Svolta nella certificazione del latte di Bufala mediterranea indispensabile alla produzione di Mozzarella di Bufala Campana dop
La Coldiretti Campania rende noto che la sentenza del Consiglio di Stato n. 06670/2024, proc. 01418/2024 ha decretato
l’annullamento del Libro Genealogico della razza “Bufala Mediterranea Italiana” detenuto da una delle associazioni, il RIS, una revoca che non le consente più di certificare il latte delle bufale iscritte all’albo.
“Gli allevatori e i caseifici devono fare molta attenzione. –spiega il direttore di Coldiretti Campania Salvatore Loffreda– Il disciplinare di produzione della Mozzarella di Bufala Campana Dop prevede che il latte, destinato alla trasformazione, deve essere ottenuto dalla mungitura di Bufale appartenenti alla Razza Mediterranea Italiana e che tale appartenenza può essere certificata, esclusivamente, da Enti di Selezione autorizzati dal Ministero dell’agricoltura. Pertanto il caseificio dovrà chiedere ai conferitori allevatori se sono iscritti ai libri genealogici della specie bufalina riconosciuti dal Masaf, come quello dell’Anasb, per continuare a ricevere latte idoneo alla produzione della Mozzarella di Bufala Campana Dop”.
Questa sentenza respinge gli appelli presentati dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare e dalla stessa associazione, in opposizione alla sentenza del Tar del Lazio, con la quale veniva annullato il provvedimento del Ministero dell’8 giugno 2018, che istituiva un secondo Libro Genealogico della razza “Bufala Mediterranea Italiana”.
LA SENTENZA INTEGRALE
Istituzione del secondo libro genealogico della razza “Bufala Mediterranea Italiana” Cons. Stato, Sez. VI 23 luglio 2024, n. 6670 – Montedoro, pres.; Ponte, est. – Ministero dell’Agricoltura della Sovranita’ Alimentare e delle Foreste, Dipartimento delle Politiche Europee e Internazionali e dello Sviluppo Rurale del Masaf ed a. (Avv. gen. Stato) c. Regione Campania, Associazione Nazionale Allevatori della Specie Bufalina Anasb (n.c.) ed a. Agricoltura e foreste – Istituzione del secondo libro genealogico della razza “Bufala Mediterranea Italiana” – Autorizzazione. (Omissis)
FATTO e DIRITTO
1 Con l’appello in esame il Ministero odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 10812 del 2021, con cui il Tar Lazio ha accolto il ricorso proposto dall’odierna parte appellata Associazione Nazionale Allevatori della Specie Bufalina – A.N.A.S.B.; con l’originario ricorso venivano impugnati il provvedimento prot. n. 19138 del 14 giugno 2018 recante comunicazione del d.m. n. 18268 dell’8 giugno 2018 con cui è stata autorizzata l’istituzione del secondo libro genealogico della razza “Bufala Mediterranea Italiana” affidato all’Associazione R.I.S. – Ricerca, Innovazione e Selezione per Bufala ONLUS e approvato il testo del disciplinare, nonché il provvedimento prot. n. 20302 del 25 giugno 2018 con il quale il Ministero ha confermato alla Regione Campania il riconoscimento del secondo libro genealogico presso RIS Bufala, nonché gli atti conseguenti.
2 Con la sentenza appellata il Tar accoglieva il ricorso in merito alle censure relative al “difetto di istruttoria, di cui alla seconda parte del terzo motivo del ricorso principale, che, in funzione della riedizione del potere, assorbono altresì quelle concernenti la violazione delle facoltà partecipative al procedimento dell’Associazione ricorrente, come dedotte con il primo motivo del ricorso principale e con la seconda parte del motivo sub 1) dei primi motivi aggiunti…. in quanto … non risulta valutato in modo adeguato, ai fini della previsione di cui all’art. 2 del d.m. 16 luglio 1994, il dato quantitativo del numero dei capi bufalini disponibili per il programma genetico soprattutto in relazione al rapporto tra la popolazione bufalina femminile e quella maschile, come del pari il profilo della sufficienza della dotazione di personale” in particolare risultando dal verbale n. 2 della Commissione valutatrice, che sui 47.713 capi bufalini totali indicati in relazione ai 96 allevamenti associati (di cui 42.336 femmine e 5.377 maschi), sono iscritti al Registro nazionale femmine solo 1.987 capi e nessuno al Registro nazionale maschi, con conseguente attuale e effettiva insufficienza del patrimonio zootecnico; – la disponibilità di mezzi organizzativi è irrisoria, quanto alla dotazione di personale (un solo dipendente part time al 50%, altri cinque che svolgono attività su base volontaria).
