TERRE DEL PRINCIPE
Uva: pallagrello bianco
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Nella ricorrenza dei 150 anni dall’unità d’Italia può sembrare strano che al sud, mai come in questo periodo, i vecchi regnanti Borboni siano rivalutati e quasi rimpianti. A parte ogni considerazione politica, storica e filologica, resta il fatto che essi hanno comunque contribuito al progresso sociale e tecnologico di tutto il Mezzogiorno, prima dell’avvento cruento dei garibaldini e dei piemontesi.
Per quanto riguarda la coltivazione viticola, i Borboni sono stati dei pionieri in questo campo, operando con impegno e lungimiranza, soprattutto nel territorio casertano. Nel 1790 qui fu impiantato il vitigno Zibibbo, importato direttamente dalla Sicilia e successivamente, all’inizio del XIX secolo, Ferdinando IV di Borbone ordinò ai suoi giardinieri la creazione della “Vigna del Ventaglio”, non lontano dalla Reggia di Caserta, tra monte San Silvestro e il Belvedere di San Leucio. Così chiamata per la particolare e originale forma e disposizione: impianto a semicerchio diviso in 10 raggi, che sembrava, appunto, un ventaglio. Ciascun raggio, che partiva dal centro dove era situato il piccolo cancello d’ingresso, conteneva viti di specie diverse, tutte, comunque, autoctone del Regno delle Due Sicilie e indicate su lapidi di travertino. Nel quarto e quinto raggio erano piantate viti locali, uniche della Campania, denominate Piedimonte rosso e Piedimonte bianco, nome derivante dall’omonimo comune della zona pedemontana del Matese. Da qui, poi, il nome Pallagrello o Pallarello, vitigno che sembra discendere dalla famosa “Pilleolata” romana e che ha la prerogativa, quindi, di produrre uve sia bianche sia rosse. Purtroppo, le infestazioni di oidio e di fillossera dei primi anni del Novecento, insieme alla decadenza sociale e politica delle regioni meridionali, ne decretarono una veloce scomparsa e un sostanziale oblio, nonostante le indubbie qualità ampelografiche. Un altro vitigno di questa zona, dalle origini incerte, finito nel dimenticatoio e poi miracolosamente riesumato, è stato il Casavecchia, dopo il rinvenimento di una vecchia pianta nei pressi di un rudere, proprio come un reperto archeologico, avvenuto in un’antica masseria (di qui il nome) di Pontelatone,
da parte di alcuni contadini del luogo. Tutto questo, ci porta a considerare che nella rinata Campania felix si continua a scavare ininterrottamente alla ricerca del passato storico, delle proprie origini e della mai abdicata cultura vitivinicola.
Agli inizi degli anni ’90 l’avv. Peppe Mancini e il suo collega Alberto Barletta sono stati coloro che hanno ripreso, riscoperto e rilanciato questi due antichi e quasi scomparsi vitigni autoctoni. Essi fondarono l’azienda Vestini Campagnano e, poi, dopo alterne vicende, decisero di separarsi nel 2004. In quello stesso anno l’avv. Mancini, supportato da sua moglie Manuela Piancastelli (giornalista, scrittrice e grande studiosa di materia enologica, nonché una delle “grandi donne” nel firmamento vitivinicolo campano) e con la fattiva e determinante collaborazione del professor Luigi Moio e dell’agronomo Gaetano Pascale, ha dato vita all’azienda Terre del Principe.
Adagiata sulle colline, che circondano il territorio del comune di Castel Campagnano (alle falde del vulcano spento di Roccamonfina, ricco di vigneti nella Valle del Medio Volturno), la Cantina Terre del Principe è un piccolo e prezioso scrigno, nel quale la vita privata e quotidiana di Peppe e Manuela è cadenzata dal respiro dei vini che fermentano o riposano in cantina.
L’etichetta Le Sèrole, con Pallagrello bianco in purezza,
deve il suo nome alla località nel comune di Ruviano ove sono collocate le vigne. Il terreno è argilloso e ricco di scheletro. Il sistema di allevamento è a Guyot. La vendemmia viene effettuata tra la seconda e la terza decade di settembre, rigorosamente a mano. La resa è di 60 quintali per ettaro. La fermentazione e la successiva vinificazione avvengono in barrique di rovere francese per tre mesi. La gradazione alcolica è molto alta: 14,5. Il colore è di un giallo paglierino carico, con accattivanti riflessi dorati. Al naso si percepiscono intriganti profumi, impregnati di umori floreali, di erbe aromatiche e connotati da una rassicurante fragranza agrumata e con toni leggermente fumé e speziati.
La bocca è tesa, succosa, polposa, fresca e saporita. Il legno è stato dosato magnificamente, tanto che la vena speziata, già percepita all’olfatto, è suadente e morbida. In ultimo, si colgono leggere note ossidative, che restano sotto controllo e, anzi, accompagnano il finale senza che il vino accenni mai a sedersi, né a ad allentare la tensione gustativa. In conclusione, quindi, ci troviamo al cospetto di un vino dotato di insospettata longevità, tanto che si può conservare ancora per qualche anno. Da servire alla temperatura intorno ai 10 gradi e da abbinare alla classica cucina del territorio, in modo particolare alla mozzarella di bufala campana e poi pesce, formaggio fresco e verdure. Chapeau!
Questa scheda è di Enrico Malgi
Sede a Castel Campagnano – Contrada Mascioni – Tel: 0823/867126 – info@terredelprincipe.com – www.terredelprincipe.com – Enologo: Luigi Moio – Ettari vitati: 11 – Vitigni: pallagrello nero e bianco, casavecchia.
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