di Raffaele Mosca
La creme de la creme dell’imprenditoria del vino italiano: tredici famiglie ambasciatrici di un grande territorio che hanno messo da parte battibecchi e rivalità per fare quadrato attorno al loro vino più importante. Un espediente unico in Italia e nel mondo che adesso è raccontato anche nel docufilm “Le Famiglie Storiche – Un racconto sull’Amarone”, presentato a stampa ed operatori nel corso dell’evento delle famiglie storiche in quel di Villa Laetitia, stella Michelin sulle sponde del biondo Tevere. La kermesse è partita con un walk around tasting per operatori del settore ed è proseguita con la cena preparata dalla chef Domenico Stile, classe 1989, astro nascente del fine dining romano. Con l’occasione si è fatto anche il punto sulla situazione delle tredici aziende, che non hanno perso un centimetro di terreno in questo biennio tumultuoso, anzi sono riuscite a crescere sia nel mercato domestico che a livello internazionale. Nel 2020 sono state vendute 2.300.000 bottiglie di Amarone de Le Famiglie Storiche ad un prezzo medio di 35,20 euro. Il 36 % di questo ammontare è rimasto in Italia, mentre il resto ha preso la via dell’export. In questi primi 10 mesi del 2021 le vendite di Amarone hanno dato un forte segnale di ripresa: in Italia si parla del + 56% sul 2020, e del +17% sul 2019 (in pre-pandemia). Anche sull’export i valori sono positivi: + 48% sul 2020 e + 31% sul 2019. I primi mercati per volume e fatturato sono Canada, Stati Uniti, Scandinavia e Svizzera. Ma, negli ultimi anni, l’Amarone ha fatto breccia anche nel difficile mercato cinese: “ siamo contenti di riuscire a vendere una quota consistente della nostra produzione in Cina – spiega Giuseppe Rizzardi dell’azienda Guerrieri Rizzardi – è un mercato molto complesso, anche per via delle limitazioni imposte alla circolazione delle merci europee, ma ci stiamo muovendo bene”.
Ovviamente, nel corso della cena, abbiamo avuto modo di assaggiare anche i vini di punta delle tredici aziende. E, dopo un’apertura con Soave, Lugana e Chiaretto in abbinamento agli sfizi d’entrata e all’uovo, taleggio di bufala e tartufo ai sentori di sottobosco, e i Valpolicella Superiore con uno strepitoso risotto alla rapa rossa, blu di Bufala, mela verde e arachidi tostate, ci siamo cimentati nell’assaggio di tutti e tredici gli Amarone, accompagnati dal manzo fondente, soffice di patate al macis, riduzione all’Amarone e cavolo viola all’aceto di lamponi.
Dalla degustazione emerge che l’Amarone, per sua natura, è un vino eclettico, cangiante, alle volte sorprendente. L’appassimento potrebbe sembrare fonte di omologazione, e, invece, a seconda di come viene gestito, dà risultati diametralmente differenti. In effetti, questi tredici vini hanno come fil rouge la precisione, l’equilibrio e la ricchezza aromatica, ma sono completamente diversi l’uno dall’altro. Alcuni sono ricchi, densi, avvolgenti, confortanti e rassicuranti; altri, invece, giocano sul bilanciamento quasi funambolico tra struttura, calore e acidità incalzanti che li rendono molto più snelli e scorrevoli di quanto si potrebbe immaginare.
Eccoli qui racconti uno ad uno:
Allegrini – 2017
Un benchmark per l’Amarone d’alta fascia: assolutamente classico, giocato su note di prugne e ciliegie sciroppate, seguite da accenti di chiodo di garofano ed erbe aromatiche, tabacco da pipa e crema di caffè. E’ ampio, confortante, avvolgente, ma bilanciato dal tannino ben in lizza e dal giusto apporto sapido. Non nasconde i 16 gradi alcolici, ma non eccede nemmeno in calore, anzi chiude garbato, con ritorni mentolati e floreali che lo rendono lungo e aggraziato.
Begali – 2016
Appena più fresco e speziato del precedente: la parte fruttata è meno ricca e lascia spazio a cardamomo e sandalo, spezie natalizie, cioccolato fondente. E’ sempre ricco, avvolgente, ma l’annata fresca esce fuori con guizzo acido nitido e infiltrante che bilancia la massa e conduce l’ allungo. Un po’ più semplice rispetto ad Allegrini, ma convince per equilibrio e scorrevolezza.
Brigaldara – Case Vecie 2015
Esordio inchiostrato, chinato; poi sandalo e cannella, rosa rossa, cipria e spezie orientali a profilare un naso veramente intrigante. Entra morbido, denso di visciola sciroppata e di prugna, ma poi tira fuori la giusta dose di acidità e un tannino abbastanza fitto, con cenno ammandorlato che non guasta, anzi ravviva il finale in cui tornano le note fruttate a dominare la scena.