3. Il Ministero appellante, nel ricostruire in fatto e in diritto la vicenda, con il presente gravame deduceva l’erroneità della sentenza Tar, proponendo i seguenti motivi: – nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 comma 6 Cost, 3 comma 1, 88 comma 2 lettera d) CPA e 118 Disp. att. CPC, per la nullità della resa decisione per inesistenza della motivazione posta a fondamento della determinazione assunta; – erroneità e ingiustizia della sentenza per violazione degli artt. 64 CPA e 115 CPC della sentenza nella parte in cui, al punto 3.4., ha (apoditticamente e immotivatamente) ritenuto che l’Amministrazione non abbia adeguatamente valutato il possesso, da parte di RIS Bufala, dei requisiti di cui all’art. 2 del DM 26 luglio 1994, con riferimento al dato quantitativo del numero dei capi bufalini disponibili per il programma genetico, soprattutto in relazione al rapporto tra la popolazione bufalina femminile e quella maschile, nonché al profilo della sufficienza della dotazione di personale; – nullità della sentenza per violazione dell’art. 113 Cost e dell’art. 7 CPA, eccesso di potere giurisdizionale, per aver esercitato, benché precluso nella fattispecie in scrutinio, un sindacato esteso al merito dell’azione amministrativa, sostituendo, di fatto, le proprie valutazioni a quelle (legittimamente e motivatamente) effettuate dall’Amministrazione; – erroneità della sentenza per violazione dell’art. 35 CPA e dell’art. 100 CPC, insussistenza dell’interesse ad agire in capo ad ANASB. 4. Si costituiva in giudizio l’associazione originaria controinteressata Associazione R.I.S. Bufala – Ricerca, Innovazione e Selezione per la Bufala onlus, aderendo alle deduzioni della difesa erariale, e proponendo in via graduata appello incidentale avverso la medesima sentenza di accoglimento, deducendo il seguente motivo: in corso di giudizio l’interesse dell’A.N.A.S.B. è venuto a cessare. Si costituiva in giudizio la parte originaria ricorrente chiedendo il rigetto di entrambi i gravami.
5. Con ordinanza n. 955 del 2024 veniva accolta la domanda cautelare ai soli fini della sollecita fissazione del merito. Alla pubblica udienza dell’11 luglio 2024 la causa passava in decisione.
6. Il primo motivo di appello è infondato. In generale, l’omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un errore in procedendo tale da comportare l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a ., ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa, dal momento che l’omessa e o comunque l’incompleta pronuncia da parte del giudice di primo grado su un motivo del ricorso, non rientra nelle ipotesi tassative di annullamento con rinvio ex art. 105 c.p.a . e, pertanto, in forza del principio devolutivo sancito dall’ art. 101, comma 2, c.p.a ., in tali evenienze il Consiglio di Stato decide, nei limiti della domanda riproposta, anche sui motivi di ricorso non affrontati dal giudice di prime cure; fa eccezione a questa ipotesi il caso in cui manchi del tutto la pronuncia sulla domanda o il giudice decida su diversa domanda, ovvero sulla domanda fatta valere in giudizio il giudice di primo grado abbia pronunciato con motivazione inesistente o apparente; in questi casi la rimessione al primo giudice si riscontra in ragione del ricorrere della fattispecie della nullità della sentenza, perché priva degli elementi minimi idonei a qualificare la pronuncia come tale; pertanto, solo il difetto assoluto di motivazione (che ricorre quando manca del tutto la motivazione o in caso di motivazione meramente apparente) integra un caso di nullità della sentenza, per il combinato disposto degli artt. 88, comma 2, lett. d), e 105, comma 1, c.p.a., in quanto la motivazione rappresenta un requisito formale (oltre che sostanziale) indispensabile affinché la sentenza raggiunga il suo scopo; la motivazione è apparente quando a sostegno dell’accoglimento o non accoglimento del ricorso non individua neppure una ragione ulteriore rispetto alla generica affermazione della sua fondatezza o infondatezza, di cui, però, non viene dato conto e spiegazione, se non attraverso l’utilizzo di astratte formule di stile (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. III , 18/05/2023 , n. 4970).
