di Marco Galetti
Scrivere per piacere consente di poter scegliere dove mettere le gambe sotto il tavolo e, cosa non meno importante, l’argomento del post.
Solitamente uso un trucco, fingo di dover andare ad un ballo, metto una maschera, del mascara e l’editore, impegnato su molti fronti, non mi riconosce, allora gli invio un pezzo di difficile collocazione e subito dopo, invece di un chiarimento, gli mando un barattolo di nebbia sottovuoto, preso da sfinimento, LP pubblica il post e torna al suo posto sotto il sole.
Più difficile, tra tanti, scegliere il locale giusto per una cena di coppia o di compagnia, solitamente mi informo, valuto la distanza, il rischio etilometro sulla strada del ritorno, i prezzi, le variabili tempo, salute, denaro formano un’incognita talmente difficile da risolvere che rende vana ogni programmazione.
I luoghi del cuore meritano un discorso a parte, nei posti dove si sta benissimo in qualche modo si torna, andando ad erodere il portafoglio e la percentuale di tempo libero che col passare degli anni scende, dal cento per cento in età adolescenziale a percentuali talmente tristi che non vale nemmeno la pena segnalare, il tempo da libero diventa impegnato e parla sempre e solo di argomenti che annoiano, poi per fortuna e purtroppo, col passare degli anni il tempo a disposizione risale di percentuale ma, di pari passo, grassi e zuccheri vanno presi a piccole dosi e la libertà di manovra diminuisce, si intinge il pennino per scrivere una piccola storia e intingere il pane nel ragù quasi pronto è solo un ricordo.
A proposito di spazio di manovra, in questo post in libertà, più che mettere a fuoco un piatto precedentemente messo sul fuoco da uno chef di grido, o un locale osannato da un esercito di fufblogger, mi vorrei soffermare su un aspetto importante della ristorazione spesso considerato solo marginalmente, l’accoglienza.
Eppure l’accoglienza è un punto fermo sia per semplici appassionati che per malati del food and wine, chi esce a cena erode i propri risparmi e può diventare crudele più di Erode, se, pur mangiando e bevendo bene, è accolto male.
Esco per diletto, da quando il letto era il diletto principale e ho eroso, molto, ma soprattutto mi sono confrontato con chi condivide questa passione gourmet, nessuno degli interpellati torna in un locale se manca l’accoglienza, il sorriso, la prima forma di accoglienza che possiamo offrire, spesso latita.
Purtroppo se il bagaglio di educazione impartita sta in una ventiquattrore, il Master in accoglienza serve a poco, per questo chi possiede questo talento deve farlo fruttare.
Non compro neppure una verza, un etto di crudo, né una Panda gialla, se le persone non mi convincono, piuttosto spendo di più in termini economici o di tempo, ma preferisco dare a chi mi piace che a chi non mi convince, anche se, a parità di prodotto, potrei risparmiare dallo strafottente di turno.
Le moine, nemmeno se fatte dai monaci dello Iowa, non mi convincono, l’atteggiamento chiuso ma educato al limite del burbero lo accetto, ma non voglio sia superata questa sogliola nemmeno dalla mugnaia infarinata…perché dovrei fare colazione in un posto, se chi me la prepara ha una voglia di fragola sulla guancia ma non ha voglia di servirmela, la colazione, sulla fragola è ancora tutto da vedere.
Perché dovrei far regolare una vite da un ottico che non saluta, meglio da uno che conosce la pianta, così per gli occhiali mi sono rivolto ad un altro ottico, che aveva un visione diversa, un’altra ottica, con me non è certo diventato ricco ma è già il terzo paio che mi vende, me-ditate, sulle lenti nessuna, li pulisce sempre bene.
Siamo disposti a dare una seconda possibilità ad un piccione rosa shocking e ad uno spilungone che ci serve con garbo un vino che sa di tappo, torniamo per riprovare il risotto che è mantecato male, sorvoliamo se le mele non sono annurche, ma, se ci vengono servite con grazia, anche per una forma di educazione non le rimandiamo indietro, maciniamo chilometri per una cena quasi perfetta che spesso e malvolentieri, si conclude con un caffè cattivo, macinato male, eppure se l’accoglienza ci ha accompagnato fino a fine pasto, dimentichiamo il caffè e ordiniamo un distillato, in subordine ne prendiamo un altro al bar di fronte appena usciti.
Quando arriviamo in un ristorante si capisce subito dalle prime note, che sentiamo in sottofondo prima ancora di aver varcato la soglia, che musica dovremo aspettarci, sono le sensazioni di pelle, le più importanti, se avremo usato uno sguardo non superficiale ci serviranno in seguito per capire tutto il resto, come quasi sempre, con le persone, nella vita.
L’accoglienza al ristorante è molto, se manca, la cena è incompleta ed il cerchio non si chiude, ma deve venire spontanea come a casa, altrimenti non accogliamo nessuno e riguardiamoci un film già visto,” Due nel mirino” e sul divano.
Non per niente si dice arte del ricevere, ma forse qualcuno che non ama l’arte ha frainteso anche la parola ricevere, che in effetti ha doppia valenza, a Valenza Po negli anni il clima è cambiato, sono spariti i laboratori orafi e gli artigiani, il fiume è rimasto, non si vedono più le fiamme ossiacetileniche e i fumi, che mischiandosi alla nebbia davano vita ad un paesaggio surreale, è sparita anche la nebbia e adesso cosa gli mando all’editore…
…un acquario, quello della Famiglia Radici, del Ristorante la Sprelunga, a Seveso, la murena è l’unico pesce che non potete ordinare, per il resto c’è da sbizzarrirsi…ieri sera,(la diretta ha ancora il suo valore) per interposto cuoco, che se continua così potrebbe essere rinominato amico, ho ricevuto un lasciapassare per una serata diversa dal solito, ma non per questo meno bella, anzi…sono stato invitato alla Sprelunga, uno dei ristoranti di pesce più conosciuti in Lombardia, pochi amici, nella serata di chiusura del locale aperto solo per noi, il respiro fresco del giardino estivo oltre la vetrata della sala apparecchiata elegantemente…quando, come stavolta, sono ospite, lo dichiaro e cerco di evitare foto e dettagli circa il food and wine, peraltro sopra media…solo una considerazione, raramente succede e quando succede va evidenziato, ho trovato quel che si cerca quando ci si siede a tavola, sorrisi, premure, gentilezze, accoglienza informale ma senza vizi di forma, quel calore lombardo che spesso viene tenuto celato e che quando ritroviamo stupisce e rincuora, certo, sono entrato da privilegiato, ma certe cose le sento dopo un minuto, ho potuto assaporare, insieme al pesce, tramite le parole di Franco e Virginia, la storia di una famiglia, nelle loro parole i ricordi degli inizi, i sacrifici, il testimone preso dai vecchi che, quando sarà il momento, sarà nuovamente ceduto ai giovani, a Stefano, il figlio, già saldamente in cucina, col fuoco dentro e sotto le pentole.
Tutta la famiglia ci ha accolto all’ingresso, ci ha coccolato “durante” e ci ha salutato sulla porta di casa (si fa per dire) e sui titoli di coda di una bella serata senza minimamente accennare a code di stampa o a promozioni di ritorno di blogger compiacenti, sono entrato da amico e così ne esco, semplicemente con un grazie per l’accoglienza
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