L’Albicocca del Vesuvio

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Albicocca del Vesuvio

Albicocca del Vesuvio

Albicocca del Vesuvio
Ne ha fatto di cammino l’albicocco prima di trovare la sua massima espressione sul Vesuvio. La pianta è originaria del Nord della Cina per poi estendersi in Asia Centrale dove fu conosciuta da Alessandro Magno. I Romani la portarono in Italia intorno al 70 A.C. ma furono gli arabi a diffonderla nel Mediterraneo. Nella sua opera Suae Villae Pomarium lo scienziato napoletano Giovan Battista della Porta sostiene l’esistenza di due tipi di albicocche, bericocche e crisomele mentre il “Breve ragguaglio dell’Agricoltura e Pastorizia del regno di Napoli” testimonia che l’albicocca è il frutto più diffuso dopo il fico nell’area napoletana.

Come tutta la frutta coltivata su suolo vulcanico, l’albicocca si esprime al meglio grazie ad una fresca dolcezza e ad una grande intensità di sapore che la rendono unica anche per l’incredibile biodiversità: tra boccuccia, fracasso, pellecchiella, vitillo, cafona, boccuccia, liscia, ceccona, portici, le crisommole (il napoletano moderno ha raddoppiato la m) contate in letteratura sono almeno cento, di cui 70 elencate scientificamente anche se solo una quindicina sono realmente coltivate dai contadini. Il motivo di questo impoverimento è il progressivo abbandono della coltura perché non è competitiva sui costi con produzioni provenienti da altri paesi. Ma le caratteristiche organolettiche dei diversi biotipi hanno acceso l’attenzione su questo frutto, adottato negli ultimi anni dai migliori pasticcieri e ristoratori. Sicuramente mangiare una albicocca prodotta sul terreno sabbioso vulcanico, ricco di potassio, del Vesuvio è una esperienza indimenticabile. Si trovano fresche durante il periodo della raccolta, giugno e luglio, oppure in conserva dove mantengono il loro inconfondibile sapore. La Campania, con i circa 2000 ettari, resta la regione più importante per la coltivazione di questo frutto che racconta il sole dell’estate.

 

I luoghi dell’Albicocca del Vesuvio

Non è difficile immaginare l’esistenza di piante di albicocche negli orti di Pompei ed Ercolano o nelle opulente masserie costruite attorno al Vulcano. Ecco perché questo frutto è il simbolo di una delle agricolture più antiche e ricche che avevano in Pompei ed Ercolano, distrutte dalla terribile eruzione del 79 dC, il principale riferimento urbano nel cuore della Campania Felix. La visita agli Scavi di Pompei ed Ercolano è dunque quello che consigliamo con questo frutto.

 

La ricetta di Pietro Parisi

La ricetta di marmellata che vi proponiamo è quella del cuoco contadino Pietro Parisi che punta soprattutto sull’acidità riducendo la cottura a soli 20 minuti, aggiungendo un po’ di mela verde e il succo di un limone. Il risultato è una marmellata meno densa, strepitosa, che ci riconcilia con la vita ogni mattina. Da usare per le crostate, sui gelati, con lo yogurt o con quello che vi pare.

Confettura di albicocche del Vesuvio

 

Quanto è buono pane e marmellata! La merenda degli anni ’60 dimenticata. Riprovatela in modo genuino usando questa semplice preparazione-

Preparazione

Snocciolare le albicocche e tagliare le mele a pezzettini. Aggiungere il succo di limone e lasciar macerare per 24 ore in frigo. Dopo una giornata, infatti, la frutta sarà diventata bella morbida. Mettere le albicocche sul fuoco e far cuocere a fuoco moderato per 20 minuti da quando incomincia a bollire.

Spegnere e passare tutto al passaverdura per far rimanere la grana della confettura molto grossolana. Riempire i vasetti, tapparli e capovolgerli.
Per pastorizzarli potete lasciarli in forno a 90 gradi per 45 minuti o farli bollire a testa in giù in una pentola piena di acqua per 45 minuti.

Conservare la confettura in dispensa lontano da fonti di calore e luce.

La ricetta della crostata di albicocche

Albicocca del Vesuvio


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