A Sant’Agata dei Goti la prima bottiglia. Nella passione di un uomo la storia di un successo non previsto
Leonardo Mustilli, nato a Napoli il 15 Aprile 1929, è l’ingegnere della Falanghina. Fu questo il titolo del Mattino in uno dei primi servizi sui protagonisti del vino in Campania nel 1995. Ingegnere perché è laureato in Ingegneria civile, sottosezione Idraulica. Della Falanghina perché è stato il primo a imbottigliare ed etichettare questo vino. Leggendo il suo racconto è possibile capire come siano cambiate velocemente le cose in questo settore, di come siano stati difficili gli inizi della viticoltura di qualità in Campania, di come sia incredibile il successo del vino in un settore in cui la regione praticamente non esisteva tranne una o due realtà. Oggi sembra tutto acquisito, ma in realtà non è così: questa è una illusione umana purtroppo sempre smentita dai fatti, anche quelli più insignificanti senza andare a scomodare la caduta degli imperi, come un semplice guasto alla rete elettrica che manda al buio una intera nazione. Quando si scrive di vino, anche se si è giovani e non si è vissuta questa fase pionieristica, bisogna sempre farsi carico di questa storia se davvero non si è interessati al puro aspetto edonistico del bicchiere o non si fa lo scout di territorio per qualche amico esportatore. Oggi Mustilli è un punto fermo nel Sannio e in Campania, una delle aziende più significative e l’unica, tengo a sottolinearlo, con cui ho avuto un rapporto professionale privato in questi anni: la pubblicazione nel 2005 del libro Falanghina per i tipi di Di Mauro nato da una idea della ricercatrice Antonella Monaco e dallo stesso Leonardo.
Ingegnere, qual è stato il suo primo approccio al vino?
In verità, non troppo ortodosso. Avevo circa 12 anni ed a Napoli arrivavano regolarmente damigiane di vino rosso da Sant´Agata. Avevamo all´epoca e, come appresi in seguito, già dall´Ottocento, una produzione di vino derivante dalle uve dei nostri vigneti, allora condotti a mezzadria, precursori di una parte di quelli attuali, da me molti anni dopo reimpiantati per adeguare la coltivazione alle esigenze di una agricoltura che iniziava a meccanicarsi ed ad una scelta più sensibile alle variazioni dei gusti e delle richieste dei mercati. Con l´indulgenza che il vecchio Leonardo non si sente di negare al fanciullo Leonardo, confesso che un giorno, avendo scoperto dai piccoli assaggi che mi venvano concessi a tavola, che il vino mi piaceva, decisi di approfondirne la conoscenza e mi muniii di un maccherone “zito” che usai a mò di cannuccia. I miei ricordi sono ovviamente confusi. Appresi così che il vino, che mi piaceva, andava approcciato amichevolmente e non assalito munito di armi improprie.
Come è nata l’idea di vivere a sant’Agata e di creare un’azienda vitivinicola quando in Campania nessuno pensava di farlo?
L´idea di viverci venne in seguito. Il mio approccio con Sant´Agata, dove avevamo vissuto da sfollati l´ultimo anno di guerra, avvenne in età universitaria, quando, finito mio nonno, mio padre iniziò a recarvisi tutti i fine settimana per occuparsi delle proprietà allora ancora indivise con i suoi fratelli e condotte in affitto o a mezzadria per quanto riguardava il terreno nudo od alberato ed i vigneti, mentre le piantagioni arboree erano condotte direttamente dal proprietario. Io ventenne studente universitario,patentato, divenni l´autista di mio padre e, in quella occasione imparai a conoscere , seppure da spettatore, una certa realtà agricola, certamente un modello prossimo ad evolvere, ma all´epoca ben radicato. Mio padre iniziò a pensare di riattare il vecchio palazzo di Famiglia, molto trascurato da mio nonno, Colonnello dell´Esercito in pensione, che ne era, non contento, solo usufruttuario (era il terzogenito, e secondo vecchi canoni le proprietà erano state attribuite ai due primi fratelli che però non ebbero discendenti.) Mi