Repetita iuvant: l’Aglianico ha un po’ di febbre

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

Repetita iuvant, soprattutto nel mondo del 2.0 dove l’ultimo che dice una cosa l’ha scritta per primo (cit.). Lo ripropongo anche in vista dell’analisi del Poliphemo 2009 in arrivo e perché mi colpisce  l’attualità dei suoi contenuti.

Post del 27 giugno 2010. In questo periodo l’Aglianico è un po’ come la ragazza più bella del paese, tutti i basilischi si vantano di essere stati con lei, ma senza alcun fondamento di realtà.
Così la critica straparla ed elogia l’ Aglianico, ma chi lo sta bevendo?
In giro le notizie non sono confortanti anche se dobbiamo dire subito che l’Aglianico sta meglio di altri vitigni italiani, come prova la sua espansione verso Molise, Puglia e persino Calabria oltre che nelle due regioni storicamente vocate, Basilicata e Campania.

Alcune grandi aziende hanno ideato e presentato a Vitigno Italia una manifestazione per promuovere la sua conoscenza in Italia e possibilmente nel mondo, e anche questo è un segnale di qualcosa che non gira come dovrebbe, lamentele dei piccoli produttori irpini, del Taburno e vulturini a parte.
Molti hanno per esempio preferito declassare il 2002 e il 2006 da Taurasi docg a Campi Taurasini o Irpinia doc pur di smaltire un po’ lo stoccaggio.

Vorrei provare a sistematizzare i punti di debolezza
1-Anzitutto, hanno ragione le grandi aziende, il vitigno è poco conosciuto anche perché le quantità sono abbastanza basse. Complessivamente la produzione oscilla dai sette agli otto milioni di bottiglie tutto compreso secondo i miei calcoli, ma di Taurasi, Aglianico del Taburno e Aglianico del Vulture, ossia le tre denominazioni più importanti e radicate nel tempo, non si superano i tre milioni.
Questo significa che non è facile da trovare e infatti nelle carte dei ristoranti italiani è quasi totalmente assente, fatta eccezione ovviamente per quelli campani e lucani.

2-Si tratta di un vitigno di non facile interpretazione e che abbisogna, per essere credibile, della merce più difficile da trovare in questo mondo omologato: il tempo. Ancora oggi la stragrande maggioranza dei produttori lo ammorbisce con il piedirosso quando rispetta la tradizione, ma soprattutto con montepulciano, primitivo e, peggio ancora, con il merlot.
L’obiettivo è di ottenere un risultato che nega la ragion d’essere dell’Aglianico perché difficilmente può essere bevuto con soddisfazione prima di tre, quattro anni. Si può far guidare un’auto da corsa a un bimbo di cinque anni?
La prova è che quando abbiamo vini di solo aglianico di uno o due anni non sono mai memorabili mentre quelli corretti, la maggioranza, sono magari buoni, potabili, ma privi di carattere proprio.

4-L’Aglianico può avere un naso austero ma difficilmente piacione e suadente, in bocca richiede preparazione ed è soprattutto vocato all’abbinamento. E’ un vino non per tutti, ma per chi ha fatto almeno le Superiori. Sarebbe sbagliato pensare dunque che queste bottiglie possano essere dirette ad un pubblico generico e non preparato perché richiedono palati colti e allenati.
Dobbiamo riabituarci all’idea che non tutto è per tutti.
Quanto all’abbinamento, notiamo per l’ennesima volta che ormai il 99,9 per cento dei piatti dell’alta ristorazione non è adatto ai rossi strutturati, dunque tanto meno all’Aglianico, e che solo un cliente russo può bere un rosso invecchiato su una spigola al sale in un ristorante della Costiera.
Al tempo stesso le trattorie, gli agriturismi e le osterie dove si conservano i piatti di tradizioni per tenere i prezzi accessibili, offrono spesso Aglianico di seconda o terza fascia, dunque spesso corretti ma dunque incapaci di entrare nella memoria palatale.

4-Taburno, ma soprattutto Taurasi e Vulture non hanno adeguato la filiera alle ambizioni dei prezzi in etichetta. Oggi per chiedere più di dieci euro franco cantina bisogna avere alle spalle un marchio aziendale o di territorio: non a caso si muovono solo i prodotti delle aziende già in qualche modo consolidate da qualche anno. Obnubilati dalla scempiaggine individualista, molti piccoli produttori che si sono affacciati negli ultimi dieci anni hanno pensato che fosse sufficiente mettere gli stessi prezzi dell’azienda di riferimento per stare sul mercato senza problemi. Hanno pensato a produrre senza analisi di mercato e solo orecchiando quel che faceva il vicino che a sua volta si muoveva nello stesso modo.

