di Ugo Marchionne
Premesse
“Capri è la mia isola, la mia vita anche in cucina, qui tutto è equilibrio, natura ed eleganza”.
Cosi Luigi Lionetti presenta l’ìncipit del suo menù, un menù alla ricerca del rispetto della materia, pulizia del sapore e presentazione impeccabile. Un tricolon di obiettivi e sentimenti che dobbiamo dire sono già stati conquistati da tantissimo tempo da parte dello Chef. Avevamo lasciato due anni fa Luigi Lionetti e la carta del Le Monzù in una fase di piena maturità espressiva, di complessità calibrata e di grande resa nel rendere un Mediterraneo variopinto e potente sebbene sempre fine e misurato, forte del successo stellato conquistato con i pieni favori del pubblico e della guida rossa che finalmente ha saputo riconoscere il pieno potenziale di uno chef che come Carlos Sainz per la Ferrari è uno “smooth operator”, uno che lavora bene, ordinatamente, con equilibrio e misura. Con il suo nuovo menù Luigi Lionetti omaggia se stesso, la sua storia personale, la sua grandiosa brigata di cucina – tutti davvero bravissimi – i suoi ragazzi in sala ed il percorso che lo ha portato fino a quest’oggi. Un’esperienza esaltante, non bisogna essere parchi di complimenti, che la rossa sicuramente non dimenticherà di premiare. Per questo archivio il Le Monzù vale il doppio astro bianco su sfondo rosso…ci siamo capiti.
E si comincia. La coccola iniziale, il riferimento più rassicurante, il delicato bon-bon di gambero rosso con zuppetta di olive di nocellara, mandorla e limone, nella cui attuale versione si apprezzano ancor di più i delicati equilibri e l’acidità del limone candito. Millimetrico come sempre. Un passaggio assolutamente doveroso.
Il piatto che probabilmente mi ha stupito di più è la tartare di manzo con nocciola. Non vi lasciate ingannare dal nome understated, questo piatto è probabilmente il più complesso di tutto il percorso. E’ Giappone, è Pierre Koffman, è Gordon Ramsay, è Luigi Lionetti insieme. Una tartare di manzo in aspic, accolta da una leggera salsa ponzu-tosatsu, Shiso, erbe fini e maio alla nocciola. Sublime. Il migliore ed il più intellettualmente stimolante di tutto il percorso.
I primi sono un vero e proprio viaggio di mare, un’immersione nel Mar Mediterraneo interpretato da Luigi Lionetti come solo lui riesce ad intenderlo. Ogni piatto rappresenta un’espressione diversa del medesimo. Rotondità: Linguina con burro di bufala, alga spirulina, vongole, calamari e bottarga di tonno; Forza: eliche con peperoncini verdi, cozze e lardo di totano; Concentrazione: pasta da’mare con estratto di pomodoro, ricci e salicornia.
Quest’ ultimo piatto è probabilmente il più “oltre”, quello che spinge di più. Il pescato ed i cefalopodi sono stati resi a mò di pasta, di tubettini e pasta corta, accolti da un estratto di pomodoro dolce e acidulo e sospinti dalla sapidità di ricci e salicornia. E’ la pasta dei bimbi resa in maniera adulta, raffinata e precisa. Un piatto di enorme spessore tecnico eppure di grandissima leggibilità. Un mare romantico quello di questo 2023.
Secondi di livello internazionale, Gallinella, essenza di gambero rosso con zucchine e colatura di provola e agnello delle Dolomiti Lucane, pak-choi, composta di aglio nero e arancia. Cotture millimetriche, grande resa tecnica e minimalismo nelle presentazioni. Forse tra i punti più alti dell’intera degustazione. Due delle portate degli 8 “segreti” di Luigi Lionetti che ho apprezzato in modo particolare e che muovono ad una semplice considerazione condivisa e proposta al tempo da Albert Roux al Le Gavroche: nei secondi ciò che deve primeggiare è la cottura della proteina che è in grado di dettare, come un metronomo, il tempo, la temperatura e la sensibilità del piatto.
