di Marco Lungo
Oggi la pizza è sempre più un argomento importante nel dibattito gastronomico. Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una rapida crescita dell’interesse di tutti gli operatori del settore per un alimento considerato in origine povero e di ripiego per l’alimentazione e le uscite serali.
Grazie all’opera di pochi nomi noti e di illuminati critici e giornalisti, oggi la pizza sta cambiando completamente il suo modo di porsi nei confronti del consumatore e di come è percepita, anche se c’è ancora molta strada da fare. Pensare che, ancora oggi, si faccia una differenza fra “pizza napoletana” e “pizza italiana”, personalmente mi fa rabbrividire, visto che oltretutto, proprio da Napoli, sono giunte in questi anni spinte di immagine e di diffusione della pizza moderne e innovative. Roma, certo, rimane il posto in cui si sono concentrate molte energie di studio e di investimento, con nomi di pizzaioli diventati addirittura dei divi tv, grazie alla loro volontà, costanza e sperimentazione.
Appare quasi normale, quindi, che un grande Molino come quello di Vigevano avvii una sperimentazione affidando la parte tecnica ad un romano come me, mentre al Sud, in quel di Mola di Bari, abbia trovato in Massimo Delre il pizzaiolo di scuola napoletana ideale per fare delle prove estreme di un impasto innovativo. Già, innovativo in che? In tanti aspetti. L’obiettivo era quello di creare un impasto che servisse veramente a tutte le varie esigenze di un pizzaiolo moderno, fornendo un prodotto assolutamente Top e con facilità di realizzazione e duttilità di uso. Fare un impasto che funzionasse ugualmente per la teglia, per la tonda e per il pane, potendolo usare da 12 a 120 ore (5 giorni) di maturazione in frigo, sempre con le stesse caratteristiche di fragranza e friabilità, non era stato mai tentato da nessuno. Noi ci siamo messi lì e lo abbiamo fatto.
La base delle prove è stata la mia ricetta 4.0, come la chiamo in codice, già vincitrice di un Campionato del Mondo, basata su quattro farine diverse impastate a fasi e trattate in un modo particolare. Il Molino Vigevano ha realizzato esattamente le farine che dovevano essere utilizzate per la ricetta originale, applicando le modifiche che sono state suggerite e che non erano presenti comunque nelle farine proposte dal mercato.
Sono state portate a Mola di Bari, al locale Mezzanapoli Delre, di Massimo, scelto perché da tempo addestrato sui miei metodi e con temperature ambiente limite, che abbiamo aggravato ancora di più. Inoltre, Massimo ha studiato Scienze Biologiche e dell’Alimentazione, quindi ha potuto essere un valido riscontro di tutti i passaggi tecnici che gli sono stati chiesti, impostando e documentando tutti i passi come doveva essere fatto, come un esperimento scientifico. Vasche segnate, orari di maturazione controllati, misure di acidità e di temperatura, insomma, tutti i parametri che mi hanno permesso di intervenire con sicurezza sia al Molino Vigevano, sia a me.
Abbiamo lavorato con temperature ambiente fisse oltre i trenta gradi, vincendo ad esempio la sfida del mantenere sempre una dose di lievito considerata “invernale” da molti del settore, tanto per dirne una. Abbiamo raggiunto con facilità idratazioni altrimenti impossibili, con prove limite fino al 110%, stabilendo quindi come standard un 74% per la pizza tonda ed un 85% per la teglia in modo che tutti si possa raggiungere tranquillamente tale obiettivo.
La forza di questo impasto sperimentato con le Farine del Molino Vigevano, comunque, rimane nella suddetta maturazione molto elastica, impossibile agli altri impasti. Avere in frigo un impasto che si possa usare da 12 a 120 ore sicuro, visto che nelle nostre prove è arrivato a oltre 150 ore senza problemi, costituisce una grossa svolta per il pizzaiolo moderno. Questo si è ottenuto con l’applicazione della tecnica, tanta teoria applicata, per risolvere un problema pratico di lavoro.
Che pizza ne è uscita fuori? Beh, se dovessi dirvi oggi, a parte i risultati ed il successo di pubblico per la bontà del risultato, non saprei dirvi, non la catalogherei così come sta succedendo adesso. Non ci riesco ed è una cosa che non apprezzo molto, come ho fatto capire all’inizio.
Personalmente direi che è la Pizza in grado di rappresentare l’Italia tutta in questo momento, che riassume un po’ i pregi delle Grandi Scuole del momento e che ha una base tecnica che permette di essere replicata ovunque. E’ una Pizza che non si piega in punta, ha un cornicione presente, maculato, fragrante, elastico, che si ottiene anche in forno elettrico a relativamente bassa temperatura, con una spianata in grado di reggere anche i condimenti più pesanti senza bagnarsi e senza cedere al centro.
Spero che questo sia un nuovo passo avanti per la comunità pizzaiola e per quello che sanno fare tanti professionisti appassionati di questa arte, perché ci vuole tanta passione e si deve essere innamorati dell’Arte Bianca fino in fondo, altrimenti non si va da nessuna parte.
Penso che il resto, alla fine, anche per il pubblico, stia diventando e rimanga solo un cumulo di chiacchiere.
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