Lidia Bastianich viene sempre volentieri a Napoli. Fece qui il suo viaggio di nozze con il marito Felice nel 1966 per salire sul cratere del Vesuvio. Poi è tornata per fare riprese per le sue trasmissioni in Tv seguite da decine di milioni di americani: pomodori, mozzarella, pasta, olio. In Campania c’è davvero l’imbarazzo della scelta per giocare sull’immaginario collettivo.
Martedì, appena sbarcata a Capodichino si è fiondata nel forno di Rossopomodoro a via Partenope dove, insieme al campione del mondo in carica Davide Civitiello, ha preparato quattro pizze prima di sedersi a tavola con il presidente del gruppo che l’ha invitata, Franco Manna, accompagnato da Clelia Martino (impegnata in questa settimana di Pizza Village per il brand), Antimo Caputo e con noi del Mattino. Una pizza, due piatti dell’executive Enzo de Angelis e una chiacchiera attorno ad una bella bottiglia di Gragnano di Poggio delle Baccanti. Perfetta sulla pizza come sui paccari e la parmigiana di orata.
Lidia, qual è la situazione della pizza napoletana. Davvero se ne parla tanto negli Stati Uniti?
«Certamente, ormai questo stile sta conquistando tutti, pubblico e critici sui giornali perché è più leggero e si distingue in modo netto da quello a cui siamo abituati nel resto del mondo dove c’è una abbondanza di proteine animali anche sulla pizza».
Ma qual è il segreto di questo successo?
«Ogni civiltà gastronomica si fonda su un impasto. Pensiamo al fatto che sia soprattutto una sorta di piatto sul quale poggiare altro cibo. La pizza napoletana è invece una fusione perfetta tra gli ingredienti e la grande elasticità della pasta fa la differenza perché la rende immediatamente riconoscibile, tipica, unica. E questo la rende interessante».
Una pizza non omologata, come i prodotti che si usano quando la si vuole fare davvero buona.
«Certo. La cucina parte sempre dal prodotto, poi tocca al cuoco con la sua tecnica avere la capacità di trasformarlo e renderlo ancora più interessanti. Però fateci caso, le tradizioni gastronomiche più conosciute al mondo hanno sempre alla base dei prodotti famosi. Ecco dunque un altro segreto della pizza, tutti conoscono il pomodoro, ma quelli più attenti sanno bene che il San Marzano non è replicabile».
L’Italia nel suo complesso come si pone in questa competizione gastronomica? Ha una sua identità facilmente riconoscibile nel mondo secondo la sua esperienza?
«Certo, mangiare italiano ha sempre un suo fascino negli Stati Uniti e in tantissimi altri paesi del mondo. Bisogna però stare attenti ed evitare l’errore che ho visto fare in altri settori. La strada per affermarsi e restare leader passa attraverso l’artigianato alimentare di qualità, non bisogna inseguire la quantità. Non bisogna farsi impressionare dai cinesi, noi italiani dobbiamo aver ben chiaro che il valore aggiunto viene dalla qualità».
In altri settori, penso alla Moda, l’Italia ha perso un po’ di appeal perché la produzione è stata delocalizzata in altri paesi per abbassare i costi. Si corre un rischio analogo?
«Non so nello specifico. per certo posso dire che la strada del successo è restare severamente e seriamente legati al concetto di qualità del prodotto. Più gli altri tendono alla quantità, più bisogna avere la capacità di fare invece qualità. E il mangiare italiano riesce a dare risposte in questo momento alla fascia più colta dei consumatori americani che sono disposti a spendere meglio in cambio della sicurezza».
È stata questa la lezione di Eataly a New York che vi vede partner con Oscar Farinetti?
«Oscar è semplicemente un genio. Il successo di questa struttura è nel fatto che a New York, ma anche nei prossimi Eataly che stiamo per aprire, tu puoi entrare e mangiare senza formalismi, a costi sostenibili, autentici prodotti italiani di qualità. Un modello incredibile, è la prima volta che l’Italia si afferma in questo modo, che adesso anche i francesi stanno pensando in qualche modo di imitare».
In effetti è coinciso anche con la fine del ristorante borghese, dove si è costretti a tavola da un cerimoniale lungo. Poter entrare e mangiare anche un solo gelato, ma un buon gelato italiano, fa la differenza.
«Ed è proprio così. Come anche la semplicità è il segreto del successo della pizza napoletana».
Come è nata la partnership con Farinetti?
«Pochi ci credono, ma solo da un incontro fortuito con mio figlio Joe. Io ero andata a curiosare a Torino ed ero rimasta molto colpita. Poi arrivò la telefonata di Oscar con la proposta e subito abbiamo creato un feeling molto forte che continua ancora oggi».
Lidia, l’esperienza televisiva l’ha fatta diventare una star. Ma la tv l’ha cambiata anche nel privato?
«Assolutamente no, sono sempre me stessa perché abbiamo avuto dure esperienze e abbiamo sofferto molto. Siamo emigranti, abbiamo dovuto abbandonare la città dove eravamo nati».
Qual è il segreto per restare se stessi in questa epoca dove il successo fa perdere la testa a tutti?
«Non perdere mai i valori di fondo. Può far ridere, ma per venire qui ho dovuto scusarmi con mia madre, 95 anni, che mi ha rimproverato di aver abbandonato i pomodori del nostro orto proprio ad agosto. Bisogna dividere bene il privato dal lavoro e non cedere mai sui valori che ci hanno fatto arrivare al successo».
Pubblicata sul Mattino del 3 settembre
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