di Carmen Autuori
La Sicilia, crocevia di popoli e di culture che si affacciano sul Mediterraneo, è caratterizzata da tre tipi di cucina. La prima, barocca e aristocratica, quella dei monsù per intenderci, che oggi si sarebbe chiamata cucina internazionale; la seconda contadina o popolare; la terza di strada, detta dei “buffettieri”.
Forse quest’ ultima è la più autentica e rappresenta il frutto delle tante contaminazioni che si sono succedute nell’isola. Sebbene, come è ormai noto, ad influenzare la cucina siciliana siano stati soprattutto i saraceni, e ne è testimonianza il grande uso dell’agrodolce sia con le verdure che con la carne, non possiamo certo ignorare il grande contributo che la cucina ebraica ha donato alla storia gastronomica siciliana. Parliamo della cucina cacher, da cui deriva il panino cu ‘a mevuza, la caponata, i taralli, il pane intrecciato, la cubaita, quel dolce realizzato con la giuggiulena (semi di sesamo), le mandorle, le noci, le nocciole. Anche l’uso della tovaglia ricamata, quella buona del corredo per intenderci, viene proprio dalla tradizione ebraica, furono infatti gli ebrei ad usare raffinate tovaglie corredate dalle “pezze da bocca”, i nostri tovaglioli.
Tra i cibi siciliani di scuola ebrea interessante è la triglia allo zafferano ovvero “all’ebraica”
Questo pesce chiamato “mullus”, era già conosciuto in epoca romana, tanto è vero che il suo fegato era usato sia come medicamento sia come boccone per i palati più raffinati.
Secondo Plinio, i suoi contemporanei erano particolarmente ghiotti di triglie, consacrate a Diana, mentre Giovenale narra di un certo Crispino che arrivò a pagare seimila sesterzi per una triglia di sei libbre, valore pari all’acquisto della proprietà di un campo. Ancora nel XVII secolo alle triglie erano attribuiti poteri soprannaturali, come testimonia Baldassare Pisanelli nel suo Trattato della natura de cibi et del bere, secondo il quale questi pesci erano in grado di liberare dalle magie negative e, se affogati nel vino, rendevano l’uomo impotente e la donna sterile.
Ancora oggi è considerata tra i pesci più pregiati, tanto che gli amatori amano consumarla con tutte le interiora, e per questa ragione è considerata la “beccaccia di mare”.
Molto prima che la triglia acquisisse notorietà grazie alla sua declinazione “alla livornese” (cioè con il pomodoro), ricetta nata solo a fine Ottocento, veniva cucinata con lo zafferano. “Il pomodoro arriva tardi e fa dei danni spaventosi, spesso irreversibili perché si ‘pomidorizza’ tutta la nostra cucina, distruggendola” così afferma Gaetano Basile, scrittore, giornalista e storico delle tradizioni popolari.
Nella preparazione non possono mancare i pinoli che sono, da sempre, elemento molto presente nella cucina siciliana popolare sia per il gusto particolarmente gradito sia perché l’uso del pinolo ha rappresentato nella medicina popolare l’unico deterrente contro l’intossicazione alimentare.
Triglie all’ebraica
Ingredienti per 4 persone
4 triglie
2 cipolline novelle
1 bustina di zafferano
1 bicchiere di vino bianco secco
30 g di farina
50 g di pinoli
Sale
Pepe
Olio evo
Procedimento
Lavate le triglie sotto il getto dell’acqua corrente dopo averle accuratamente eviscerate.
Tritate finemente le cipolline mondate e fatele rosolare, in una padella antiaderente, con l’olio a fuoco lento.
Passate il pesce nella farina, aggiungeteli al soffritto e fateli dorare rapidamente su entrambi i lati.
Sciogliete lo zafferano nel vino e sfumatevi le triglie in cottura; quindi cospargete con i pinoli precedentemente tostati e fate cuocere per qualche minuto. Salate, pepate e servite caldissime.