11 febbraio 2018: quel pomeriggio di un giorno da Lasagna…

Pubblicato in: I miei prodotti preferiti

di Gino Oliviero

Erano esattamente tre anni che viveva nella casa color carta di zucchero. Il suo cinquantasettesimo compleanno, anni che sembravano tanti e forse, in effetti, un po’ lo erano. Il canterino superbo dell’aurora che s’era impegnato in uno dei suoi pezzi migliori, l’acqua gelida di primo mattino a rinfrescare le idee ed un fantastico yogurt che aveva imparato a fare davvero bene fecero il loro meglio per rimetterlo in piedi ben sveglio. Inforcò le brache grigie un po’ vintage e la maglietta lisa della sua prima e per allora ultima  maratona, corsa a cinquantaquattro anni con un centosessantaduesimo posto di tutto rispetto – poi le disse: “Tesoro, scendo in paese a fare la spesa, ho da cucinare…”.

Quel verso solito, un timido accenno di fusa e mentre, bastarda felina irriconoscente, gli mostrava la coda sprezzante, lui, già cuffie in testa, saliva lungo il viale costeggiato dagli olmi.

Sei chilometri lo separavano dal piccolo paese arroccato sulla collina, e complice il vento gelido tentava di aggiornare nella sua testa il file della ricetta della Lasagna Carnascialesca Nobile che gli aveva consegnato chef Nunzio. Nunzio, che lui chiamava simpaticamente Ben Hur, perché gli ricordava Charlton Heston, era un bravissimo cuoco nato all’ombra del Vesuvio, un frullato naturale di simpatica pazzia e straordinaria bravura. Tra “fucilate”, frizzi, lazzi e qualche sporadica litigata lo aveva avuto per circa tre anni come Chef del ristorante che dirigeva a Portici, il suo paesello natale di appena 80.000 anime alle falde del Vesuvio, prima che decidesse di ritirarsi definitivamente a scrivere li su in collina nella piccola casa color carta di zucchero. Di tanto in tanto, comunque, lo sentiva ancora e ne aveva conservato un ottimo ricordo oltre ad un quadernuncolo a quadretti con un bel po’ di gustose ricette che, improvvidamente, vista la sua proverbiale sbadataggine, Chef Nunzio gli aveva dato in prestito. Ma quei giorni erano un po’  convulsi e gli era riuscito difficile di ritrovare il quadernuncolo dove l’aveva perfettamente nascosto e quindi si stava sforzando di ricordare a mente gli ingredienti ed i passaggi.  Le convulsioni erano dovute all’annunciato arrivo della sua amatissima fidanzata che dopo tre anni di fidanzamento a lunga distanza, tra la strada, il mare e il cielo del Regno delle due Sicilie, si era finalmente decisa ad accettare il suo invito a condividere con lui un poco di più che un solo fine settimana al mese. Ha scelto il martedì di Carnevale – pensò – ma forse solo perché per caso è anche il mio compleanno, ma si è certamente così, non può essere uno scherzo…

Intanto pensando e correndo era arrivato in paese: “Giovanni! – la carne innanzitutto – per un buon ragù, dammi mezzo chilo di tracchie paesane, mezzo chilo di muscolo e un altro mezzo di girello, e tre o quattro delle tue fantastiche cervellatine, il chilo e mezzo di San Marzano ce l’ho in dispensa e così sedano e cipolle per il trito che mentre prepari vado da Ninetta a prendere le uova e la farina per la lasagna. Ah dimenticavo, preparami anche un mezzo chilo di buon macinato di manzo per le polpette”. Pochi passi sui ciottoli della piccola stradina che portava alla piazza e intravide già Ninetta che era sull’uscio della sua minuscola bottega a specchiarsi nella vetrina di fronte e a “spicchiarsi” un profumatissimo mandarino. Non appena la donna lo ebbe visto gli sorrise apostrofandolo sorniona “Dottò, devi da cucinà per la signora eh, oggi è il grande giorno!” Ninè non sfottere” le rispose tra il serio e il faceto “E dammi un chilo di farina bianca e dieci uova della tua amata Lina (la gallina) per la lasagna, poi parleremo domani di come è andata stasera e le uova sistemale bene che sono di corsa con lo zaino”. Raccolse con insolita attenzione e delicatezza la spesa, dopo aver preso al volo una  palatella di quel delizioso pane di “Cico Fornaio Amico” e riprese, di buona lena con il suo zainetto, la strada di casa.

