di Mauro Erro
Permettetemi d’iniziare con dei ringraziamenti doverosi: a tutti quelli intervenuti, a coloro che ci hanno sostenuto, al gruppo di facebook che, ad oggi, conta più di mille e trecento persone. A chi ci ha ospitato, il comune di Castelvenere e la pro loco, nella persona del suo presidente, il giornalista Pasquale Carlo.
Devo ringraziare, anche, il comune e la pro loco di Taurasi, ancora intenti a rinfacciarsi colpe e demeriti per una fiera che non c’è stata, per aver caricato questa degustazione che ha aperto il primo Festival meridionale delle piccole vigne di un valore simbolico, oltre che culturale ed edonistico.
Una degustazione estremamente rappresentativa di questa piccola woodstock della viticoltura meridionale, della diversità colturale, agricola e antropologica, delle storie umane celate dietro ogni sorso di vino, come quella della Famiglia Lonardo. Una famiglia di ricercatori, studiosi, professori ed insegnanti di Lettere: Sandro, Rosanna, Enza, Antonella e Flavio.
Loro rappresentano il richiamo delle radici, la passione, l’eccellente lavoro agricolo e l’alto artigianato che si rivela in ogni bicchiere e, allo stesso tempo, quasi inaspettatamente per un’azienda di piccole dimensioni come questa, la continua ricerca e sperimentazione portata avanti. Come non citare l’esempio dell’altro vino aziendale, il Grecomusc’ o Rovello, vitigno bianco pressoché scomparso e vinificato solo dai Lonardo? Senza dimenticare la ricerca scientifica che si avvale della collaborazione di Maurizio De Simone, l’enologo dell’azienda, e del professore di Microbiologia dell’università di Palermo Giancarlo Moschetti e del dottore Nicola Francesca, sull’utilizzo, per la fermentazione dei vini, dei lieviti indigeni selezionati nelle vigne di proprietà, che nel caso del Taurasi in questione sono stati utilizzati a partire dal 2004.
Ecco, sembra che tutti questi elementi, in sintesi, si definiscano Tradizione, non quella che puzza d’immobilismo, ma quella che si rinnova.
Non vado oltre, riservandomi la possibilità in altri momenti, di approfondire le osservazioni su queste piccole vigne e lasciando alle note di degustazione dei vini il racconto di questa meravigliosa esperienza. Stavolta, delle vigne e delle pratiche di cantina non dirò nulla, perché siate voi, curiosi e puntigliosi a cercarvi queste informazioni nel viaggio tra le piccole vigne di Taurasi, da Macchia dei Goti a Case d’Alto.
La verticale si è svolta così, all’aperto. Sotto il pergolato di vite di fronte al municipio dove ogni colonna in ceramica di Cerreto porta il nome di un vitigno sannita.
Prima della cronaca, alcune osservazioni di carattere generale: la bellezza di una verticale sta anche nel gioco che segue di eleggere il proprio vino preferito assecondando il proprio gusto, ma ciò avviene solo nel momento in cui ogni vino è specchio fedele della propria annata, quando il vigneron poco interviene limitandosi ad allevarlo, dopo aver trasformato la materia prima che ha curato nella propria vigna.
Ogni vino, a chi attento ha voluto ascoltare, ha rivelato i pregi e i limiti delle annate, mostrando le sue particolarità. Ringrazio Tommaso Luongo, delegato di Napoli dell’Associazione Italiana Sommeliers per averci guidato in questo viaggio e Maurizio De Simone per averci accompagnato con tutte le informazioni necessarie affinché ne apprezzassimo i percorsi.
Taurasi Docg 2005
A volerlo per forza bere gli si fa un torto. Non un infanticidio, molto di più. è ancora nel grembo di “mamma Lonardo”, quando sarà commercializzato avremmo il diritto di parlarne. All’ultima Anteprima aveva colpito i più, adesso paga il confronto con i fratelli maggiori. Frutta e tratti vinosi, palato serrato. Da rivedere.