ritrovai quindi, non so se per caso o per un astuto calcolo di mio padre (di cui ancora ammiro ed invidio l´intelligenza vivissima) ad esercitarmi con le recenti nozioni di Scienza delle Costruzioni appena apprese. Questo mi portò a trascorrere molto tempo a Sant´Agata a dirigere una squadra di artigiani ed operai ingaggiati in economia. Rallentai il mio ritmo di studi per seguire i lavori in casa, ma anche perché affascinato dall´Agricoltura. Iniziai dalle coltivazioni che potevo seguire direttamente (frutteti di peri e meli) con notevoli insuccessi meritati e non. In quell´epoca iniziò l´esodo dalle campagne del Sud Italia, dovuto alla forte emigrazione degli addetti agricoli a settori legati alle nuove realtà industriali. Questo comportò, con la partenza dei giovani, emigrati, e l´abbandono dei vecchi rimasti, ormai pensionati, la necessità di intervenire,specie nei vigneti, dove il sesto d´impianto non consentiva l´introduzione di alcuna delle macchine allora esistenti. Volendo mantenere la coltivazione della vite, fui obbligato ad estirpare I vecchi impianti ed a reimpiantare adattando i sesti al “Primo Trattore”, che avevo convinto mio Padre ad acquistare (SAME DT 40 HP).Naturalmente mi posi Il problema delle varietà da impiegare e mi avviai per la mia strada, costellata da errori. Inesperto mi guardai intorno e constatai che in quegli anni vi era un gran fermento innovativo nel rinnovamento dei vigneti, specie nella mia Provincia, basato però più sulla tendenza a produrre grossi quantitativi, che a cercare le qualità. Erano infatti gli anni della nascita delle prime Cantine Sociali, ma soprattutto erano gli anni di grosso sviluppo dei consumi di vino (questo si vendeva comunque a prezzi però tutto sommato, modesti. Necessitava perciò puntare sulle grosse produzioni unitarie, arrivando ad impiantare vigneti nei fertili terreni di pianura irrigui. All´inizio seguii anch´io quest´indirizzo, con la differenza che i nostri terreni tradizionalmente a vigneto, erano tutti in colline non irrigue. Tuttavia nella mia assoluta inesperienza, mi lasciai consigliare sulla scelta varietale, impiantando come bianchi Trebbiano toscano e “Grieco” e come rossi Barbera e Sangiovese. Ancora mi vergogno un poco, anche se giustificato dall´ignoranza. Io di vino sapevo ben poco, tranne quello che avevo appreso dal maccherone sull´uso ed avevo in testa un poutpourri di nozioni messe insieme osservando le procedure seguite da Zi´ Domminico (il vecchio fattore di mio nonno) contrastandole ed aspramente criticandole secondo quanto andavo apprendendo su manuali e manualetti dell´epoca che leggevo avidamente (purtroppo all´epoca anche la letteratura corrente seguiva la dottrina della “massima produzione di liquidi a parità di uve). Devo dire che la cosa non mi quadrava troppo e cominciai a vedere le cose in modo più chiaro quando approdai a Ribrerau Guyonne. Ma gli occhi me li aprì un amico. L´Enotecnico Santolo Buonaiuto, che interpellai su consiglio del Signor Inglese dirigente alle vendite in Italia della SEITZ. Buonaiuto venne a trovarmi, assaggiò i vini che facevo e con la schiettezza che lo contraddistingue mi disse che, forse con le uve bianche si poteva ottenere qualche risultato , ma che con le rosse era tutto da rifare. Mi bastò. Sovrinnestai il Barbera ed i Sangiovese con Aglianico e Piedirosso, consigliati da Buonaiuto, conservando O´ Greco e qualche anno dopo introdussi la Falanghina, scoperta da me con un gruppo di amici. Come suol dirsi …il resto è storia. Oggi l´azienda viene condotta dalle mie tre donne: Marilì (moglie perfetta, perfetto Chef ed ospite incomparabile), Paola (qualifica prima figlia, eccellente direttrice commerciale, ricca di umanità e di verve), Anna Chiara (qualifica seconda figlia, esperta enologa, con un passato di Ricercatrice scientifica in Italia ed all´Estero, dal rigore severo, condizionato dall´intelligenza).
