di Monica Piscitelli
Vendere tutto il vino che si ha in cantina quando il mercato tira, è una brutta abitudine. Tradisce una visione di breve termine imperdonabile, specie se si parla di vini che hanno non del tutto inesplorate, eppure comprovate, potenzialità di invecchiamento. In Irpinia è accaduto anche questo. Pochi hanno intuito l’importanza di avere uno storico delle proprie etichette. Ancor meno avevano, invero, una storia da raccontare. Si sa: la grande esplosione delle cantine dedite al Taurasi su un piano di eccellenza è relativamente recente.
Tre aziende per molti decenni sono state sinonimo di viticoltura irpina. Tra queste c’è quella della famiglia Struzziero. Quando il Taurasi nel 1993 divenne Docg, Struzziero loro potevano già vantare 16 annate imbottigliate. La prima è stata quella 1977, un campione di strepitoso fascino per ogni addetto al settore e appassionato non può desiderare non stappare e che ieri è stata protagonista del primo dei appuntamenti di degustazione che Vitigno Italia ha realizzato con il Luciano Pignataro Wine Blog nello spazio gestito dall’Ais Napoli.
Cinque, le annate in degustazione con i commenti dei giornalisti Luciano Pignataro e Antonio Paolini, del sommelier Angelo Di Costanzo, del docente Slow Food Alberto Capasso e di Mario Struzziero, anima ed enologo della cantina di Venticano. L’azienda, a partire da Elisario, che la fondò nel 1920, ha sempre fatto tutto da sola rifuggendo il ricorso a consulenti esterni anche quando esso si è imposto come moda in tutto il Sud.
I campioni di Taurasi in degustazione hanno dimostrato la longevità del vitigno, la capacità del vino di evolvere in maniera composta con particolare riguardo al profilo gustativo in bocca e, per quanto concerne l’interpretazione della azienda, la fedeltà a un progetto che non ammette compromessi, che non strizza l’occhio ai facili abboccamenti dettati dall’evoluzione del gusto. No: questi sono Taurasi a schiena diritta, per chi
ama l’Aglianico, per chi si riconosce nel profilo più “maschio” del vitigno: acidità sostenute, tannino tenace, sentori di tabacco e iodio più marcati in vecchiaia e retrogusto gradevolmente amaro.
Più elegante la 2001, sostanzialmente equilibrata la 1997, toccante la 1977, sferzante la 1990, promettente la 2004, che, pensate non è ancora in commercio. Questo il mio ordine di gradimento di cinque campioni che mettono a dura prova la capacità di approfondimento del degustatore non aduso a una scelta stilistica impietosa e costantemente mantenuta nel tempo attraverso progressivi aggiustamenti tecnici, aggiustamenti che hanno puntato solo a mettere a punto un’idea: quella del Taurasi di Struzziero che si alimenta di lunghe maturazioni in botti grandi e di lunghi affinamenti in vetro (in commercio è ora la 2001).
Mario Struzziero ha spiegato come questo processo si sia dispiegato, via via, nel cambiamento dei tempi di macerazione (arrivati da 22 – 25 gg a 10 – 12 gg), in quello dei legni (dalla quercia al castagno e al rovere, sempre grande); nella ricerca di una maggiore concentrazione, anche ricorrendo al salasso (l’estratto arriva a 38) e nella esaltazione di un’acidità sostenuta (6,5). Della schiettezza di questo produttore parlano i vini, a tratti selvatici, dai toni d’humus, a volte feroci ma assolutamente veri.
Di seguito le mie note di degustazione, annata per annata.
Taurasi 2004 docg |Voto 87
Di questa annata inizialmente considerata minore e poi uscita molto bene, questo
campione propone un’interpretazione in fieri, come è giusto che sia essendo un
campione di botte. Il vino, con i suoi sette anni, è ancora rubino. L’attacco olfattivo sottolineato da una marcata nota di tostatura, di spezie scure e di humus. Poi emerge una ricca frutta sotto spirito, un sentore di prugna appena secca e il caratteristico timbro di tabacco. La bocca (caratteristica di tutti i campioni) è molto “meno matura”. La frutta si fa succosa, accanto ad esso, sospinto da un’acidità considerevole, escono le note più fresche di radice di liquirizia in retrolfatto. Il finale è amarognolo, piacevolmente tabaccoso.
