di Annito Abate
Ora che le “acque” si sono calmate, a “feste”, almeno quelle di fine/inizio anno, terminate e bagordi “affievoliti”, ma solo momentaneamente, racconto un’altra storia legata a quell’affascinante ambiente che va sotto il nome di cucina ed alla magia delle sue possibili preparazioni della tradizione popolare.
L’attesa dell’evento dovrebbe essere un momento di “riflessione” e di “digiuno” ed è per questo che «non si dovrebbe proprio mangiare oppure si dovrebbe mangiare poco». Il condizionale è d’obbligo!
Le Grandi Feste Evento e/o Avvento sono ritmate da una sequenza che si può definire “paradigmatica” e che risponde, di fatto, ad una serie ripetuta di tre situazioni fondamentali: preparazione – attesa – celebrazione dell’avvenimento.
La preparazione è un grande “dietro le quinte”: si rispolverano le ricette, si controlla la “cambusa”, si fa la spesa, si preparano le cucine per sfornare le ricette da “esibire” ai convenuti, durante la lunga tornata di mangiate.
L’avvenimento non è altro che la Celebrazione della Ricorrenza, che coincide con i vari Cenoni previsti durante tutto il lungo periodo di festività che d’inverno sono una sequenza d’inferno: 24 la Vigilia, 25 Natale, 26 Santo Stefano, 31 Capodanno, 1 il Primo dell’Anno 6 Gennaio La Befana, “accostando” un lauto pranzo alle “famigerate calze” ripiene di “grassi in purezza”. Qualche famiglia, e non sono poche, ha poi uno o più compleanni “infilati” tra il 26 ed il 31 ed allora è un altro evento da aggiungere al calendario.
Ma è dell’attesa che voglio parlare, quei “magici” momenti dove “non si mangia” e “non si mette la tavola”, quando tutti corrono e “spizzicano in piedi” bussando alla porta, spudoratamente, anche durante la “contr’ora”, magari nel momento in cui la “cuoca” si sta riposando in attesa che l’impasto cresca, oppure che qualcosa finisca di cuocere sui fornelli o nel forno.
Ma sono fondamentalmente due i momenti di attesa vera: il 24 ed il 31, entrambi a mezzogiorno, ed è proprio dietro il “non si mangia” che si può celare la più subdola delle abbuffate, “ingollando” decine di “pizzelle fritte” assortite nelle tre tipologie fondamentali invernali: assolute, cioè vuote, ripiene di baccalà e ripiene con le acciughe (la collezione primavera-estate prevede i “ciurilli” (fiori di zucca) o le più esotiche alghe).
Mia nonna prima e mia mamma poi, le hanno fatte sempre per tutta la famiglia: «è tradizione, quelli (i parenti) poi non hanno tempo per farsele, se le aspettano e se le passano a prendere fra poco»; zii, zie, cugini, cugine, nipoti, nuore, anche le suocere ed ogni altra sorta di familiare, in una processione che si dovrebbe quasi lasciare la porta aperta tanta è la continua affluenza.
Per dirla, quasi, alla Nunzio Filogamo «Miei cari familiari vicini e lontani buongiorno da qualunque parte voi veniate!»
La cosa peggiore, siccome «pare brutto se non le trovano» e quindi «ne faccio qualcuna in più per ogni evenienza e poi … quella è la dose», finisce che le natalizie frittelle rimangono nel forno e che gli assaggi si “propaghino” fino all’ora di cena, pardon, del Cenone, con evidente ed urgente “bisogno” di bicarbonato di sodio per tirare avanti fino a sera.
La ricetta è famosa, tradizionale, questa è quella di famiglia, tramandata di “cuoca” in “cuoca” e presentata passo-passo.
Ingredienti per 1 teglia (circa 30 “pizzelle”)
- 500 gr. di farina
- 25 gr. di lievito (un cubetto)
- 1 cucchiaino di sale
- 300-320 gr. di acqua
A piacere prevedere il ripieno scegliendo tra quelli sottostanti:
- 300 gr. di baccalà già “spugnato”
- 200 gr. di acciughe salate
Procedimento
Stemperare il lievito nell’acqua calda ed aggiungere poi la farina ed il sale. Con l’acqua rimanente amalgamare bene l’impasto, battendo, fino ad ottenere una “pastella”, o pasta cresciuta, fluida e morbida.
Far lievitare per circa un’ora fino ad ottenere circa il doppio del volume dell’impasto iniziale così come amalgamato.
Aiutandosi con un cucchiaio da minestra precedentemente bagnato in acqua tiepida (onde evitare che la pastella si attacchi) dosare le “pizzelle” e friggerle in olio extra vergine d’oliva abbondante e ben caldo.
Scolare le frittelle dall’olio quando sono diventate ben dorate e farle sostare nello scolafritto e sulla carta assorbente prima di impiattare.
Le “pizzelle” con il baccalà prevedono l’uso di un pezzo già spugnato, ovvero precedentemente tenuto a bagno in acqua per almeno tre giorni, cambiando l’acqua due volte al giorno in modo da dissalarlo ed ammollarlo. Lavare il baccalà, spellarlo, togliere con attenzione tutte le spine, asciugarlo e tagliarlo a pezzi da mischiare nella pastella; friggere con le modalità già descritte.
Le “pizzelle” con le acciughe salate prevedono che queste siano state ben sgocciolate dall’olio di conserva e quindi tagliate a piccoli pezzi e mischiate nella pastella; friggere con le modalità già descritte.
Friggere nell’ordine prima le “pizzelle” vuote, poi quelle con il baccalà ed infine quelle con le acciughe.
Un piccolo segreto, carpito alla “cuoca” durante la fase di frittura prevede che, messa la “pizzella” in olio bollente, si debba aspettare qualche secondo in modo che si formi la “crosticina” sul lato di immersione e quindi girarla immediatamente per permettere alla frittella di “gonfiarsi” in modo corretto e “sano”.
L’ideale è mangiarle ben calde ma questo succede solo se si ha la fortuna di essere l’addetto all’impiattamento.
Abbinamenti
Un buon fritto non dovrebbe far prevalere l’untuosità ma come non considerare, nell’abbinamento con il vino, la percettibilità di questa sensazione unita ad una leggera sapidità che nel caso del ripieno con il baccalà risulta maggiormente evidente e con quello di acciughe ancor più. Ma anche la tendenza dolce, propria della pastella fritta, risulta abbastanza percettibile.
Nel caso delle “pizzelle” vuote tutto fa pensare che il vino in abbinamento debba avere una buona freschezza d’acidità ed essere abbastanza caldo in tenore alcolico. Un Fiano di Avellino sarebbe l’ideale, magari anche in una versione ben spumantizzata.
Per le “pizzelle” con il ripieno, a secondo della percezione sapida e della “struttura”, il vino dovrebbe essere più equilibrato e con un corpo più presente; se non si vuole cambiare vino-vitigno si potrebbe tirare fuori dalla cantina qualche precedente annata del Fiano già degustato, e se si è scelta la presenza della Co2, passare ad un Franciacorta Saten, magari millesimato.
Se la struttura, per un motivo o per l’altro, risulta più evidente si può migrare tranquillamente verso i rosati nelle tipologie “fermo”, “frizzante” o “spumante”.
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