Il ragù vuole tempo, senza esagerare o voler a tutti costi stupire con la narrazione di tempi biblici, ma le sue quattro ore di lenta pippiata le vuole “Ti devi muovere vecchio scrittore scombinato” disse imperioso a se stesso. Preparò il trito di cipolla e sedano, lo fece soffriggere in quel fantastico olio extravergine che gli procurava il suo vicino più vicino (5 chilometri!), vi rosolò la carne tagliata a pezzetti e giù il San Marzano a cascata. Aprì una bella bottiglia di Gragnano e se ne versò un bel calice a contorno di un pezzetto di una squisitissima caciotta che gli aveva portato Pablo, il postino del paese, fatta dalla sua mamma con le sue proprie mani. Una nuvola rosa invase il suo calice facendo da spumosa cappella ad un vino di un rosso così vivace che già solo quello gli mise allegria stemperando un po’ della sua tensione per il gran momento che si stava avvicinando. “E mentre mi faccio il ragù” pensò “mi ascolto un po’ di Buena Vista Social Club e Candido Fabré, tanto per rimanere in tema di salsa, per quanto cubana…”.

E così al ritmo di Chan Chan cominciò ad arrotolare le polpettine, piccolissime, impasto di carne macinata e pane bianco ammollato nel latte Nobile dei suoi amici dell’Appennino, pinoli, sale e pepe.

Le polpette dovevano essere tutte uguali, come diceva Nunzio, piccole e perfettamente sferiche, arrotondate con un movimento sensuale e lubrico che le avrebbe rese morbide al tatto, al gusto, al cuore e a tutte le parti del corpo più sensibili. E quale migliore abbinamento al crepitìo nella padella dell’olio bollente se non un altrettanto scoppiettante bicchiere del suo buon Gragnano…

Sembrava che il Dj della radio che stava ascoltando sapesse cosa lui stesse facendo: prima Joe Cocker con la sua “You can leave your hat on” e subito dopo Francoise Hardy con “Tous les garcon et le filles” sensualità e dolcezza ben equilibrate, le polpettine sarebbero state fantastiche, ne era certo. Approfittò del tempo di cottura del ragù per mettere un po’ di ordine nella piccola casa di legno, governare la gatta famelica, sistemare i manoscritti del suo nuovo romanzo, tirar fuori la tovaglia dei giorni migliori, i calici, il servizio buono di posate e preparare la tavola. Raccolse in giardino un po’ di erbe e fiori invernali e mentre raccoglieva canticchiava apparentemente serafico il buon vecchio Fabrizio

“Ama e ridi se amor risponde piangi forte se non ti sente … dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior …

Ma si stava facendo tardi ed era venuto il tempo di preparare la pasta: un chilo di farina, 10 uova, pochissimo sale (5gr.) “E qua mi sento un po’ di Pinuccio” pensò tra se e se, tre anni che se ne era andato, troppo presto per tutti ma soprattutto per lui stesso.

Dopo aver preparato la lasagna fece la barba a “zizza di pacchiana” come gli aveva insegnato suo padre, pelo e contropelo profondo, mise un po’ delle sue cremine miracolose, su la camicia bianca stirata a dovere e il vecchio Blazer blu delle occasioni importanti, un’aggiustatina al capello anarchico-chic, uno zico di profumo e “Voilà” ecco lì il vecchio poeta vanesio tirato a lucido e pronto allo storico incontro. Fu allora che, con tutto a posto e senza più benefiche distrazioni, cominciò a sentire il cuore martellare in maniera insostenibile, tanto insostenibile da temere davvero che esplodesse e lo lasciasse lì per terra. E, diamine, non aveva assolutamente previsto di morire d’amore, d’amore e proprio lì per terra, in quel momento. Ma non fece in tempo a morire che il forno annunciò tronfio e fumante la fine del suo onesto lavoro e in contemporanea il campanello della piccola casa bussò due volte, profeta tenerissimo, lui riteneva ignaro, dell’arrivo tanto atteso. Si avvicinò alla porta, la aprii lentamente, ma quella che gli si dischiuse all’improvviso davanti fu una sorpresa ben più grande di quella che attendeva, tanto grande da lasciarlo impietrito, senza più alcun fiato per proferire parole…

 

Gino Oliviero “Volevo fare il sarto”

…continua

 

Il ristorante Cieddì è in via Pagliano 5 Portici (NA) Tel. 081. 7752502

 


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