Guerrieri Rizzardi Calcarone – 2013
E’ il secondo più “anziano” del gruppo ed esprime aromi più evoluti – ma non stanchi – di fiori appassiti e crema di nocciole, incenso, sigaro cubano, tappezzeria antica, cipria e acquavite di mirtilli. Il residuo zuccherino contribuisce a rendere un senso di ampiezza e rotondità, ma c’è anche giusta freschezza, tannino ben dosato sul fondo, qualche idea mentolata che echeggia insieme al frutto nel finale vellutato, rassicurante, di ottima lunghezza.
Masi – Costasera Riserva 2016
Il più fedele ai canoni classici del vino da uve appassite: apre dolcissimo su note di frutta stra-matura – quasi da Porto – che evolvono su menta e cioccolato al latte, rabarbaro e china. Gioca sull’opulenza, sulla rotondità, con un residuo zuccherino abbastanza evidente, acidità di fondo appena palpabile, tannini compassati e cenni fumè che siglano la chiosa ampia, abbondante, calorosa, senza compromessi al ribasso.
Musella – 2015
Una voce fuori dal coro: sicuramente il più scapigliato di tutti, appena impreciso se vogliamo, ma fascinoso, con rimandi al tabacco e al sottobosco, folate di liquirizia e anisetta, qualche idea di pellame e di spezie dolci. Ha una dinamica veramente accattivante, incentrata sull’acidità vitale e su di una parte fruttata sorprendentemente sobria e fragrante. Il tannino fitto rafforza il senso di dinamismo, cenni ossidativi mai sopra le righe danno ampiezza al finale fluido e accattivante.
Speri – Vigneto Sant’ Urbano 2016
Simile al precedente in termini di gestione della parte fruttata, che è più fresca e croccante della media. Ma questo è più preciso e lineare, profumato di cacao in polvere, fiori rossi ed ebanisteria, agile e spigliato nel sorso longilineo e suadente, incentrato su di un frutto puro– mirtillo selvatico, gelso – che fa un po’ Bordeaux vecchia scuola. Egregiamente gestito l’alcol, bellissimo il finale messo in moto da uno sprint acido non da poco.
Tedeschi – Maternigo 2016
Goloso, rassicurante: sa di nocciole tostate e biscotti al cioccolato, liquore ai mirtilli e crema di moca. Conferma il senso di ricchezza in bocca, dove frutto e rimandi tostati occupano la scena, i tannini danno sostegno e un ritorno di erbe officinali stempera l’insieme. Sul finale emerge una nota inchiostrata e di erbe officinali che dà profondità.
Tenuta Sant’Antonio – Antonio Castagnedi 2017
Tra i pochi che fanno anche una parte di legno piccolo: ha un naso speziato e mentolato, con tracce di cacao in polvere e grafite, melograno e fiori in appassimento. Tira fuori un tannino piuttosto energico che smorza il frutto abbondante, ma non troppo carico, una discreta vena floreale di fondo e una spinta acida ben calibrata che lo rende abbastanza scorrevole.
Terre d’Orti – 2018
Spezie dolci e marmellata di more, rosa rossa e cacao in polvere, tratti speziati che lo rendono piuttosto intrigante. E’ ricco, avvolgente, ma non troppo zuccherino e ben calibrato dalla giusta tensione di fondo. Il tannino fa la sua parte nel dinamizzare la massa e rendere scorrevole la progressione che termina con toni di eucalipto e nocciola di notevole lunghezza.
Tommasi – De Buris 2010
Già assaggiato in visita da Tommasi qualche mese fa, anche in questo frangente svela un profilo da fuoriclasse, dotato di grande souplesse. I profumi sono di susina nere e mirtilli selvatici, chiodo di garofano, nocciole tostate e legni balsamici. Il sorso sembra quasi affilato: l’acidità primeggia sul frutto mai troppo maturo, il tannino spinge e la parte mentolata rende molto soave la chiusura di estrema finezza.
Venturini – 2016
Bella verve speziata che vivacizza il naso: noce moscata, chiodo di garofano, pepe rosa e poi il solito fondo di prugna e amarena. Il residuo zucchero è abbastanza evidente, ma viene smorzato da adeguata freschezza. Il finale insiste su rimandi fumè e di frutta in composta.
Zenato – Sergio Zenato Riserva 2015
Simile al Costasera nel profilo chiaramente marcato dall’appassimento: prugna sciroppata e visciola vanno a braccetto con toni più evoluti di terra bagnata e tabacco mentolato, kirsch, china e boiserie. E’ molto denso e caloroso, ma bilanciato da un ritorno ammandorlato di fondo e dal tannino reattivo che segna uno sviluppo appena rinfrescato dall’acidità e da qualche ritorno balsamico.
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