Sarà che vivo da più di un lustro a Milano, sarà che la sento un po’ come casa, sarà che Luigi me la fece provare il primo anno che fu inserita in carta, ma la Milanese di Ricciola conserva sempre un posto speciale nel mio cuore.
E per finire, Pina Colada, Nocciola, caffè e arancia e il celebre Lemon-zù. Semplicemente i dolci migliori dell’isola, senza mezzi termini, dubbi o precisazioni. La migliore espressione di categoria di tutta l’isola. Sapori, colori e profumi del territorio con un flair internazionale.
Conclusioni
Una precisa misura ed equilibrio che non ammettono dubbi, non ammettono pensieri se non quelli volti al miglioramento ed alla tensione creativa volta alla crescita. La cucina di Luigi Lionetti, corroborata dalla sala, dal bravo Flavio Fusco e dal sempre più plenipotenziario Gennaro Buono, oggi rappresenta forse senza mezzi termini “IL” riferimento sull’Isola di Capri, il “benchmark”, il “gold standard”, “the bar”. Un percorso ben strutturato, un menù complesso dall’ottimo rapporto qualità-prezzo di ogni percorso che non dimentica proposte vegetariane, ponendole anzi al centro di una delle proposte. Cenare al Le Monzù alla corte di Luigi Lionetti riesce sempre a stupire per novità, gusto, concentrazione e comfort…ecco comfort, quando un ristorante stellato riesce a diventare una comfort zone per i propri commensali a mio modo di vedere ha raggiunto il risultato sperato. Il lavoro di Gennaro Buono di coordinamento di tutti gli hotel del Gruppo Manfredi porta frutti e fa vedere i suoi effetti in modo crescente di anno in anno. Una stella Michelin che rivaleggia con le stelle delle serate capresi. Nel cuore di Punta Tragara, sospeso tra natura e cielo, Le Monzù propone un percorso nell’eccellenza della cucina mediterranea nello scenario incomparabile di una vista a perdita d’occhio sulla meraviglia di quest’isola. Creatività, tensione creativa ed evolutiva e rigore senza mai dimenticare l’armonia, l’eleganza e l’estetica, componenti primarie del credo del Punta Tragara Hotel & SPA. Imperdibile.
Le Monzù
Punta Tragara Hotel & SPA
Via Tragara 57
80073 – Capri
Napoli
081 837 0844
Scheda del 25 agosto 2021
di Ugo Marchionne
Abbiamo seguito – insieme ed in primis con il maestro Luciano Pignataro – Luigi Lionetti sin dall’inizio del suo percorso, attraversando piatti, suggestioni e sensazioni di un susseguirsi di menù, anno dopo anno che hanno descritto un percorso vero e proprio. Una cifra stilistica personale che è andata man mano crescendo e consolidandosi in maniera compiuta fino a raggiungere il tanto atteso traguardo: la Stella Michelin. Un traguardo che per Luigi non è mai stato un’ossessione ma che ha rappresentato prima un traguardo e poi un nuovo punto di partenza, uno starting point dal quale far rinascere la sua cucina e ravvivare il suo fuoco. Un Le Monzù che appare rinnovato e rinvigorito da qualche tempo, sotto l’egida di Gennaro Buono, grande amico di questo archivio e vero riferimento di sala, che ha contribuito alla rinascita ed alla rifondazione del sistema servizio del Monzù, del Mammà e del Gruppo Manfredi.
Primissimo appunto. Da quest’anno il menù del Le Monzù si compone solo ed unicamente di percorsi decisi da Luigi – tra cui un bellissimo percorso vegetariano. Di seguito la descrizione del “6 Storie”, sei corse che descrivono appunto le evoluzioni espressive anno dopo anno di questo bravissimo chef.
Bon bon di gamberi, zuppetta di olive di Nocellara, mandorla e limone candito “anno 2015”. L’influenza e la matrice del maestro Gennarino Esposito sono ben presenti. Rielaborate però con personale e finita compiutezza da parte di Luigi Lionetti. Una precisa delicatezza ed i delicati equilibri corrono lungo tutto il piatto.
