Le viti di Asprinio si arrampicano faticosamente sui filari di pioppi, sino a quindici metri. Gli anziani contadini vendemmiano legati a scaloni alti come quelli dei pompieri, tutti in legno, che spostano con un brusco movimento, la «passata». Dalla fine dell’Ottocento i Martusciello vinificano la raccolta e la commercializzano, prima a Pozzuoli, poi a Quarto dove dieci anni fa Francesco e Salvatore, la quarta generazione, con la madre Elena e lo zio, l’enotecnico Gennaro, hanno fondato la nuova azienda «Grotta del Sole». Dal 1992, primo anno di commercializzazione, la produzione è rapidamente cresciuta, fino a toccare le attuali 700.000 bottiglie. È il «vino di Napoli» che dismette bottiglioni, tappi di plastica, etichette improbabili e diventa presentabile grazie ad una vinificazione attenta e controllata, parte nelle grandi vasche di acciaio, parte in barrique. Ed ecco dunque dai Monti Lattari rivivere il Gragnano e il Lettere, mentre il Piedirosso e la Falanghina dei Campi Flegrei, il loro territorio naturale di adozione conquistano rapidamente il mercato.
C’è poi, naturalmente, l’Asprinio, l’altro grande bianco partenopeo che affascinò Mario Soldati e Gino Veronelli quando ancora era appena un brutto anatroccolo. Ed è proprio da questa uva, i cui vitigni sono ancora in gran parte a piedefranco perché (caso unico in Europa) non hanno mai conosciuto la fillossera che distrusse la viticultura italiana, alla fine dell’Ottocento al Centro-Nord, un po’ più tardi in Campania, che parte la scommessa più ardita.
Sfidare i colossi dello spumante italiano. Una scommessa ardita perché al Sud la tradizione spumantistica è sempre stata circoscritta quasi a livello amatoriale (vedi il Kalimera ad Ischia o il D0’Araprì a Foggia). Non a caso resta uno dei settori di mercato dove le etichette venete, trentine e piemontesi non conoscono problemi legati alla concorrenza. Intendiamoci: la spumantizzazione dell’Asprinio ha una certa tradizione e quasi tutte le aziende casertane possono vantare in lista sia il metodo charmat (fermentazione in vasche d’acciaio) che il metodo classico (fermentazione in bottiglia). «Noi – dice la signora Elena – vogliamo presentarci con più determinazione sul mercato. Crediamo nello spumante campano». «L’Asprinio – aggiunge il cognato Gennaro, presidente degli enotecnici campani – ha qualche carta in più degli altri vitigni da giocare». Così è nata la prima Riserva Metodo Classico 1989. Appena 400 bottiglie da offrire agli amici e agli operatori che contano. In Commercio sta per arrivare l’annata 1993, prodotta interamente con Asprinio d’Aversa ad Alberata con raccolta manuale, i grappoli strappati e non tagliati, un sistema di origine etrusca rimasto intatto nei millenni. Proprio sul matrimonio tra il pioppo e la vite, dunque, il vino napoletano gioca l’ultima scommessa del secolo.
Il Mattino, novembre 1999
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