fa da contraltare ai ritorni intensi, salivanti di agrume e “craie”. Come dice Lupetti, “non ne basta una bottiglia in due all’aperitivo”.
Diebolt Vallois – Brut Prestige
Stessi vigneti del precedente, ma gli anni di affinamento sono 7 e c’è un 30% di vins de reserve stoccati in legno. Va da sé che il naso svela subito una maggiore profondità: accenti di tostatura s’intrecciano con toni di acciuga sotto sale e polvere pirica, burro demi-sel, erbe alpine, mela golden e pesca nettarina. Il gusto è subito più robusto e cremoso, anche più fruttato – mela matura, qualche cenno tropicale – ma sempre sostenuto da una mousse finissima e dalla solita parte minerale che dinamizza la bella materia e prende il sopravvento nel finale roccioso, estremamente rinfrescante.
Diebolt Vallois – Blanc de Blancs 2013
Uno dei pochi millesimi “classici” dell’ultimo decennio: la vendemmia si è svolta, come sempre accadeva in passato, ai primi di ottobre. Rispetto al Prestige, questo millesimato appare più sussurrato, più giocato sul frutto e meno su tostatura e spezie. Il profumo è di pesca nettarina e ananas, ginestra, erbe aromatiche e classici spunti gessosi. In bocca il frutto torna coerente ad abbracciare una progressione di straordinaria energia, con un’acidità perfino più infiltrante, e il rimando alla “craie” che insiste a lungo e fa salivare.
Diebolt Vallois – Fleur de Passion 2012
Nato negli anni 80’ sul calco del primo Champagne creato per celebrare il ritorno del figlio nel ‘53, proviene dalle vigne più vecchie del village Grand Cru di Cramant e riposa in legno prima di affrontare una presa di spuma lunga ben 8 anni. Gli aromi sono classici e streganti: nocciola tostata e canditi, pan di spagna, miele d’acacia, ananas, incenso e tabacco biondo; poi di nuovo la matrice gessosa che si fa strada e ritorna precisa in un sorso in perfetto equilibrio tra tensione e ossidazione mai troppo marcata, con ricche tostature di fondo, l’effervescenza setosa che dà slancio e un finale ampio, tridimensionale, sospeso tra miele e agrumi canditi, spezia chiara e classica mineralitè. Semplicemente meraviglioso!
Drappier Quattor
25% Chardonnay, 25% Arbane, 25% Petit Meslier e 25% Pinot Blanc (anche detto Blanc Vrai). Un blend unico che dà vita ad un prodotto assolutamente sui generis, che dispensa aromi pungenti di pepe bianco ed erbe aromatiche, mela golden e lavanda, menta e leggera tostatura. In bocca è snello e reattivo con un’impronta meno gessosa e più salmastra – quasi ostrica – un tratto più maturo (mela cotogna, miele) a rimpolpare e un finale lungo, nitido su toni di frutta secca. Non una semplice curiosità, ma uno Champagne di tutto rispetto che dovrebbe regalare soddisfazioni anche in tavola.
Clarevalis
75% Pinot Nero con saldo di Chardonnay e Pinot Bianco. Le uve provengono dagli antichi possedimenti dell’Abbazia di Clairvaux. Il profumo è chiaroscurato: guscio d’ostrica, erbe aromatiche, ribes bianco e mela renetta, violetta, sul fondo tracce più scure di sottobosco e crema di caffè. E’ molto asciutto, sferzante all’attacco, poi più ampio e carnoso, decisamente vinoso, con un accenno di tannino e una vena salmastra intensa che emerge nel finale energico, accattivante. Da Carbonara o da pizza con la mortadella.
Trop M’en Faut
Da una vecchia parcella di Fromenteau (Pinot Gris). Per comprendere quant’è raro questo vitigno, basta sapere che il vigneto in questione consta di circa 0,7 ettari ed è il più grande a corpo unico della regione. Gli aromi sono indubbiamente più tendenti al Pinot che allo Chardonnay: mela cotogna e fragolina selvatica, amaretto e una nota minerale quasi ematica . E’ tra i pochi Champagne fanno 13 gradi di alcol e offre ricca polpa e vinosità, cremosità smorzata dalla salinità potente, cenni ossidativi che amplificano la chiusura profonda, golosa.
Grand Sendreè 2010
La cuveè prestige della casa: 55% Pinot Nero, 45% Chardonnay dal vigneto del “grande incendio dell’800”, le cui piante hanno tra i 40 e i 70 anni. Sorprende con un naso meno ricco dei precedenti, intensamente marino e garbatamente balsamico, poi croccante di mela rossa e mirtilli, con tracce tostate e fragranti sullo sfondo. L’impianto gustativo è largo, abbondante, avvolgente, prima setoso e poi più slanciato grazie all’impronta minerale che anche torna precisa come un orologio svizzero. C’è anche un tratto più ossidativo, boschivo, che dà profondità a un finale agile e tridimensionale, di grande incisività.
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