di Carmen Autuori
Castellammare di Stabia la mattina dell’8 dicembre si sveglia al ritmo di un canto antico che pervade come un onda melodiosa la cittadina che si affaccia sul Golfo di Napoli, una sorta di canto “a cappella” che fa così: << Fratiell e surell ‘o Rusario a Madonna! Ogge è a prima stella d’ ‘a Madonna>>. Siamo nella “dodicicina, i dodici giorni che precedono la festività dell’Immacolata Concezione in cui si celebra il dogma del concepimento di Maria senza il peccato originale. Dodici giorni come dodici sono le stelle sulla corona della Vergine. Il canto, però, non è soltanto folklore, bensì la voce di un popolo che conosce il valore della gratitudine. La storia, infatti, narra che circa due secoli fa un marinaio di nome Luigi, soprannominato Chiavone, fu l’unico superstite di un naufragio avvenuto al largo della costa stabiese. Giunto stremato sulla spiaggia, raccontò che nel momento più buio gli era apparsa una donna bellissima vestita d’azzurro che aveva le sembianze dell’Immacolata.
Così Chiavone esortò tutti coloro che erano accorsi in suo soccorso a recitare il Rosario intorno al falò che era stato acceso per riscaldarlo. Era il sette dicembre, la vigilia della festa. Da allora, ogni anno, in ricordo di questo episodio che si pone tra storia e leggenda, vengono accesi i “fucaracchi” (falò) attorno ai quali è usanza recitare il Santo Rosario. Un vento di gioia pervade tutto il paese soprattutto il centro storico dove nascono momenti di condivisione allietati da musica, balli popolari e le immancabili zeppole di Castellammare che aprono il calendario dei dolci natalizi. Il dolce, i cui ingredienti sono sostanzialmente acqua, zucchero e farina, appartiene alla cucina povera e si differenzia del tutto dalle altre tipologie di zeppole presenti in Campania e nelle altre regioni meridionali. Queste non hanno la classica forma a ciambella a cui siamo abituati, ma si presentano come una sorta di frittella gonfia, croccante ma dal cuore morbido, ricoperta da miele e dagli immancabili “diavolilli”, che non possono mancare sulla maggior parte dei dolci natalizi meridionali. Si racconta che di esse fossero particolarmente ghiotti i giovanotti appartenenti alle famiglie “bene”della cittadina e che non disdegnassero di abbandonare le loro tavole imbandite di ogni ben di Dio per recarsi tra i vicoli del centro storico invasi dall’inebriante profumo di zeppole appena fritte. Accadeva allora che dalle porte dei bassi si tendessero mani generose, e sciupate dalla fatica ad offrire un piatto, quello del servizio buono, colmo di frittelle bollenti accompagnate dall’immancabile bicchierino di anice che popolane emozionate ed onorate offrivano alla bella gioventù stabiese.
Ingredienti per circa 50 frittelle
500 g di farina 00
1 cubetto di lievito di birra
1 pizzico di sale
Acqua tiepida q.b.
1 l di olio di semi
200 g di miele millefiori
2 cucchiai di zucchero semolato
Confettini colorati
4 cucchiai di anice
Procedimento
Sciogliere il cubetto di lievito in un bicchiere di acqua tiepida, setacciare la farina in una ciotola aggiungere il lievito precedentemente sciolto nell’acqua. Lavorare l’impasto fino ad ottenere un composto elastico, aggiungervi altra acqua se necessario ed il sale. Coprire con un canovaccio e lasciar lievitare fino a che non raddoppia di volume. In una padella dai bordi alti, riscaldare l’olio e una volta giunto a temperatura versarvi a cucchiaiate il composto. Una volta che sono ben dorate sollevare le zeppole e porle ad asciugare su carta assorbente. Nel frattempo preparare la glassa. Versare una tazzina d’acqua in una casseruola dal fondo spesso, aggiungervi il miele, lo zucchero e l’anice. Quando il tutto è diventato liquido, spegnere il fuoco ed immergervi una per volta le frittelle. Disporle su un vassoio, decorarle con i confettini e servirle caldissime.
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