Taurasi Docg 2004
Una promessa di futura grandezza? Il naso tramortisce per intensità, s’intravede, per adesso, un probabile sviluppo di complessità dei profumi, già interessanti per finezza. L’integrazione dei profumi del vino tra legno, vitigno e terroir è appena iniziata. Sbuffi di cipria, note biscottate e leggeri cenni fumè di cenere e incenso, auree balsamiche, timbri minerali di grafite ed echi speziati fanno da contorno al frutto turgido e al ricordo d’agrumi. Al palato, l’ingresso è teso, di buona progressione, il retrobocca non ancora sviluppato, il tannino di bella grana e sapido.
Taurasi Docg 2001
L’annata calda, meno della 2000 e della 1998 di cui diremo, si evince da un frutto più pronto è generoso che si svela. Ma si tratta di un profilo olfattivo di bella profondità, grande equilibrio ed eleganza che s’arricchisce di note d’eucalipto, spezie ed erbe aromatiche, l’immancabile timbro di matrice vulcanica e la nota d’arancia. Bellissima bocca piena, popputa e lunga, sorretta da una bella acidità e sapidità. Il ritorno è delicato, fruttato, ripulente.
Taurasi Docg 2000
ad esser fiduciosi, bisognava forse aspettarlo e berlo il giorno dopo. Ha grande massa che deriva dall’annata calda. Ciò rende difficile lo svelarsi dei profumi che rimangono inchiodati su un frutto generoso e maturo e sulle nuance del legno che si rendono più evidenti: vaniglia, mallo di noce, note di cafè tostato, spezie nere. Al palato gli manca l’allungo finale dell’acidità ed il tannino è leggermente polveroso. è di quei vini che negli squilibri, si esalta sulla tavola sapendolo ben abbinare.
Taurasi Docg 1999
Standing Ovation. Naso dagli infiniti orizzonti olfattivi, sottile, che si esprime su note di prugna e marasca, spezie, delicati rimandi floreali di rosa appassita e viola, poi rabarbaro, liquirizia, sentori di arancia sanguinella e grafite. Al palato è elegante e succoso, setoso, leggiadro, ampio, trascina grazie ad un verve acida invidiabile e ad una mineralità che già s’avvertiva al naso insieme a sensazioni terrose; il sorso si chiude lungo e sapido. Da bere, bere, bere.
Taurasi Docg 1998
L’annata calda è stata funesta in gran parte dell’Italia. Al naso non riesce a svilupparsi, gli manca il dinamismo degli altri calici. Note leggermente verdi accompagnate da una terziarizzazione un po’ prematura portano i profumi a virare su sentori di tabacco, foglie secche e sottobosco, accompagnate anche qui dall’immancabile nota d’arancia e da un frutto largamente maturo. Il palato è scomposto: nell’alcool sopra le righe, nell’acidità che va per conto suo, nel tannino un po’ ruvido. Prima annata del nuovo corso Lonardo, Madre Natura non ha fatto sconti, da considerarsi in buona parte sperimentale.
Chiudo, ringraziando chi ha lavorato dietro le quinte per la realizzazione di questa manifestazione: Novella Talamo e Adele Chiagano. Esprimo gratitudine a tutti gli amici produttori presenti a Castelvenere, quelli che non c’erano, quelli di cui abbiamo scritto e scriveremo e che ritroveremo senz’altro in altre occasioni. Dulcis in fundo, ringrazio Luciano Pignataro per avermi chiesto di dirigere questa manifestazione, per avermi dato la possibilità di raccontare queste piccole vigne, questo fermento della viticoltura meridionale, per avermi dato la possibilità di affermare, difendere e promuovere, per quanto potessi fare, un principio fondamentale in cui credo: quello della diversità.
Tutto questo mi ha divertito un mondo.
E spero che vi siate divertiti anche voi.
E adesso ballate sulle note della colonna sonora che avete scelto per questo primo festival meridionale delle piccole vigne: Franz Ferdinand
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