Il ripiegamento di questi territori sul piano promozionale (sparita Anteprima Taurasi, mai creata un’analoga manifestazione nel Vulture, Gigione a Torrecuso nel Sannio) li ha comodamente relegati nel dimenticatoio.

5-La schizzofrenia comunicativa. Ancora oggi la maggioranza delle aziende non risponde alle mail, non ha siti consultabili e aggiornati, ignora facebook e twitter, pratica una politica differenziata dei prezzi da ristoratore a ristoratore, tiene lo stesso vino nel ristorante stellato e nella salumeria accanto (fate un giro ad Amalfi), è preoccupata di smaltire lo stoccaggio piuttosto che di creare un desiderio nel consumatore, come i buattari di pummarole. Le stesse aziende sperano che un brindisi di Madonna con l’Aglianico possa cambiare le sorti di questo vino, ovviamente del loro che è veroaglianicomentrequellodeglialtrino, ma naturalmente aspettano l’ente pubblico per catturare il personaggio famoso e spesso questi brindisi sono invece fatti con starlette televisive, a volte decadute e dunque dal tariffario più abbordabile, relegando così il territorio ad habitat naturale dei camionisti. Due facce della stessa medaglia, la subcultura televisiva. Per questo il Sud è diventato una sorta di Eden dei marchettari appena appena conosciuti.

Cosa poter fare per uscire da questo impasse che tiene piene tante cantine?

Io credo sia necessario anzitutto fare un prodotto in cui credere, unico, irripetibile. Ci vorrebbero produttori pignoli in bottiglia come Nino Di Costanzo lo è nella composizione visiva dei suoi fantastici piatti. Esseri maniacali, capaci di ascoltare la natura e al tempo stesso tirare dritti per la propria strada: non cercare inutili scorciatoie annacquando i top wine con merlot, sangiovese, montepulciano e primitivo, non seppellirli in bare di legno, rispettare la sapidità e l’amaro cercando possibilmente la finezza e l’eleganza.
Il vino rosso importante non è una zoccola che deve andare con tutti, ma qualcosa che si deve conquistare.
Giocare sul tempo: iniziare a cacciare vini dopo dieci anni, quando davvero l’aglianico è maturo per essere bevuto e diventare così unici al mondo.
Si dirà, e nel frattempo?
A parte che i bianchi fanno cassa magnificamente, direi che è inutile dare aspirina a chi ha un male grave, serve la chemio se si vuole uscirne.
Servono decisioni drastiche e sorprendenti.

Una parabola
Quindici anni fa dissi alla Cantina Valcalore nel Cilento che era opportuno lasciar perder con il (qui è maschile) Barbera e pensare a vitigni del territorio campano. La risposta fu: non possiamo espiantare e chiedere ai contadini di rinunciare al reddito per due o tre anni
Dieci anni fa feci la stessa domanda ed ebbi la stessa risposta
Cinque anni fa idem
Un paio di anni fa ebbi una addirittura smentita scritta da un presidente secondo il quale non avevo capito che il loro vino era più buono di quello dei piemontesi
Poi la cantina è stata commissariata perché in costante difficoltà economica
Dieci giorni fa ho rifatto l’osservazione di quindici anni fa nella rinata struttura. Mi è stato risposto che non si può chiedere ai contadini (che tra l’altro non vengono più pagati per il conferimento delle uve) di aspettare uno o de anni.
Questo è il Sud dell’Appennino. Attenzione per i dettagli e assenza di una visione strategica. Che dite, un Falanghina di Paestum avrebbe avuto più appeal del trebbiano? O un Aglianicone del Barbera?
Nello stesso periodo di tempo il Cile è diventato una superpotenza enologica e in molto meno tempo la Provenza famosa per i rosati.

Ora noi diciamo ai piccoli produttori: tenete il vostro vino a lungo, fate cru e potrete venderlo al prezzo che vorrete. Soprattutto specializzatevi in una sola tipologia di uva, non pensate di fare tutto come le grandi aziende solo perché stupidi e ignoranti ristoratori ve lo chiedono. Sono gli stessi che non vi compreranno più perché avranno avuto una offerta più bassa e non li aiutate a capire il vostro valore.

Usate la testa, usate il tempo

 


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