6.2 Nel caso in esame la sentenza impugnata non integra un caso di sentenza con motivazione inesistente o apparente, in quanto la ritenuta e dichiarata fondatezza dei profili accolti non è meramente affermata dai Giudici di prime cure, risultando accompagnata dall’indicazione delle ragioni sottese all’accertato profilo di difetto di istruttoria; infatti, secondo il Tar non risultava adeguatamente valutato “il dato quantitativo del numero dei capi bufalini disponibili per il programma genetico soprattutto in relazione al rapporto tra la popolazione bufalina femminile e quella maschile, come del pari il profilo della sufficienza della dotazione di personale”.
7. Parimenti infondato è il secondo motivo di appello, in quanto il Tar, lungi dal sostituire la propria valutazione a quella di merito e tecnica incombente sull’amministrazione, si è limitato ad evidenziarne la carenza, sotto il profilo sintomatico di eccesso di potere tipico, enucleato nel difetto di istruttoria, indicando altresì gli elementi che la stessa amministrazione (proprio nell’esercizio della propria discrezionalità ed opportunità) è chiamata ad approfondire in sede di riesercizio del potere (eventualmente chiarendo perché in difetto delle iscrizioni della popolazione bufalina maschile posseduta – pur ampia – sia stato comunque ritenuto integrato il requisito avendo riguardo all’identificazione necessaria di “riproduttori di razza pura” non risultando decisive in senso contrario le circostanze addotte nell’atto di appello secondo le quali nessun capo maschile era iscritto in quanto si sta completando la verifica dei previsti requisiti di ammissione e l’accertamento delle ascendenze.).
8. Le stesse considerazioni vanno estese al terzo motivo di appello.
8.1 Come noto, l’eccesso di potere giurisdizionale è configurabile soltanto quando l’indagine svolta dal giudice abbia ecceduto i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, rivelandosi strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, attraverso un sindacato di merito che si estrinsechi in una pronunzia avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.
8.2 Orbene, nulla di ciò è verificabile nel caso di specie, in cui il Giudice di prime cure si è limitato ad evidenziare il difetto di istruttoria nel procedimento prodromico e nella valutazione posta a base del provvedimento impugnato, specificando altresì i profili in cui l’esame valutativo è stato carente ed agevolando così anche il riesercizio del medesimo potere, coerentemente riservato quindi all’amministrazione.
8.3 Nel merito, il D.M. 26 luglio 1994 all’art. 1 stabilisce che le associazioni di allevatori e gli enti che intendono tenere un libro genealogico devono essere in possesso dei requisiti tecnico-organizzativi previsti dal decreto stesso. 8.3.1 Tra i predetti requisiti, specificati all’art. 2 del medesimo D.M., vi era (lettera a) la “disponibilità di un patrimonio zootecnico quantitativamente sufficiente a realizzare un programma di miglioramento genetico o ad assicurare la conservazione di razze, popolazioni, gruppi etnici a limitata diffusione”. Tale disponibilità va peraltro valutata in termini concreti e non solo meramente potenziali, come condivisibilmente dedotto da parte originaria ricorrente, nel motivo condiviso ed accolto dal Tar.
