Le Serole Pallagrello bianco 2010: abbiamo portato questa magnum ad una cena fra amici da Pancrazio, il solido e concreto ristorante di Palazzo Gentilcore senza un piano B talmente eravamo sicuri del risultato. Del resto ci giocavamo una magnum, con le quali è quasi impossibile sbagliare. Anche l’annata 2010, con la sua estate perfetta dopo le piogge primaverili, è tra le migliori di questo secolo.
E tuttavia dobbiamo dirvi che il risultato di questa bevuta è stato semplicemente straordinario. Non sono certo mancati nel corso di questi anni i miei report sul vino bianco passato in legno di Manuela Piancastelli e Peppe Mancini, e dunque conoscete la mia passione per questo vino che secondo me merita un lungo invecchiamento.
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Stavolta però siamo andati ben oltre il vino buono, forse complice anche l’annata, piena e completa, la buona tenuta del bianco in cantina dentro la sua cassettina di legno, il formato grande, il tappo perfetto e importante. Fatto sta che al naso questo Pallagrello bianco subito ha espresso la sua complessità con note dolci piacevoli vivacizzate da elementi agrumati, cedro soprattutto ma anche bergamotto, e da una buona cornice fumé e, a bicchiere vuoto, persino sentori vegetali di macchia mediterranea. Un naso ampio e appagante, tipico dei grandi vini, in cui le note rilasciate dal legno e quelle della frutta erano perfettamente fuse fra loro.
Decisamente una delle più belle bevute di sempre, condivisa dai miei amici che l’hanno apprezzato oltre ogni aspettativa.
La Degustazione del Pallagrello Bianco Le Serole 2010
Insomma, ci si aspettava un vino che ha tenuto, invece abbiamo bevuto un bicchiere di grande eleganza pur nella esibizione di tanta materia, un naso ricco, insomma, che ha trovato, ecco l’altro elemento decisivo quando passa altro tempo, una piena corrispondenza con il palato grazie ad una vibrante acidità per nulla scalfita dagli undici anni, la riproposizione del tema della frutta, stavolta anche conserva di pesca e note sapide e amare in chiusura che hanno ripulito la bocca e hanno portato ad affrontare ogni piatto (dalla cuccia cilentana alla minestra di pasta e pesce, sino alla frittura) con piglio deciso e piacevole. In una parola, la bottiglia a fine cena era finita nonostante l’inserimento di una famosa bollicina che aveva l’autorevolezza per scalzare questi bianco ma che è stata ridotta a ruolo di comparsa poi dimenticata durante la trama della cena.
Un bellissimo vino insomma, che conferma, per la millemillesima volta, la potenzialità di invecchiamento dei vini bianchi campani. La materia c’è per sfidare, si fa per dire, qualsiasi altro territorio vitivinicolo. Italiano ed estero.
Una situazione che per il momento favorisce chi compra tutto sommato a basso prezzo se raffrontato a quello di altri territori, con la pazienza di aspettare.
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