Seppia, ricci e mela verde “anno 2021”. Piatto nuovo, nuovissimo. Probabilmente uno dei migliori dell’intera sequenza in cui viene fuori in maniera compiuta il Mediterraneo secondo Luigi Lionetti: personale, identitario, compiuto e carico di iodio. La trasparenza di seppia ha una consistenza assolutamente perfetta ed il riccio e la mela verde – in brunoise ed in granita – legano insieme il piatto ancor meglio.
Baccalà alla puttanesca, sorbetto di pomodoro “anno 2020”. Minuta e composta questa suprema di baccalà alla puttanesca che riproduce in maniera minuta e puntiforme le componenti primarie di questo classico della cucina italiana. Punto di cottura del baccalà e di temperatura del sorbetto molto centrata.
Risotto con burrata, scampi, capperi e limone “anno 2014”. Semplicemente un classico di Luigi Lionetti, probabilmente il piatto che più di ogni altro rappresenta l’interezza del percorso di avvicinamento alla stella e che probabilmente già valeva la stella nel lontano 2014. Le sue parole d’ordine sono ancora tradizione e innovazione. Una tradizione che viene filtrata sul campo attraverso il dialogo e la ricerca. Il presente risotto è a mio modestissimo modo di vedere l’esemplificazione di un Mediterraneo carico seducente e iodato. Estetico e sapido, incentrato su un saputo rispetto delle materie prime, delle tecniche e del territorio.
In parallelo le Eliche con cozze e peperoncini verdi ed i Cappelletti al parmigiano vacche rosse, tartufo nero estivo, astice ed il suo brodo freddo “anno 2018”. L’anima campana e l’anima francese della direttrice Lionetti vengono fuori prepotentemente. I parallelismi potrebbero sprecarsi. Pasta secca su pasta fresca, Campania su Francia, minimalismo su opulenza e così via ad andare. In realtà questa sequenza ci fa ben comprendere come Luigi sia riuscito dopo la stella a sintetizzare bene una cucina di enorme gusto e concentrazione di sapore affidandosi ad una tecnica eccellente (si veda il brodo freddo di astice o l’emulsione di cozze che lega insieme le eliche) totalmente asservita al gusto, senza voli pindarici o eccessive elaborazioni ideologiche.
Dolci davvero ottimi che recuperano in chiave contemporanea la tradizione di fine pasto alla partenopea. Negli ingredienti, nelle forme, nei concept e nella forma espressiva. Chiave fondamentale di un discorso che Luigi porta avanti con grande piglio ed umiltà.
Parentesi a parte, la cantina del Monzù, sotto l’egida di Gennaro Buono e di Nicola Brienza in sala appare notevolmente cresciuta, in costante evoluzione e soprattutto capace di adattarsi ai gusti ed alle sensibilità di una clientela caprese in continua e costante evoluzione. I grandi rossi e gli champagne rappresentano sempre una costante, ma il lavoro sulla Campania e sull’Italia a tutto tondo che Gennaro Buono è stato capace di apportare, con rigore ed organizzazione – paradigmi che conosciamo bene essere propri del suo essere – hanno reso la piccola cantina del Le Monzù un bel riferimento isolano per varietà e peculiarità.
Conclusioni
Pare innegabile descrivere la maturità acquisita da Luigi Lionetti post assegnazione della stella. Il materiale umano di questo chef – enorme davvero – pare ora quantitativamente più sicuro di se stesso. La cucina è assolutamente imperdibile, così come l’ambientazione suggestiva che con il maestro Luciano Pignataro avevamo tempo addietro già segnalato e previsto. Nessuna dote divinatoria però nel caso dell’archivio. La qualità del Mediterraneo contemporaneo e personale di Luigi Lionetti era un qualcosa di già grandemente evidente che ha impiegato qualche tempo per venir fuori e che adesso brilla – come una stella (mi si perdoni il termine banale) – nel firmamento caprese. Cielo nel quale, grazie a realtà come il Le Monzù del Punta Tragara Hotel & SPA si mangia ancor meglio. Una realtà che già si esprime per conquistare qualcosa di più.
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