di Sara Marte
Il freddo, in queste idi di Marzo, non ferma la splendida verticale di Camarato che Villa Matilde ci regala. Siamo a Paestum nella suggestiva sala dell’Hotel Mec, incastonati fra le montagne ed il mare che si agita a due passi. Nicoletta Gargiulo, presidente AIS Campania assieme a Maria Sarnataro, vicepresidente AIS Campania e delegato AIS Cilento e Vallo di Diano, delegazione che organizza l’incontro, ci guidano attraverso i bicchieri e la storia di questa imponente e solida realtà avviluppata alla cultura dell’antico territorio dell’Ager Falernus.
Salvatore o meglio Tani e Maria Ida Avallone seguono oggi con passione e dedizione ciò che il padre Francesco Paolo, proprio con un avvinto sguardo verso la storia, creò negli anni sessanta. Grande fu il suo ruolo grazie all’opera di recupero di antichi ceppi scampati alla fillossera in collaborazione con l’Università di Napoli. Un lavoro lungo e appassionato di studi e ricerca che durò 20 anni ma che segnò la rinascita di questo territorio unico.
Il giornalista e coordinatore Campania Slow Wine Luciano Pignataro con l’enologo Riccardo Cotarella, giunto in azienda nel 1996, completano il viaggio attraverso le bottiglie di Camarato. “Vigna Camarato, il vino che visse due volte” ecco il titolo di uno dei primi articoli sul vino del giornalista Luciano Pignataro in cui si sottolineava proprio il lavoro dell’avvocato Francesco Paolo Avallone: la prima vita del falerno fu nei fasti dei romani, poi, grazie al ruolo di Villa Matilde, la sua rinascita. Un vino esclusivo, prodotto solo nelle annate migliori, è il cru aziendale che nasce dalla sola Vigna Camarato. Siamo ai piedi del vulcano spento di Roccamonfina in uno dei vingeti storici di Villa Matilde. La vigna, così come la descrive Maria Ida Avallone, di soli 4 ettari, vive in un benevolo abbraccio tra le montagne che la proteggono come una barriera naturale e l’apertura verso il vicino mare da cui gode dei suoi buoni influssi. Qui, ad un’altezza di circa 150 metri s.l.m. incontriamo terreni di natura vulcanica con presenza di fosforo e potassio. E’ l’aglianico il grande protagonista e, come sottolinea l’enologo Riccardo Cotarella, è l’aglianico che porta con sé lo specifico territorio da cui proviene ad essere protagonista, dunque non l’uva ma tutta la sua provenienza e l’annata nel bicchiere . Emozionato e coinvolgente il percorso che le bottiglie ci offrono.
Annata 2006: Bello il colore rosso granato luminoso e vivace. Il naso si propone subito ricco e intenso con i suoi toni fruttati e floreali. Il primo approccio dunque insiste su sentori di marasca e rose rosse ed ancora sul fondo fanno capolino le spezie dai toni dolci e le erbette mediterranee. Una vena minerale attraversa il palato che si esprime con grande freschezza e sapidità insieme ad un equilibrio invidiabile che da una 2006 di questa portata non ti aspetti. Essenza dicotomica: Da bere e da attendere.
Annata 2005: Del colore domina la vivacità ed il naso, così come il palato, parlano chiaramente dell’annata calda che ha incontrato mantenendo però, come solo i grandi vini sanno fare, un ‘eleganza ed un equilibrio che saranno il filo conduttore di ciascuna bottiglia. Ci troviamo di fronte ad un frutto più avvolgente ed evidenti toni balsamici, il palato è caldo e ricco con un tannino ben presente. Lungo e intenso al palato seppur con un finale più asciutto. Annata complessa, bicchiere interessante.
Annata 2004: All’esame visivo cominciano a comparire lievi sfumature aranciate pur rimanendo luminoso e vivace nel suo intenso granato. Ci troviamo ora di fronte ad un frutto più cupo, profondo e note di fiori questa volta appassiti, goudron. Spiccata la mineralità che completa e avvolge il bicchiere. Bella struttura e trama suadente, al palato ha materia, pienezza e grande corrispondenza con il naso cui si aggiunge un tono tostato. Un gran bicchiere di sostanza ed eleganza.
Annata 2003: Ancora un’annata molto calda. Il bicchiere dona però un naso ancora gagliardo in cui scopriamo, su tutte, le note balsamiche, una buona mineralità ed un tono di polvere di caffè. Note di radice di liquirizia e lievi, sul fondo, le spezie dolci. Tutto è ben integrato per un bicchiere, ancora una volta, complesso e di struttura e nonostante le difficoltà legate all’annata, di buona eleganza e di presenza.
Annata 2001: Qui siamo in una delle annate da sempre riconosciuta tra le migliori. Questa bottiglia è un vero, puro piacere. Ha tutto ciò che ci si aspetta e si auspica da un falerno. Naso ricco, intenso di frutta in confettura, cioccolato al latte, china e pellame. E’ un vino vellutato, morbido, avvolgente ed elegante , con i tannini al punto giusto ed uno scheletro solido e dritto che gli regalano ancora molti anni davanti a sé. Grande equilibrio per un bicchiere completo e raffinato.
Annata 1999: Certo, dopo la 2001 non è facile fare il proprio ingresso eppure questa bottiglia regge il tempo a testa alta e sa inserirsi, senza deludere, nell’infelice posizione. E’ un vino vivo, pieno, che sa esprimersi attraverso la frutta in confettura come la prugna, toni balsamici, erbe aromatiche secche, torrefazione, tostato dolce. Tannino ben levigato e ottima sapidità sono la conclusione per questo bel sorso intenso, solido e polposo.
Le annate, il territorio, il grande mestiere e la dedizione sono le linee guida di un percorso che racconta del “terroir Falerno” nella sua lingua più elegante e completa.
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