E’ opportuno ricordare anche brevemente la storia della famiglia Mustilli, originaria di Ravello
La mia famiglia possiede un documento, tratto in forma notarile dall´Archivio storico del Regno di Napoli, nell´Ottocento. Da questo documento estratto nel 1700 dagli Atti del Seggio dei Patrizi di Ravello, si evince l´origine della Famiglia, che da tempo “immemorabilis” avrebbe vissuto lì e quindi nel territorio della Repubblica di Amalfi. La plausibilità della attestazione può essere dedotta dall´evento accaduto nel 1343, quando un tremendo maremoto cambiò l´assetto della costiera, distruggendo completamente il porto della Repubblica Marinara e decretandone il completo declino. Questa catastrofe, riconosciuta anche dal Regno di Napoli, (di cui la Repubblica era tributaria) con una esenzione decennale dalle Tasse, venendo a mancare il presupposto per continuare a svolgere i traffici marittimi (quasi unica reale attività di Amalfi) costrinse i cittadini più abbienti a trasferirsi con i loro beni mobili in altre località. La direzione privilegiata di questa emigrazione fu in direzione della Puglia, e lungo il cammino allora generalmente percorso si trova Sant´Agata dei Goti, dove nella Chiesa di San Francesco, sotto il primo Altare a destra dell´Altare Maggiore si trova tuttora la tomba della Famiglia, come si evince dalla foto di un trittico dell´epoca, di notevole pregio, regolarmente rubato nel secolo trascorso.
Prima vendemmia ufficiale?
La prima vendemmia efficace (piuttosto che le precedenti piuttosto deludenti) è per me quella del 1976, dalla quale derivarono le prime 3.000 bottiglie di Greco di Santacroce vino ad indicazione geografica. Di queste, l´azienda ne conserva ancora 18, apparentemente in ottimo stato di conservazione. La deduzione nasce da due degustazioni della 19ª e della 20ª avvenute nel 2004e nel 2005 in occasione di Falanghina Felix e di Vitigno Italia.
La sua azienda è conosciuta per essere stata la prima ad imbottigliare la falanghina. Ci può raccontare perbene come andò?
La vicenda è narrata nella presentazione del libro che abbiamo pubblicato con Di Mauro: Falanghina. La storia inizia nel 1976 quando la Falanghina sopravviveva in qualche campo e quasi nessuno la conosceva più. Fu costituito su iniziativa della Camera di Commercio presieduta da Vittorio De Nigris il Comitato Provinciale Vitivinicolo Sannita di cui favevo parte in quanto presidente dell’Unione Provinciale Agricoltori. Si voleva avere il quadro preciso della situazione nel Sannio in un momento in cui forte era la tentazione di introdurre uve internazionali. Grazie al piccolo finanziamento furono introdotte 18 varietà di uve poi vinificate nelle cantine di Torre Gaia, Pasquale Venditti, Cantina di Guardia Sanframondi e la mia. Nel corso delle degustazioni che seguirono fu evidente a tutti la grande qualità della Falanghina, che feci provare l’anno successivo alla delegazione di Sommelier diretta da Tonino Aversano a cui debbo il primo forte incoraggiamento a continuare: ne portò un bel po’ nel suo ristorante Don Salvatore a Mergelina. Da allora la crescita è stata continua.
Come è cambiato il rapporto con il mondo del vino e l’agricoltura da quando ha fatto la prima vendemmia ad oggi?
Da una parte, esiste una abissale differenza di consapevolezza da parte di moltissimi Consumatori, oggi molto,ma molto più preparati, il che ha contribuito ad elevare in maniera notevole la qualità dei vini Italiani in generale con punte di effettiva eccellenza. D´altronde mi sembra che vi sia una regola forse non scritta :il mercato ottiene prima o poi quello che desidera. In contemporanea però è ovvio che se la prima istanza è il prezzo più basso possibile, il consumatore adegua le sue richieste alle sue possibilità. Anche nei confronti dell´agricoltura la differenza consiste nella maggiore consapevolezza del legame strettissimo esistente tra l´uva ed il suo derivato. Anche se la tecnologia di cantina ha fatto progressi notevolissimi, resta per me sempre valido il concetto che il cantiniere dovrebbe cercare di estrarre dall´uva il miglior vino che questa contiene. In alcuni casi si ottengono invero risultati ottimi con procedure non del tutto ortodosse, ma secondo me questi vini non credo abbiano un grande futuro.
Essere l’unica azienda di una doc è un vantaggio o uno svantaggio?