Taurasi 2001 docg |Voto 88
Ecco quale è il vino pronto per Struzziero: un vino di 10 anni. E in effetti si affaccia in questo campione, merito di un’annata considerata maggiore, il tocco di eleganza che si ricerca in un grande vino da invecchiamento. E’ questo il campione più gentile,nell’ambito di una batteria agguerrita. Mario Struzziero racconta che da questa annata in poi (l’azienda non mette in commercio quelle 2002 – 2003 – 2005 e 2006) l’azienda ha avviato il già descritto processo di maggiore concentrazione dei vini, processo che si evidenzia effettivamente con un colore più fitto e una maggiore masticabilità di questo campione come di quello e 2004. Il colore è granato, più sfumato sull’unghia. Il naso è meno intenso nei suoi aspetti fruttati e più sottile, ma sempre segnato da un timbro quasi selvatico, di bosco (costante dei campioni). La beva, che evidenzia qualche nota in più di caffè rispetto all’annata 2004, è equilibrata, caratterizzata da una bella corsa in sincrono di tannini setosi e acidità. In questo campione, a differenza di tutti gli altri, naso e bocca sono in maggiore accordo e questo aspetto dà al bicchiere vera godibilità.
Taurasi 1997 docg |Voto 85
Questo e il successivo sono due campioni nei quali lo stile Struzziero del Taurasi si esplicita in maniera chiara: senza compromessi. E sono anche quelli che danno l’idea di come il Taurasi abbia la sua genesi in un mondo contadino aspro, difficile e incantevole per certi versi. Un mondo nel quale la cucina era robusta e il vino serviva a rinvenire delle dure fatiche dei campi. Non lesinano personalità questi due campioni, entrambi granato con copiosi riflessi aranciati. La 1997, come sottolineato da Antonio Paolini, è stata in Italia una grande annata per i rossi e questo bicchiere, anche se non è tra i miei
preferiti, non smentisce questa aspettativa. Il naso ancor più che dalla frutta secca, che rimane sullo sfondo, è marcato da quella nota di bosco, di humus, perfino di funghi secchi, che è un po’ la costante di tutti i campioni. La bocca è molto più lieve, meno arrabbiata, sebbene l’acidità spinga fino alla fine. Il tannino ormai risolto dà una sensazione di avvolgenza.
Taurasi doc 1990 |Voto 84
Molto ho detto negli appunti del precedente. Questo è un vino per amanti
dell’Aglianico e per scafati degustatori. Non ha nulla di conciliante, ma è, con
i suoi 21 anni, perfettamente integro. L’aranciato, nel colore, è ormai
dominante. Il naso è un turbinio di note scure: di chiodi di garofano, iodate,
appena addolcite da un sentore di carrubba surmatura, quasi fermentata. In bocca
incede come una spada, esprimendosi con grande verticalità e dando scodazzate
speziate, ovviamente nere pece. E’ gustoso e dal finale sapido.
Taurasi 1977 doc
Eccoci alle colonne d’Ercole. Il rispetto di fronte a questo campione di longevità è d’obbligo. Sono poche le occasioni per bere un Aglianico che ha sulle spalle 34 anni. Il colore è aranciato e il vino completamente trasparente, ma ancora luminoso. Il naso, con i tratti distintivi del Taurasi di questa cantina, tradisce gli anni essendo pesantemente alcolizzato, ancor più che ossidato. In bocca però il vino non è scheletrito come il naso farebbe pensare, e il risultato è sorprendente. Raggiunge, nella sua versione più tradizionale che mai, questo Taurasi, una sobrietà che è emozionante.
Qui il report di Angelo Di Costanzo
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