Poteva essere l’inverno del 2005 quando partecipai, per il mio dottorato in Geografia Economica, ai lavori del simposio internazionale organizzato dall’Unesco presso l’Abazia di Fontevraud non lontano da Saumur in Francia. Associavo quel territorio solo ai magnifici Castelli, da quel momento in poi, dopo una full imersion tra i vini rimasi contagiata in maniera irrimediabile e Valle Della Loira diventò per me anche sinonimo di grandi bottiglie. Patrimonio Culturale e enogastronomico fusi insieme.
Allora come ora si poneva il problema di mettere questi due aspetti economicamente a frutto, tra esigenze di sviluppo e salvaguardia. Tema ancora più cogente era quello di capire che cosa, in pratica, fosse un patrimonio UNESCO e cosa esso significasse in termini economici legati allo sviluppo della destinazione turistica.
Era sentita allora in tutta Europa, e non solo, la necessià di comprendere come valorizzare in chiave economica l’iscrizione al Patrimonio dell’Umanità. Temi su cui chi lavora o ha lavorato, come me, nell’ambito dei progetti di sviluppo turistico di Paestum conosce bene in quanto bene Unesco (materiale) legato al Parco Nazionale del Cilento che è di tipo misto (materiale e immateriale). Se oggi qualcuno ancora non ha capito che è l’arte del pizzaiuolo ad essere patrimonio dell’Umanità si affacci nel Cilento, dove “lo siamo tutti”. A chi si indigna del fatto che oggi di tante cose belle di Napoli si valorizzi solo la pizza (non è così, ripetiamo, è l’arte del pizzaiuolo) ricordiamo che lo stesso centro storico di Napoli è Patrimonio Unesco e non da ora ma dal 1995, dimenticato?
Questa i siti Patrimonio Unesco in Campania:
Napoli – Il Centro Storico (1995)
Amalfi – La Costiera Amalfitana (1997)
Pompei, Ercolano e Torre Annunziata – Le Aree Archeologiche (1997)
Caserta – La Reggia, il Parco, San Leucio e l’acquedotto Vanvitelliano (1997)
Cilento – Il Parco Nazionale, Paestum, Velia e la Certosa di Padula
A cui si aggiungono quelli di tipo orale e immateriale
La Dieta Mediterranea (2010)
Le Macchine dei Santi – I Gigli a Nola (2013)
L’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017)
Pare chiaro che i nostri bravi artigiani dell’impasto siano veramente in buona compagnia a rappresentare Napoli e la Campania tutta, tanto da poter considerare veramente scarsi di fondamento gli sbuffi dei criticoni.
Dovremmo esultare, invece, per un lavoro che ha visto collaborare associazioni, enti, comuncatori, funzionari ministeriali e diplomatici, persone, al fine di portare a casa un grande risultato in termini sociali e storici. Si traccia oggi, di fronte al mondo intero, un percorso storico culturale preciso in cui risiedono valori identitari forti. Che poi la pizza la si faccia buona al nord come al sud d’Italia, a New York come a Tokyo, sinceramente ci fa solo piacere. Sono comunque, all’estero, realtà di nicchia in confronto a tanti orrori. Per delle buone pizze Napoli resta “capitale” così come i suoi pizzaioli nel mondo gli ambasciatori.
Ma cosa significa essere Patrimonio Unesco in termini pratici?
In realtà oggi si celebra un grande successo, una visibilità internazionale che potrà avere potenzialmente costanza nel tempo. Per metterla a frutto in termini economici e turistici serve lavorare ad un piano di gestione che ne valorizzi gli aspetti in chiave di fruibilità. Così come forte è stata la rete che ha condotto a questo risultato credo che anche il futuro sarà ricco di un fervido attivismo, sperando che l’unione che ha portato a questo risultato non solo resti tale ma che cresca includendo nuovi attori.
Domandiamoci invece degli altri siti Unesco della Regione quanto si fa per loro? Perchè essere iscritti al Patrimonio dell’Umanità, da si un momento di visibilità internazionale ma poi il Patrimonio è e resta delle comunità in cui insiste. Sono loro a doverlo sentire proprio partendo dall’appropriazione dell’immagine iconografica all’acquisizione di una sensibilità a tutti i livelli per promuoverlo e renderlo volano di sviluppo e benessere.
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