Considerato che questa posizione non è ottenibile per scelta propria, ma deriva da situazioni oggettive, si può affrontare il quesito solo con constatazioni, di valore dipendente solo da situazioni oggettive. La constatazione più immediata è che resta difficile pesare se ed in quali circostanze prevalgano i pro od i contro.
Quali cose di questo mondo le piacciono di più?
Se e dove ancora esistono :la correttezza di comportamento, la lealtà e la sincerità (anche se cruda).
Cosa, invece, l’ha delusa?
La constatazione che aveva ragione mio padre: “La gelosia di mestiere è peggio della gelosia di donna”
Quale è stato il momento più difficile per la sua azienda?
Qual è stato un momento facile?
Quando si è reso conto che le cose andavano bene?
Quando siamo stati tutti in salute ed in pace con noi stessi.
Una famiglia al lavoro, sua moglie Marilì, le figlie Annachiara e Paola… Facile o difficile andare d’accordo con tante donne? Ha conservato la leadership in famiglia?
Per me è sempre stato facile andare d´accordo con le donne di cui sono un grande ammiratore. Sembra di si. Magari fingono
Le fa piacere che le sue figlie si siano appassionate al suo sogno?
Indubbiamente. La differenza è fra essere una squadra od un singolo (Mi sentirei triste e solo e demotivato)
Quali sono i vini che preferisce bere?
Fra i bianchi il Fiano. Fra i rossi forse il Piedirosso. Ma ormai bevo pochissimo, assaggio.
I rapporti con gli altri produttori sanniti?
In generale buoni ed improntati quasi a cameratismo (con qualche eccezione)
E con i campani?
Idem, forse di più
Essere in Campania è un handicap oppure aiuta?
Mi riesce difficile immaginare realtà diverse. Verrebbe da criticare l’esasperazione della lotta. Verrebbe da rimpiangere la mancanza di lavoro per valorizzare i nostri prodotti, invece sviliti per una forma di masochismo che privilegia il vendere a qualsiasi costo, purchè non venda il collega .Ma poi altrove è così diverso? D’altra parte, a volte mi sembra di essere in una regione più favorita (più fortunata?). A consolarmi contribuisce la nostra propensione alla filosofica
accettazione sarcastica se non burlesca di tutti gli accadimenti.
La sua azienda ha fondato il Movimento Turismo del Vino in Campania. E’ servito? Serve ancora?
E´ servito molto. Con la diffusione generale ha forse esaurito la sua forza propulsiva.
I politici locali hanno consapevolezza dell’importanza di questo settore?
Forse immaginano di averne sentito parlare, ma certamente non hanno colto l’essenza del problema. Il guaio sta nell’inquinamento dato dalla domanda che obbligatoriamente, per deformazione professionale sono costretti a porsi in caso di intervento: Quomodo mihi prodest?
Cosa dovrebbero fare per il vino sannita?
Non intervenire se non realmente consapevoli dei problemi e se non sanno rinunciare alla domanda di cui sopra.
Come vede la riforma Ogm?
Bene. Soprattutto se verrà seguito l´indirizzo dato da noi campani di smettere con i sussidi agli sprechi ed alle truffe per concentrare gli sforzi sulla valorizzazione ed il sostegno del vino europeo.
Autoctoni o internazionali?
Autoctoni. In aggiunta, a volte, qualche internazionale. Mai dire mai
Spalliera o tendone?
Dipende. Per lo più spalliera.
Lieviti autoctoni o selezionati?
Oggi mi pare che siano universalmente vincitori i selezionati
Acciaio o legno?
Ambedue, a seconda dei vini e/o dei loro stadi
Quali sono le sue letture preferite?
Romanzetti di evasione, libri indagine sulle tragiche condizioni di equilibrio mentale delle classi politiche mondiali. Vite di personaggi storici. Mi riprometto però di rileggere i grandi scrittori russi. Vorrei ritrovare “Saper vedere” di Matteo Marangoni. Probabilmente i miei gusti dipendono dal mio mutevole stato d’animo.
La sua musica?
Classica, Operistica, In compagnia: leggera, di sottofondo.
Ha qualche hobby?
Vedere fino a che punto riesco a migliorarmi.
Cosa direbbe ad un giovane che vuole entrare nel mondo della viticoltura?
Niente. Per non diventare prolisso e noioso. Tutti hanno diritto di sbagliare. Oppure potrei cominciare un discorso infinito fino ad annoiarmi io stesso.