di Carmen Autuori
E’ il suo momento di gloria complice il periodo che ci porta in una dimensione altra, quella natalizia. Sì, perché per noi meridionali il Natale a tavola va a braccetto con il baccalà. Lo si ritrova nel presepe napoletano dove non manca mai il venditore di baccalà, le “scelle” stanno in bella mostra sul banco che non è quello del pesce ma tutt’altro. Infatti nella simbologia del pranzo natalizio il baccalà è tra gli alimenti che rappresenta la rottura del Tempo, in quanto, come accade con gli struffoli o con il capitone, va tagliato in pezzi. Il gesto, guardato con occhio propiziatorio, tende a tagliare il male che ha portato con sè l’anno vecchio. Se a questo poi aggiungiamo l’assoluto divieto del consumo di carne nei dodici giorni che precedono il Natale, avremo un ulteriore elemento che ne giustifica l’abbondante consumo proprio in questo periodo.
A dire il vero la storia d’amore tra il popolo campano e questo pesce che viene dai mari del Nord ha origine antiche. Ciò potrebbe sembrare contraddittorio considerato che la nostra regione, con ben trecento chilometri di costa, è tra le più pescose d’Italia. In realtà non lo è in quanto sin dal 1500 si svilupparono i primi traffici marittimi del baccalà dai paesi del nord Europa verso il golfo di Napoli.
Se a ciò aggiungiamo che il XVI secolo fu anche quello della Controriforma e dei suoi “diktat” gastronomici, il più importante dei quali fu proprio il divieto di mangiare carne durante i periodi cosiddetti “di magro”, ecco spiegata la sua costante presenza sulle nostre tavole. Ed allora la miglior alternativa ad essa fu proprio il baccalà, pesce considerato povero e facilmente reperibile, soprattutto per gli abitanti delle zone interne, perché ben si adattava ad essere conservato e trasportato. Tale alternativa prese piede soprattutto a Napoli e nel vesuviano dove, ancora oggi, esiste una capillare e antica cultura gastronomica che vi ruota intorno, a partire dalle osterie fino ad arrivare ai ristoranti stellati. La ragione di ciò è da ricercarsi nel fatto che furono i monaci di Madonna dell’Arco, tra Somma Vesuviana e S. Anastasia, a costruire le prime vasche per l’ammollo del pesce proveniente dal Nord che poi si diffuse in tutto il sud Italia. E’ un dato di fatto che la cucina napoletana ha fatto del baccalà uno dei suoi capisaldi: all’insalata, fritto, con le patate, alla marinara solo per citare le ricette della tradizione. Eppure non se ne trova traccia, a parte qualche sporadico accenno nello Scalco alla Moderna di Antonio Latini, negli antichi manuali di cucina essendo considerato un cibo plebeo e dunque adatto alle classi popolari che ogni giorno dovevano combattere il loro nemico, la fame. Proprio perché ritenuto cibo poco adatto ai raffinati palati delle classi nobili di cui era Maestro di Bocca, Vincenzo Corrado lo ignorò totalmente. Bisogna aspettare l’uscita della Cucina Teorico- pratica di Ippolito Cavalcanti nel 1839 quando, finalmente, il baccalà fa il suo ingresso in un manuale gastronomico di tutto rispetto.
Di nuovo snobbato dalla Guida gastronomica d’Italia del Touring Club, solo nel secondo Dopoguerra con Jeanne Carola Francesconi diventa protagonista di un’intera sezione del manuale che, ancora oggi, è considerato la Bibbia della cucina napoletana. Ma non solo, il baccalà conquista anche le pagine letterarie di Mario Stefanile, Domenico Rea, Eduardo De Filippo e tanti altri.
Sebbene le ricette più conosciute siano quelle napoletane, non mancano versioni originalissime delle zone interne come quelle del Cilento e del Vallo di Diano, in quanto la ricchezza ed il gusto delle verdure autoctone ben si sposano con questo tipo di pesce, ne è esempio il baccalà in tortiera. La ricetta ci è stata donata da una vera e propria sacerdotessa della cucina, Teresa Ormando, di Montesano Sulla Marcellana, paese del Vallo di Diano. Era il suo il cavallo di battaglia immancabile sulla tavola della Vigilia. La scelta meticolosa della migliore qualità in commercio cominciava almeno un mese prima ed era oggetto di veri e propri viaggi fino a Salerno per acquistare un intero pesce, rigorosamente secco, che poi andava tagliato con precisione chirurgica sotto il suo occhio attento, in vari pezzi ognuno dei quali aveva una diversa destinazione d’uso.
C’era quello adatto ad essere fritto, quello per l’insalata e poi la parte più spessa, sua maestà il “mussillo” che richiedeva un’ attenzione particolare sia nella conservazione che nella fase di ammollo. Il pomeriggio della Vigilia donna Teresa procedeva alla sistemazione dei pezzi, bianchissimi tanto da ricordare il marmo di Carrara, in una grande teglia d’alluminio secondo uno schema preciso ed immutabile nel tempo (i più grossi al centro, i più piccoli sui laterali), li contornava con pezzi di patate di montagna tagliati grossi, aggiungeva le papaccelle sott’aceto che conservavano il profumo dell’estate del suo orto e le olive verdi. Ma il segreto del baccalà di donna Teresa era l’olio: doveva essere abbondantissimo perché solo così i preziosi filetti avrebbero mantenuto tutta la loro morbidezza regalando al palato tutto il gusto (e pure le calorie) del Natale.
Tortiera di baccalà
Ingredienti per 4 persone
800 g di filetti di baccalà secco (mussillo)
4 peperoni sottaceto (papaccelle)
20 olive verdi da tavola
2 spicchi d’ aglio
4 grosse patate
Origano
1 grosso ciuffo di prezzemolo
Sale solo se necessario
300 ml di olio evo
Per l’ammollo
Tagliare i filetti di baccalà in 4 pezzi e, senza privarli del sale, metterli a bagno in abbondante acqua in frigorifero. Dopo 24 ore sostituire l’acqua 2 volte al giorno e procedere in questo modo per tre giorni consecutivi
Preparazione
Disporre in una tortiera, meglio se di alluminio i filetti sgocciolati. Contornarli con le patate precedentemente tagliate a pezzi grossi. Aggiungervi i peperoni sottaceto, privati dei semi, gli spicchi d’aglio interi, le olive, il prezzemolo tritato e cospargere il tutto di olio. Infornare a 180 gradi per circa 40 minuti o fino a quando le patate siano cotte. Se è il caso aggiungere un pizzico di sale solo sulle patate. Servire il piatto caldissimo.
Dai un'occhiata anche a:
- La Befana e “o’ bror’ e purpo”
- Le Taratelle di Valva
- La mia Charlotte alle ciliegie
- Pan di Spagna, crema e zucchero fondente: il ritorno della torta nuziale autentica
- Torta all’arancia e cioccolato
- Non chiamatelo Tiramisù
- A Quaglietta i ravioli allo zenzifero
- La torta di pane (e qualche consiglio anti spreco)