di Marina Alaimo
Per mettere a fuoco la realtà delle cose è importante distaccarsene per un po’. Specie quando quel mondo lo vivi a pieno ritmo e con grande passione. Rischi che ti divori insieme a tutto il resto privandoti della capacità di essere. Ti imbriglia nella gabbia del pensare comune obbligandoti a fare parte del gioco tortuoso e troppo spesso controverso. Sbiadisce come una veccchia fotografia quell’autenticità che hai voluto preservare nel corso della vita come fosse il bene più prezioso da difendere. Rischi però di perdere questo o quel contatto, evento, occasione di metterti in mostra – ma chi se ne frega. Nel tempo sospeso dagli impegni e dedicato alla riflessione non ho potuto fare a meno di associare molti aspetti del mondo del vino al film di Sorrentino “La grande bellezza”.
Premetto che nonostante il grande successo, questo film non mi è piaciuto un granché. Ritengo ormai che un regista con tali ambizioni debba saper raccontare fatti, emozioni e circostanze senza ostentare di continuo tette e culi. Specie in questo momento in cui i casi di violenza sulle donne sono feroci e all’ordine del giorno. Per affrontare questo gravissimo problema sociale è indispensabile l’impegno di tutti e specie dei media, del cinema, del mondo dell’arte affinché si interrompa il mercimonio del corpo della donna. Quella stessa volgarità l’ho ritrovata in una certa parte del mondo del vino e anche in quello degli chef.
Ma è sul primo che voglio soffermarmi. Proprio ora che c’è un mare di scrittura dedicata a vini, vigne e produttori e quindi una maggiore capacità di critica e di scelta, ci si distacca troppo spesso da quella autenticità invece tanto esaltata e ricercata. Un po’ come è successo dopo la caduta della prima Repubblica e le aspettative verso un cambiamento radicale della politica sono state altissime e poi totalmente disattese. Ecco nella stessa misura ci si aspettava che il distaccarsi da una concezione obsoleta della vitivinicoltura ci avesse poi garantito qualità e soprattutto autenticità di espressione nei vini. Niente di più falso, anche se aver agevolato la libertà di pensiero dei produttori e di critica da parte dei wine writers e dei consumatori ha aumentato sicuramente la qualità di certi vini. Non critico la scelta stilistica del produttore, purché questi la persegua con coerenza. Come non accetto l’approccio fondamentalistico di alcuni critici verso le azienda che fanno grandi numeri o che comunque si distaccano da una mentalità artigiana del vino.
Ciò che trovo volgare e insopportabile è l’ostentare il legame a quel settore tanto di moda composto dai così detti vini naturali o vini che esprimono con sincerità il territorio di appartenenza quando poi nel modo di essere e di porsi si rinnega totalmente l’ideologia di partenza. Oppure quando si vuole giustificare la bassa qualità del proprio vino con il fatto che sia stato prodotto con metodi “naturali” e si guarda l’interlocutore con superiorità cercando di lasciargli intendere che non capisce nulla di certi vini intellettuali. Per questa tipologia di produttori, più che per qualunque altra, il concetto di condivisione e di accoglienza dovrebbe essere di fondamentale importanza. Non puoi certamente avere un atteggiamento distaccato o sentirti una star del momento solo perché quelle quattro bottiglie che produci riesci a piazzarle con una certa facilità sul mercato.
Di autenticità invece ne ho trovata tanta nel Fiano di Maura Sarno che sa trasmettere senza sotterfugi o colpi di scena sia il territorio che gli dà vita sia la personalità di chi lo produce. Ho riprovato di recente l’ultima annata, la 2012, e l’ho trovata un piccolo gioiello fatto di finezza e grande personalità. Esprime sicurezza, solarità e quei caratteri che riconducono al suolo di Candida sul quale Maura ha investito tanto convinta che potesse raccontare un fiano riconoscibile ed elegante. E ho molta stima per la il suo modo di approcciare con chiunque avesse a che fare.
Ha grande senso dell’accoglienza, sa porsi con umiltà e senza pregiudizi riuscendo a godere in pieno delle tante e varie personalità che animano questo mondo in pieno fermento, ben consapevole del fatto che ogni incontro possa rappresentare una occasione da cogliere. Sarà poi il tempo a limare con saggezza le appendici inutili o dannose.
Sede legale ad Avellino presso Villa Sarno, Contrada Serroni, 4. Tel e fax 0825.26161, 339.7265669. Enologo: Vincenzo Mercurio. Ettari: 11 di proprietà. Bottiglie prodotte: 7000. Vitigni: fiano di Avellino.