di Andrea Petrini
L’origine della vitivinicoltura nei Castelli Romani si perde in epoche lontane fino a confondersi con la mitologia. Le leggende nate sulla vite e sul vino sono, infatti, numerose e hanno sempre come protagonista un Dio che dona la preziosa piantina all’uomo. Saturno, scacciato dall’Olimpo dal padre Giove, si rifugia nel Lazio e più propriamente nei Castelli dove insegna la coltivazione della vite a Giano (di qui il nome Enotrio).
I Romani svilupparono velocemente la coltivazione della vite tanto che ai tempi della Prima Repubblica il vino prodotto localmente non copriva più le richieste, e nel 200 a.C., iniziarono le importazioni e gli impianti di altri vitigni fino a quando, nell’81 a.C., Domiziano proibì di impiantare nuovi vigneti, per paura che la loro sovrabbondanza causasse una riduzione di coltivazione del grano. Cicerone aveva una Villa a Tuscolo e Catone nel 200 d.C. scriveva “ […] della vite mi piace non soltanto la sua utilità, … ma anche la coltivazione e la natura stessa”. La condizione della viticoltura nel Lazio mantenne un alto livello di ricchezza fino al primo secolo dell’Impero.
Con la decadenza dell’Impero Romano le Ville patrizie dei Castelli vennero in parte abbandonate, e con esse la viticoltura subì una riduzione, che rimase concentrata soprattutto nei Monasteri nelle Abbazie, cosicché l’agro tuscolano arrivò intorno all’anno Mille con ancora una buona parte di terreni coltivati a vigneto e, verso il 1300, buona parte della viticoltura era sotto la protezione dei religiosi per la produzione di vino da messa e per preparazioni medicinali.
Gli Statuti concessi alla città di Frascati da Marcantonio Colonna, Signore e Vicario di Papa Giulio II della Rovere, datati 1515, stabilivano, in alcuni importantissimi articoli, le zone da destinare a vigneto, le modalità per determinare l’epoca della vendemmia e regolavano il commercio del vino: precisamente detta l’art. 96: “che il vino delli forestieri si venda a ellezione dei soprastanti” (quindi un Consorzio di Difesa e Tutela ante litteram) e “Statuimo et ordiniamo che qualunque del detto castello, ovvero altri che venda vino, che lo portassi fori d’esso castello, a vendere in esso, che sia vino latino, non sia lecito a nessuno venderlo più di quello che gli sarà imposto dagli soprastanti, et chi contraffarà paghi pena di soldi vinti per qualunque volta et per qualunque misura”. Sante Lacerio, bottigliere di Papa Paolo III (1534-1549), in una lettera sulla qualità dei vini in circolazione afferma che il vino migliore si produce a suo giudizio a Frascati, Marino e a Grottaferrata.
La nuova concezione filosofica del Rinascimento, che riportava l’uomo e la sua vita secolare al centro dell’attenzione, diede nuovo impulso alla ricerca e alla valorizzazione dei beni terreni. Desiderosi di beneficiare del clima salutare del Tuscolano, Papi, cortigiani ed esponenti delle ricche famiglie romane ricostruirono Ville e Palazzi abbandonati, e, con loro, anche le attività nei campi ripresero nuova vita. Le Vie che collegavano Frascati e Grottaferrata a Roma furono ripristinate e se ne costruirono di nuove. Il vino Frascati divenne protagonista della storia della Roma papalina e ne influenzò usi, costumi, economia. Le oltre mille Osterie del territorio, che affascinavano gli osti romani, i nobili e i visitatori di passaggio, erano quasi tutte proprietà dei produttori di vino, e, intorno ad esse, nacquero riti e costumi che sono arrivati fino al secolo scorso.
Il XIX secolo vide una trasformazione del tessuto sociale del territorio di Frascati, che, impegnato nella coltivazione della vite, dove ormai la produzione di vino era diventata l’economia trainante, richiedeva una maggiore mano d’opera nei campi. Nacquero società per la commercializzazione di quel vino laziale che, commentato da tutti i cultori della vitivinicoltura, eccelleva in bontà, robustezza e gradazione alcolica, gradevolezza e dolcezza: Giuseppe Marrocco (1835) parlando degli abitanti di Monte Porzio Catone diceva che “la maggiore utilità l’hanno sul commercio del vino”; che a Grottaferrata “i vini sono eccellenti”; e del territorio di Frascati sentenziava “il terreno è feracissimo …produce eccellenti vini”. Il Coppi, nel Discorso agrario del 1865, letto nell’Accademia tiberina il dì 15 gennaio 1866, riporta che Fabio Cavalletti nel suo podere di Grottaferrata (tuttora esistente) adottò un nuovo sistema di coltivare la vite e che il vino è di qualità eccellente.
Il successo del vino Frascati, nei decenni successivi, non poteva non portare ad una diffusione indiscriminata e disordinata del nome, tanto che fu decisa la costituzione di una regolamentazione a sua difesa. Il Consorzio di controllo fu costituito a Frascati il 23 Maggio 1949 su iniziativa di 18 produttori, nella sede di allora della Sezione Coltivatori Diretti.
Il gruppo così composto si nominò “Consorzio per la difesa di vini pregiati e tipici di Frascati”. Stabilita l’area all’interno della quale i vini prodotti potevano fregiarsi del marchio Frascati, il Consorzio aveva il compito di tutelarne il nome in Italia e all’estero.
Nel corso degli anni e di precise disposizioni di legge, il Consorzio ha modificato la propria denominazione prima in “Consorzio Tutela Denominazione Frascati” e poi nell’attuale “Consorzio Tutela Denominazioni Vini Frascati”, a seguito dell’ottenimento della DOCG nel 2011 da parte del Frascati Superiore e del Cannellino di Frascati, prima di allora tipologie comprese nella Denominazione di Origine Controllata Frascati, Doc istituita nel 1966, tra le prime quattro in Italia.
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