di Marco Bellentani
Cristiano Tomei, viareggino, emigrato a Lucca, è il classico esempio del “chi la dura la vince”. Ora tutti lo conoscono. Una volta sperimentava piatti forse troppo avanti con i tempi. Della sua lontana esperienza nella città d’esordio, oggi, dopo essere passato dal Museo di Arte contemporaneo del capoluogo di provincia, rimane solo il ghigno beffardo, simpatico e guascone che accompagna questo mostro di genialità. Preso tetto sotto l’egida del monumentale e bellissimo Palazza Pfanner in centro a Lucca, Cristiano, illumina le stanze e ci apre il giardino di una dimora d’epoca senza uguali. Statue, alberi, fontane. Un comprensorio d’arte avviato nel 1660 che, ai più, risulterà famigliare perché dimora del Marchese del Grillo nell’omonimo capolavoro di Mario Monicelli (ma anche Ritratto di signora di Jane Champion).
Stella Michelin, cucina di avanguardia. Cristiano risulta spesso traboccante, incontenibile. Personaggio tv, schietto, dissacrante. Soggetto shizo-geniale ai fornelli, Tomei recupera tutto il suo amore per la terra, per le erbe e i prodotti selvaggi. Per le piccole cose pascoliane della provincia, davvero facendone centro del mondo, suo e di chi lo vuole visitare. Senza se e senza ma. Di più, Tomei risulta si stellato, ma brilla di luce indipendente: non c’è esperienza da salottino borghese, non c’è ripetizione dei soliti canoni, non si mangia – come purtroppo a volte accade – quello che si mangia in occasioni di pari rango. Tomei traccia il suo abbinamento, la sua creazione. Non entrano voci che vogliono indicare una via, un percorso per arrivare. Siamo già oltre, fuori dalla banale. Per questo, che lo si ami o no, Tomei diventa, oggi, imprescindibile nell’esperienza del buongustaio, del curioso e dello studioso.
Lo si fa con un servizio sciolto dove lo chef compartecipa, senza orpelli, ma con risaputa gestualità. Non c’è menu, c’è la stagione e l’estro di Cristiano – senza abbandonare la riproposizione di signature dish, di evergreen – Cristiano trasuda tradizione e tradimento di essa. Come suo esplicito manifesto.
Dopo l’entreé arriva subito il capolavoro: Ostriche, prosciutto e melone. L’ostrica è in due servizi, una crunchy, fritta con gallina e l’altra – incredibilmente eccelsa – con brodo di spalla cotta e melone. Altrove, siamo. In un boccone si spazza via il conformsmo. Tomei mostra evoluzione della sua tradizione. Snocciolando il rosario degli highlights, tralasceremo qualche piatto nobilmente gustoso, come la panzanella fermentata, ma lo spazio se lo prende, ad esempio, l’Ossobuco. Il grasso del calamaro, il grasso sello scampo, il riccio, il midollo stesso. I grassi si uniscono, si rincorrono, creano nuance, voluttà con un retrogusto di carne alla brace. Chi può voler di più?
Il problema è che arriva la Triglia alla Livornese. Due salse, erbacea e arrabbiata ad esaltare il pesce, il suo brodo, l’essiccazione in un altro masterpiece definitivo, dolce e arrabbiato, succulento, sanguino eppur pulito. Sgrassato anch’esso nel suo grasso. Buona anche l’Aragosta, volutamente anni 80 con equilibrio perfetto della sua bisque.
La Minestra di Riso, gode del prosciutto di Langhirano, dell’estratto di foglie di fico e del concentrato di limone. Si ritorna al prosciutto e fichi e si annega consapevoli in una persistenza possente, rinvigorita d’acidità. Il Valentino è una pasta cotta nella pasta dove il concetto di grasso viene estrapolato dalla materia vegetale e si ritorna, ai ricordi, presso la cotenna di maiale. Insomma, Tomei stimola percezioni giocando con i nostri sensi, ma non si perde, riesce sempre a “fare bene, fare da mangiare”.
Lo dimostra anche l’Anguilla in carpione, cotta primitivamente in terracotta, la Lepre in rosso e perché no, quello squisito tramezzino dove giace il fagiano in salsa bernese con asparago e pomodoro. E anche il gusto mitteleuropeo è rivisitato. Finiamo con un’anatra più classica, quanto buona e una serie di dolci non dolci che faranno la gioia di chi si è stufato di quantità zuccherose eccessive.
Cristiano semina un altro caposaldo della sua cucina: vitale, di ricerca estrema, di valorizzazione dei prodotti del territorio e non e, soprattutto, dei nostri ricordi, da quelli di bambino ai recenti. Il gioco è sempre sul tavolo, piatto dopo piatto, come una sfida creativa che, tutto sommato, fa sorridere ma anche commuovere. La seconda stella è di rigore. Si aspetta solo il fischio dell’arbitro. Bravo. Stop.
Prezzi: 70€ cinque assaggi , 90€ sette assaggi , 110€ nove assaggi ; a tutte le opzioni si aggiungono diversi semi-dolci.
L’imbuto – Limonaia del Palazzo Pfanner a Lucca
Piazza del Collegio
Telefono 331 9308931
e-mail: ristoranteimbuto@hotmail.it
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