di Marco Galetti
Ieri ho costruito, tutto intorno al mio castello in aria a forma di panettone, un fossato inattaccabile, poi una volta chiuso il ponte levatoio mi sono sentito al sicuro e più campanilista di un campano, ma subito dopo, insieme al castello, sono crollati i canditi, le uvette, le fette e le certezze.
Campano&campanilista what did you expect che difendessi a spada tratta il panettone?
Che sparassi chicchi di risotto (a salve, non voglio rassegnarmi) contro qualsiasi cosa si muova?
Che mi accanissi a difendere un territorio che sta perdendo la sua connotazione lombarda, brandendo a mo’ di spada una costoletta di vitello, lanciando fendenti a destra e a manca, pur consapevole che i simboli lombardi siano ormai ad un bivio tra Via d’estinzione e Largo alle novità?
Qualunque strada si voglia percorrere non porta nulla di buono… e tutto per cosa, per lavorare con i piedi che potrebbero servire per camminare e non per correre, in subordine per pigiare l’uva
Tutelare i principi gastronomici dei luoghi dai quali proveniamo, ripercorrendo le dolci linee di cucina tracciate dai nostri nonni dovrebbe essere una gioia più che un dovere, gioia da custodire gelosamente e offrire con parsimonia oscillando tra l’incanto e l’imbarazzo dell’incanto, invece no.
La vita offre tutto subito poi a poco a poco toglie, forza, giovinezza, futuro, affetti… e allora cosa fanno gli esseri umani?
In modo naturale tramandano e i figli camminano su un solco già tracciato.
E noi milanesi cosa ne facciamo delle nostre tradizioni, le tramandiamo di madre in figlia?
No, perché nemmeno le madri hanno appreso dalle nonne e quelle che, almeno parzialmente, l’hanno fatto non hanno avuto la forza di far conoscere alle loro figlie, la loro storia, le tradizioni, le basi, lasciandole troppo libere di volare in altezza buttando nel cesso in un colpo solo etica culinaria e etica morale.
Il mondo sta cambiando, ma a Sud la trasformazione avviene ad una velocità che tiene lo stesso passo dell’uomo che non deve essere costretto a correre altrimenti sarebbe nato gazzella.
Qui a Nord la nebbia ci ha un po’ annebbiato anche il cervello, prestiamo denaro ma non prestiamo attenzione, corriamo perché il tempo che dedichiamo a noi stessi è sempre meno, acquistiamo prodotti mediocri in luoghi enormi rivestiti di luci che stanno costringendo alla resa i piccoli artigiani e i produttori di nicchia che ancora rimangono, viviamo lontani dalla natura e mangiamo cose innaturali, abbiamo adattato il nostro palato a sapori nuovi, abbiamo difficoltà a riconoscere il falso dal vero, non camminiamo più se non fino al posto auto lontano da casa, andiamo a cena dove è facile parcheggiare, acquistiamo macchine difficili da parcheggiare, parcheggiamo i nostri anziani in case di riposo, la rete degli affetti è a maglie troppo grandi ma è la piccola pesca che offre sostegno quotidiano, impariamo dal Sud…
Milano ha grande cuore ma un po’ calcolatore, forse abbiamo riparametrato gli affetti sul lavoro, non ci lasciamo abbastanza andare, sentiamo freddo e tendiamo a non disperdere calore, invece, come ho constatato il calore che sembra disperso torna e scalda l’animo non più abituato a gioire.
Decenni, forse secoli di comportamenti diversi, di modi di reazione e non tempi di reazione, hanno fatto si che a Sud si continuasse a dare importanza a territorio e tradizione, a prodotti più che a produzione, alle persone più che al personale dipendente, indipendentemente dalla qualifica.
Cari amici campani, mentre vi state preparando al Natale con tutti i crismi, struffoli compresi, voi che non dovete cercare un piccolo spazio per il presepe ma che fate spazio al presepe, voi che avete ancora l’uomo dell’olio, l’uomo dei fichi, la donnina del pane, il pescatore con la rete a maglie piccole per gli affetti quotidiani e per l’Alice nel vostro paese delle meraviglie, mentre guardate giustamente avanti non smettete di guardare anche indietro dove non si torna ma da dove si parte, da parte mia non posso far altro che condividere un ricordo che forse a voi manca, non ho altro:
Qualche anno fa, in una fredda serata lombarda, sono andato a Messa, all’uscita, sul sagrato, nel silenzio che non siamo più abituati a sentire, mentre gli Alpini stavano distribuendo tradizione, panettone e vin brulé, nevicava, era la notte di Natale.
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