di Floriana Barone
C’era una volta un piccolissimo giardino vitato, al centro di Milano, nella Casa degli Atellani. Non un giardino qualsiasi, ma quello di Leonardo Da Vinci, donato da Ludovico il Moro nel 1498: unico bene immobiliare che lo rese, a tutti gli effetti, cittadino di Milano. Un terreno con una vigna di circa 1 ettaro a Porta Vercellina, a pochi metri d’aria dalla sala nella quale l’artista dipinse uno dei suoi capolavori, il Cenacolo. Ma, come nelle migliori favole, questo gioiello fu completamente distrutto in un incendio in seguito al bombardamento inglese del 1943.
Fu Luca Maroni, analista sensoriale, enologo, autore ed editore dell’Annuario dei Migliori Vini Italiani a interessarsi per riportare in vita questo magnifico dono di Ludovico Il Moro e per reimpiantarlo, dopo essere venuto a conoscenza della sua esistenza nel dicembre del 1999, in un fascicolo del Gruppo Italiano Vini che conteneva una raccolta di brani tratti dagli scritti di Leonardo con un titolo significativo, con una particolare riflessione sul vino: “Il vino è bono ma (perciò) l’acqua avanza”.
Nel 2004 Luca Maroni identificò l’ultima parcella superstite del vigneto di Leonardo, salvata dall’estirpazione nel 1920 dal noto architetto milanese Piero Portaluppi, che la inglobò nel giardino della sua Casa degli Atellani, oggi ancora di proprietà dei suoi eredi, la famiglia Castellini. Il reimpianto della vigna di Leonardo avvenne con viti identiche alle originali rinvenute nel 2008 dall’analista sensoriale e dal Gruppo scientifico di lavoro dell’Università di Agraria di Milano diretto dal Professor Attilio Scienza all’interno nell’originaria sede ove la vigna di Leonardo era piantata e dove sono stati ritrovati i resti delle viti native: la Casa degli Atellani in Corso Magenta 65. Gli scavi manuali iniziarono l’ottobre del 2007 e si conclusero nel marzo del 2008: Maroni andò alla ricerca delle radici originarie, al fine di trovare frammenti cellulari ancora vivi per identificare la vite di Leonardo. La missione si concluse con successo con l’estrazione del DNA geneticamente identificabile.
La Fondazione Piero Portaluppi, guidata da Piero Maranghi, figlio di Anna Castellini, garantì i fondi necessari all’identificazione del DNA della vite originale di Leonardo da Vinci e, nel 2014, l’Università di Milano identificò chiaramente la Malvasia di Candia Aromatica. Successivamente, la genetista Serena Imazio comparò il DNA della vite di Leonardo con quello di tutte le Malvasia di Candia coltivate oggi in Italia e selezionò le più importanti aderenze genetiche con un clone della Malvasia di Candia coltivato dal Consorzio di Tutela dei vini Doc dei Colli Piacentini. Le viti sono state reimpiantate nella Casa degli Atellani il 20 marzo 2015 attraverso un progetto architettonico a cura dell’architetto Piero Castellini, con la consulenza agronomica dell’Università stessa. E oggi il vigneto è aperto e visitabile, nel cuore di Milano.
Un lavoro di recupero molto importante per Luca Maroni, culminato con la pubblicazione di due libri: “Milano è la vigna di Leonardo”(2015) e “Leonardo Da Vinci, la vigna ritrovata”(2016). Un percorso che ha evidenziato nuove interessanti prospettive sul territorio nazionale, come la realizzazione del Vigneto d’Italia all’interno dell’Orto Botanico di Roma.
Com’è nato il suo interesse per Leonardo Da Vinci?
Sono stati gli anni di studio al Liceo Classico che mi hanno spinto ad appassionarmi al rapporto di Leonardo con il vino: un rapporto quotidiano, espresso chiaramente nei suoi codici, in cui comparivano molte liste della spesa con il vino in primo piano. Ho letto anche tutti i più importanti libri scritti su Leonardo dai più prestigiosi leonardisti mondiali d’ogni tempo. In questo studio ho colto il vero spirito dell’artista, la sua anima, la sua grande umanità, pura come il vino. Non tutti sanno che Leonardo scrisse moltissimo sul mondo del vino.
Quanto conosceva Leonardo del mondo del vino?
Per l’epoca, Leonardo aveva una buona competenza tecnica sul vino, anche come degustatore. Nei codici citò tre tipi di uva: la “Malvagia”, che considerava un gran vino bianco, la Passerina e il Trebbiano. Scrisse anche una lettera all’enologo, rimproverandolo per la scarsa qualità del vino, di cui Leonardo apprezzava soprattutto il profumo. Leonardo si occupò sempre della sua vigna, citandola nel 1519 anche nel suo testamento.
Il suo ruolo è stato essenziale nel recupero del vigneto di Leonardo. Ha un rapporto speciale che lo lega a quel luogo?
Sì, ogni volta che passo per Milano faccio un salto nel vigneto. Parliamo di un bene immobile di un inestimabile valore, lasciato nell’oblio per tutti questi decenni. Durante la mia prima visita, gli stessi padroni di casa mi accolsero con grande stupore. Credo comunque che chiunque fosse stato al mio posto avrebbe agito allo stesso modo, al fine di restituire a Leonardo quello che era stato di sua proprietà nella città di Milano.
A suo giudizio, questo progetto ha aperto nuovi scenari in Italia?
Certamente: il lavoro sul vigneto ha delineato nuovi possibili recuperi. Il Consiglio di Amministrazione dell’Università di Roma “La Sapienza” ha approvato il progetto sul primo Vigneto d’Italia, che nascerà all’interno dell’Orto Botanico di Roma. I lavori veri e propri inizieranno il prossimo febbraio: parliamo delle più importanti varietà autoctone italiane. 624 mq di vigneto, con 154 varietà differenti: la vite sarà al centro di Roma. Roma diventerà “caput vini”, con la vigna più importante d’Italia e la più bella del mondo, che andrà a rappresentare le più importanti varietà autoctone delle 20 regioni.
La vigna di Leonardo
Corso Magenta 65
20123 Milano
biglietteria: 02.4816150
info@vignadileonardo.com
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