8.3.2 Per quanto riguarda la dotazione di personale, se per un verso i requisiti tecnico organizzativi di un’associazione non possono che fare riferimento all’esigenza di una struttura organizzativa, che logicamente è formata in primo luogo di personale, nel caso di specie la carenza sanzionata dal Tar emerge anche dall’integrazione richiesta dalla commissione valutatrice, che ha sollecitato l’associazione controinteressata RIS all’invio dell’organigramma con indicazione di ruolo e funzioni. A conferma di ciò, va condivisa la ulteriore deduzione di parte appellata, nel senso che lo stesso Regolamento UE 2016/1012 richiede che le associazioni nazionali di allevatori, per essere riconosciute come enti selezionatori, debbano Copyright © – www.osservatorioagromafie.it disporre di un personale qualificato e di strutture e attrezzature adeguate .
9. Infine, parimenti infondato è il quarto ed ultimo motivo di appello, inerente l’interesse al ricorso in capo all’originaria ricorrente.
9.1 Già in termini procedimentali, l’associazione ha partecipato al relativo iter procedimentale; inoltre, negli stessi atti impugnati emergono elementi tali da evidenziare come l’autorizzazione di un altro libro genealogico possa impattare anche su quello già esistente, in quanto si dà atto che “le attività di miglioramento genetico del nuovo libro genealogico non devono risultare in contrasto con quelle di altri libri genealogici già autorizzati ed operanti per la medesima razza”. Nello stesso atti si fa presente “che sarà cura di questa Amministrazione, con il coinvolgimento di codeste Associazioni, verificare che non ci siano attività di Libro Genealogico che possano compromettere un programma genetico già in fase di attuazione per la medesima razza”.
9.2 Quindi, se per un verso il coinvolgimento dell’associazione ricorrente era evidenziato dalla medesima amministrazione, per un altro verso la stessa associazione risulta soggetto portatore di un interesse differenziato e qualificato, come emerge dal conflitto che ha opposto (anche in sede giurisdizionale) le due associazioni odierne parti processuali nelle procedure selettive per l’assegnazione dei finanziamenti europei destinati al comparto.
10. Le considerazioni appena svolte vanno estese anche al motivo di appello incidentale, proposto dalla associazione Ris in adesione e sviluppo della censura dedotta dalla difesa erariale, in ordine alla sopravvenuta cessazione dell’interesse al ricorso in corso di causa. 10.1 Invero, in relazione alle evocate sopravvenienze, va escluso che le stesse possano integrare una soddisfazione dell’interesse azionato con l’originario ricorso. 10.2 Nella prospettazione appellante, il fatto che a partire dal 2020 e per tutti gli anni successivi, l’associazione appellata abbia sottoscritto con la Ris un’ATS (Associazione Tecnica di Scopo) volta all’ottenimento dei finanziamenti di natura pubblicistica in relazione ai Programmi di attività di tenuta dei Libri Genealogici e di miglioramento genetico finanziati in ambito nazionale, comporterebbe l’accettazione del contestato riconoscimento. 10.3 Peraltro, il comportamento evocato, se nel merito appare necessitato al fine di ottenere l’obiettivo auspicato, in termini processuali esclude la sussistenza dei presupposti dell’acquiescenza. 10.4 In materia, va ribadito che, per potersi ritenere che sia intervenuta un’acquiescenza rispetto ad un provvedimento sfavorevole si deve essere in presenza di un comportamento chiaro ed assolutamente inequivoco che sia espressione di volontà certa e definitiva incompatibile con il volere di contestare il provvedimento stesso e non già in presenza di comportamenti legati solo ad una logica soggettiva di difesa volta alla riduzione del pregiudizio, che non escludono l’eventuale coesistente intenzione di reagire in via diretta avverso il provvedimento futuro eventualmente sopravvenuto (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. IV , 21/11/2022 , n. 10254). 10.5 Nel caso di specie la sopravvenienza evocata non contiene alcun elemento tale per cui si possa anche solo ipotizzare la concreta ed effettiva volontà, da parte dell’associazione originaria ricorrente, di accettare il provvedimento impugnato; atto che, fra l’altro, all’epoca della stipula era efficace ed esecutivo, non risultando ancora concluso il giudizio dinanzi al Tar. 11. Alla luce delle considerazioni che precedono gli appelli vanno pertanto respinti. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
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