di Francesca Pace
Chiudete gli occhi e immaginate di assaporare una di quelle ostriche che vengono portate a tavola durante pranzi eleganti e ricevimenti sontuosi. Bene, ora prendete questo pensiero e cestinatelo. Le ostriche hanno tutt’altro sapore e consistenza. Non sto dicendo che non siano buone quelle, ma bisogna imparare a conoscerle, a gestirle e a valutarle, almeno per farsi un’idea sul da farsi. Esiste ovviamente, facendo un paragone con il vino, la varietà “in brik” e la varietà incellophanata da cantina. Io come molti di voi non ne avevo idea, o quanto meno non ero a conoscenza di un divario così abissale, mi sembravano tutte più o meno simili.
Le ostriche poi hanno una peculiarità netta: o piacciono o non piacciono. Non esiste una via di mezzo. Eppure vi dico, che durante questo studio anche chi non riusciva proprio a mandarle giù le ha apprezzate. Certo se proprio non vi piacciono non diventeranno il vostro cibo preferito ma conoscerlo meglio da vicino vi aiuterà nella scelta di esse. Ma andiamo in ordine, come ci si può orientare?
Intanto un po’ di dati utili: l’Italia è il secondo consumatore europeo di ostriche ma soltanto il sesto a livello di produzione. In realtà se andiamo indietro negli anni l’ostrica era molto presente nella zona di Lucrino e dei Campi Flegrei, fonti storiche ne collocano il consumo già nel II sec. a. C., inoltre Re Ferdinando di Borbone poi ne era ghiotto e andava personalmente a pescarle durante le sue fughe da Palazzo. Col passare del tempo il loro consumo si è abbassato ma stanno vivendo una nuova impennata nei consumi.
Come ci tengono a sottolineare Claudia e Rossella Migliaccio, terza generazione della famiglia Migliaccio, che da più di 50 anni con Mare Sud lavora nel settore dei molluschi, le ostriche sono sì un prodotto di lusso ma assolutamente accessibili se non si fanno scelte errate. Per questo motivo da anni hanno selezionato nel loro store i migliori prodotti ittici, in modo da dare ai consumatori un’esperienza gastronomica unica.
Già solo valutare il calibro, le tecniche di coltivazione, il “mareoir” (parola impropria ma che rende l’idea vista l’assonanza con il terroir vitivinicolo) può aiutare l’avventore nella scelta finale.
Come accennato poco più su, ogni ostrica ha la sua storia, le sue dinamiche di vita, che la rende più o meno tenace, più o meno sapida, più o meno persistente.
Se volete fare questa esperienza a casa potete potreste prenderne diverse tipologie e studiarne attentamente il comportamento. Intanto via il limone. L’ostrica deve essere mangiata tal quale. Così com’è. Una volta aperta, tenendo la parte più concava sul palmo della mano, come ci ha spiegato l’Ostricaro Fisico Giuseppe Dal Ponte, bisogna far colare il liquido contenuto all’interno delle valve, staccare il muscolo e servirle abbastanza velocemente. Il concetto è che finché il muscolo è attaccato l’ostrica, essa è viva e siccome si mangia cruda, il lasso di tempo tra l’apertura e il consumo deve essere ridotto al minimo.
Fatto ciò, l’ostrica deve essere “masticata” e come avviene per il vino, deve essere fatta passare un po’ in tutta la bocca, in modo da valutare i diversi sentori. Ci sono tantissime assonanze con esso. Anzi, il pairing va ad esaltare ancor di più il sapore delle ostriche.
E dunque Champagne? No, non è necessario a meno che non abitiate in Francia e vogliate essere fedeli al territorio. Ma da campana vi dico che armonici sono stati gli abbinamenti con il vino dei Campi Flegrei (più una sorpresa di cui vi parlerò dopo).
Terra vulcanica dalle mille sfaccettature che dona sempre ottime esperienze.
I vini scelti in collaborazione con Adele Munaretto, sommelier Ais, sono stati quelli dell’azienda Vitivinicola Quarto Miglio.
Nello specifico:
Ostrica Ostrica Gold Beach huitre special e Falanghina spumantizzata extra dry Momenti.
In questo caso la componente sapida dell’ostrica viene alleggerita dai 13g di zucchero per litro dello spumante che risulta più morbido rispetto a un brut. Questa è l’ostrica giusta per fare la conoscenza, per avere un primo prezioso approccio con mondo: un’ostrica poco impegnativa, che riscuote sempre un grande successo, forse proprio per la sua semplicità. L’abbinamento è perfetto grazie alla morbidezza del vino che va a bilanciare la sapidità del muscolo, la bollicina persistente ma fine, pulisce perfettamente il palato.
Ostrica La Frandise, Geay e Falanghina Campi Flegrei Dop 2021
Questa è già un’ ostrica più complessa, più tenace, più croccante che ha anche una notevole dolcezza. La falanghina avendo però una bella nota sapida è riuscita a bilanciare questa tendenza, il risultato dell’abbinamento è stato di gran lunga apprezzato in quanto questo vino si è allungato bene, lasciando però spazio alla protagonista servita.
Ostrica Mont ST Michel e Falanghina Macchia Bianca 2017
Lo dico subito, è stata la mia preferita in assoluto. L’ottima persistenza e l’accattivante mineralità hanno messo questa ostrica in cima al mio podio personale.
Non è un ostrica facile da domare e per questo che il gusto complesso ha meritato un vino più maturo, con decise note evolutive, assolutamente notevoli. In più questa Falanghina subisce una lavorazione particolare, ovvero attraversa un processo di macerazione pellicolare e ciò fa si che il vino abbia un corpo maggiore in grado di sostenere la caparbietà intrinseca dell’ostrica.
Colpo di scena con l’ultima in analisi. Una sorta di esperimento. GeG: degustazione alla cieca della famosa Ostrica Gillardeau posta in abbinamento ad un vivace Gragnano sempre dell’azienda il quarto Miglio che alleva questo tipo di uve in un habitat diverso però da quello dei Campi Flegrei.
Come è andato questo esperimento? L’abito non fa il monaco. Non sapendo infatti che si trattasse della famosa Gillardeau abbiamo trovato, più o meno tutti, questa meno impattante, ciò significa che le mode, gli standard imposti dal marketing e dalla pubblicità, non sempre hanno l’effetto sperato, se non ci si fa condizionare dal nome.
Se state pensando a un regalo da fare o da farvi, questa esperienza potrebbe essere la scelta giusta.
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