di Carmen Autuori
Il brodo è uno degli “archè” della cucina casalinga. Soprattutto nella cultura contadina: porre una pentola d’acqua sul fuoco, insieme a ciò che la mai ricca dispensa regalava, era il primo gesto mattutino delle madri di famiglia. Innanzitutto le verdure a cominciare da quelle aromatiche (carota, cipolla, patate, sedano) e poi ciò che l’orto, secondo la stagione, offriva.
Le più fortunate arricchivano il liquido corroborante con le parti di scarto degli animali da cortile, ad esempio le zampe di pollo, oppure con un osso corredato da rari pezzetti di carne. Questo rappresentava sia la base per le diverse zuppe (prima portata di ogni pasto), sia l’elemento indispensabile per cucinare i brasati, gli stracotti o il riso.
Mentre nella cultura gastronomica settentrionale il brodo ha mantenuto nel corso dei secoli la sua funzione di portata principale, soprattutto nei pranzi della festa, in quella meridionale è stato spesso considerato una sorta di cibo/medicina. In un manoscritto di autore incerto del ‘200 si legge:
“Quando le puerpere e i malati siano deboli ed abbiano disgusto dei cibi vegetali e voglia di mangiar carne, dobbiamo soddisfarli perché la natura sia confortata. Bisogna stare attenti a non dare carne grassa perché l’unto potrebbe ravvivare la febbre. Se questi non riesce a inghiottire perché ha la gola secca e chiusa, occorre dargli da bere un buon brodo di carne che sia cibo e bevanda. E gli ammollirà la gola come un unguento”.
O nel migliore dei casi era relegato, nella versione vegetale, a piatto del lunedì per depurarsi dagli eccessi del pranzo domenicale.
Discorso a parte merita la Francia. Nella Parigi del ‘700, esistevano dei locali pubblici adibiti alla degustazione del brodo e solo di quello, cioè i “bouillons”. Oltre al brodo, questi curiosi ambienti avevano la possibilità di offrire la carne che era servita per farlo. Con il tempo alcuni bouillons montarono l’insegna “restaurant”, per evidenziare lo scopo della funzione di “ristorare”. All’inizio l’offerta dei “restaurant” era limitata da leggi rigorosissime ai soli “bolliti”, successivamente con la Rivoluzione Francese venne ampliata a tutti i piatti cucinati. Insomma è anche al brodo che dobbiamo la nascita degli attuali ristoranti.
Nel XVIII secolo giunge nella rutilante Napoli borbonica un esercito di chef francesi, i monzù. Li guida un gallonato monsieur Carnette con al seguito monsieur Belleville, monsieur Serrière, monsieur Bréard: più che cuochi sembravano ufficiali di cucina.
Gran parte di questi professionisti cresciuti a pane e haute cuisine, si trovarono, esuli, nel Regno delle Due Sicilie, e iniziarono la loro signoria nelle case e nei palazzi dell’alta aristocrazia napoletana e siciliana, mentre nelle case borghesi continuavano la loro opera i “cuochi di paglietta”, considerati chef di serie B.
Con i monzù arriva a Napoli (e sulle tavole aristocratiche meridionali) la versione raffinata del brodo, il consommè, che diventa l’ouverture ufficiale di ogni banchetto che conti, servito rigorosamente nelle tazze a due manici.
Si ringrazia per la mise en place la signora Francesca D’Andrea di Lumi e Paralumi
Ingredienti per 4 persone
300 g di carne macinata
2 albumi
1 porro
1 carota
1 gambo di sedano
2,5 l di brodo di carne
Sherry secco (facoltativo)
PROCEDIMENTO
In una casseruola mettete la carne tritata, le verdure tagliate a pezzetti e gli albumi. Versate il brodo freddo e mescolate bene.
Ponete sul fuoco e sempre mescolando portate a bollore.
Abbassate la fiamma e cuocete (il liquido deve solo sobbollire) per circa un’ora.
Filtrate il brodo con un telo. Se volete profumarlo, aggiungete lo sherry calcolando un cucchiaio da minestra per ogni tazza e 4 per un litro di brodo.
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