Fino a qualche decennio fa, l’identità vinicola umbra era più facilmente associabile ai bianchi di Orvieto e i rossi di Torgiano. Con il riconoscimento della DOC (1979) e della DOCG (1992) e il conseguente investimento crescente in valorizzazione, il Sagrantino di Montefalco si fa strada con successo nonostante i numeri ridotti in termini di diffusione, rendendosi imprescindibile per appassionati e tecnici.
Visto il quadro storico relativamente limitato, è dunque facile immaginare che siano poche le aziende che possano permettersi delle verticali di una buona profondità.
E se a questo aggiungiamo un ulteriore sviluppo interno al territorio, quello che vede la riscoperta di un altro vitigno autoctono: il Trebbiano Spoletino – dalla vendemmia 2016 anche base del Montefalco Bianco (per un min del 50%) – il campo si restringe ancor più.
Antonelli – San Marco, tra le aziende storiche della denominazione, non solo può permetterselo ma si impone riferimento indiscusso di un territorio dinamico che auspicherebbe una esplorazione dei versanti e relative potenzialità stilistiche.
L’azienda è di proprietà della famiglia Antonelli dal 1881, imbottiglia dal 1979, ultimo ampliamento nel 2001 e oggi alla quarta generazione. L’attuale conduttore, Filippo Antonelli, è tra i primi a credere nel recupero del Trebbiano Spoletino, le cui radici storiche sono ben supportate dalla letteratura che lo vedevano, tradizionalmente, maritato a olmo o acero; tra i primi, inoltre, a introdurre il legno grande per la maturazione del Sagrantino ma soprattutto capace di calare la giusta tecnica nel tanto agognato approccio artigianale e territoriale alla ricerca di quello che, banalmente ma esaustivamente, si definisce equilibrio, senza scadere in eccessi che rischierebbero l’illeggibilità.
Ed è così, con due verticali parallele: di Trebbiano Spoletino, linea “Trebium” Spoleto DOC, e di Montefalco Sagrantino DOCG linea base, quindi tralasciando i più recenti cru aziendali, che Filippo ha inaugurato l’ampliamento della cantina venerdì 15 settembre prima di procedere, appunto, con il taglio del nastro in presenza di giornalisti, produttori e amici nonché degli architetti con tanto di aperitivo e cena curati da due nomi di evidente richiamo su tutto il territorio come Marchi di Meunier Pizza e Champagne e Gigli del ristorante Une. Occasione perfetta per presentare anche il nuovo Metodo Classico da Trebbiano Spoletino (solo 1000 bottiglie, 2019, 2 anni sui lieviti e senza ancora la denominazione Spoleto trattandosi di una sperimentazione).
Il nuovo corpo, che si collega alla cantina storica, presenta due livelli: quello superiore per i legni più piccoli, quello inferiore per le botti grandi e poi una bellissima sala a vetri in continuità esterno-interno, per due mesi impegnata per l’appassimento e poi destinata all’enoturismo.
Con il Trebium si è proceduto a ritroso con le seguenti annate: 2021, 2019, 2016, 2013, 2010, 2007. È sottoposto parzialmente a breve macerazione, parziale fermentazione in botti grandi di rovere con sosta sui lieviti per circa 6 mesi.
Un vitigno che si dimostra, ancora e ancora, malleabile, anche e soprattutto rispetto alle pratiche in cantina senza snaturarsi. Un vitigno che, anche grazie all’essere tardivo, garantisce complessità e quella ricchezza gustativa che si pone centrale in un profilo ben definito da acidità decisa e scia salina rendendo il sorso sempre più appagante col trascorrere del tempo. Evidenti il potenziale e la finezza dell’annata corrente (2021) che prova la maturità raggiunta in cantina; notevoli la 2010 e la 2016 che si stagliano per stratificazione e dinamismo in degustazione. Un vino che non smette di evolvere nel calice e che regala ottime soddisfazioni negli anni.
Con il Sagrantino meglio procedere al contrario: 1988, 1996, 1999, 2001, 2008, 2016. La macerazione va dai 25 ai 40 giorni, la maturazione prevalentemente in botti grandi per almeno 18 mesi e poi bottiglia dopo una sosta in cemento.
Bella la tenuta del 1988; super la 2001: probabilmente la più completa nonostante il potenziale indiscusso come quello della 2016; insieme alla 1996 che fa della piovosità una chiave per bevibilità e tensione ancora vivacizzante.
Sono appuntamenti, scambi e investimenti che fanno bene a tutto il territorio come ha dimostrato la presenza dei maggiori attori regionali e non. Ad maiora.
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