di Giancarlo Maffi
Delitto di lesa maestà, martedì. Piombiamo nel feudo di Fabrizio Scarpato, addirittura a meno di un solo km da casa sua. Impossibile avvertirlo. Il poeta del pesto possiede un telefonino ma non lo usa. La decisione è presa a ore 11. Impossibile trovarlo a casa e non ha mai fornito un numero per le emergenze.
Mi avrebbe fatto piacere averlo al tavolo. Un po’ meno a Jessica che avrebbe dovuto combattere per l’esclusiva di quella fantastica bottiglia di Schiacchetrà che Claudio Mazzoni, il patron del Posta, si troverà costretto a permetterne l’asporto, non tanto perché fulminato dagli occhioni lucidi della donzella, quanto per una forma di innata cortesia.
La Spezia, onestamente, non è una bella città. In centro alcuni bei palazzi. Vicinissimo alla piazza centrale, in una piccola via, si trova il Posta, un ristorante che mi pare possa essere l’unico a regalare emozione. Il parcheggio non è mai stato un problema per me. Un giro della piazza e vualà, nonostante il classico scetticismo femminile.
Voli pindarici e contemporaneità banditi. Rispetto della materia prima negli antipasti, giuste e millimetriche cotture nei piatti importanti. In sintesi è quello che troverete, senza sorprese negative, di questi tempi sempre possibili. Il patron si palesa solo dopo una decina di minuti di osservazione da lontano. Deve mettere a fuoco uno che non conosce, armato di taccuino e macchina fotografica, con accento non locale. Non fa una piega alla mia richiesta di fare qualche foto. Mi guida dolcemente sulla china di un gran crudo, in porzione e gusto fantagruelico. Avevo scelto un altro antipasto. Mi fa capire che non è cosa o,più semplicemente, ci tiene a farmi assaggiare tutta l’offerta del mercato.
Per scaldare i muscoli facciali arriva una VELLUTATA DI ZUCCA CON GAMBERO VIOLA E PECORINO, con la quale inizia un percorso direi calligraficamente scolastico, pero’ modello miglior liceo della città, direi liceo classico.
E allora sia: una festa di tartare di branzino, scampi e gamberi bianchi e i miei amati testa viola e notevoli triglie. Alleggerirei soltanto la dosatura di olio e ammennicoli vari. Jessica, a cui prima o poi faremo passare anche il terrore del crudo, evidentemente procuratole da qualche ristoratore assassino, più confortevolmente si adagia su scampi al vapore, che paiono perfetti pure essi ,nella loro assoluta semplice materialità.
Avevo chiesto un bianco del grande Walter De Battè. Mi va buca ma Claudio recupera ottimamente con un CINQUE TERRE biodinamico di bella potenza, del’azienda agricola Possa, di proprietà di Samuele Bonanini, di cui ci parlò qui il nostro “corrispondente” spezzino.
Tento una sortita, siamo in Liguria e non nella quasi nulla toscana risottiera, appunto con un classico che più classico non si può, RISOTTO ALL’ASTICE. La donzella mi segue: riso per due e non se ne parli più. Se avete la vista buona noterete un paio di errori di esecuzione. Ne parlo con la cheffa Alessandra, moglie di Claudio, e pare che il riso usato, Carnaroli Gallo, tanto per non fare nomi, non dia più garanzie di tenuta in cottura. Mi sono permesso di dare alcuni nomi di pregiate aziende. Tra l’altro anche l’eccesso di zafferano non ha aiutato.
Di gaudente e solida felicità, nota di grande merito, il “fuori i secondi.”
Affatto per nulla modernista, e nemmeno Selectzionato, il mezzo PICCIONE FARCITO CON UVA GLASSATA ALLA MALVASIA DELLE LIPARI. … La farcitura di frizzi e frattaglie attanaglia il palato con bella virilità. Si va all’attacco con le mani,che diamine.
L’altra metà del cielo si staglia anch’essa netta ma con bella morbidezza:LOMBATINA DI VITELLO AL FORNO RIPIENA DI FOIE GRAS E MELE AL SAUTERNES.
Mi pare di essere sbatacchiato fra le confortevoli cucine delle nonne, con quel sughetto tirato, una specie di biberon ancestrale, quasi il sollievo di aver ritrovato… casa!
È veramente bello rifugiarsi qualche volta in queste esecuzioni che hanno eleganza da ristorante ma sapore di trattoria, quella vera, quella di una volta dove vigeva il rispetto massimo del prodotto, non solo quello del cliente. Non i locali spesso senza nerbo di oggi, spesso costruiti su cuochetti cicisbei che fanno il verso alla contemporaneità. O è bianco o è nero, ragazzi: se pensate di diventare Bottura insistete pure con il trans agonistico da preparazioni lungo facenti e magnifiche geniali astrusità assortite. Ripeto, se pensate di essere Bottura, Scabin o Crippa, anche con quei substrati culturali, se permettete. Altrimenti venite a imparare la cucina vera, in luoghi come questi, ovviamente risotto a parte .
Eseguitela con la precisione che qui ha contraddistinto il pasto. Poi potrete scrivere “ristorante xy” sui vostri biglietti da visita.
Perfetto anche il trancio di branzino, di impeccabile cottura e magnifica materia. Mazzoni mi spiega che lui non tollera pesci piccoli, là dove possibile. Spigole e orate di pesi mai inferiori ai tre chilozzi. Di sotto ha paura che siano fuggite dagli allevamenti vicini. Benedett’uomo!!
Adami chiude con il rush finale nel quale riprende il passo d’assalto iniziale: CREMA IMPERIALE SCREZIATA CON CIOCCOLATO FONDENTE E CIALDE DI MONTECATINI, anch’essa terribilmente consolante nella sua eclatante classicità. E conquista la signorina con il fantastico Sciacchetrà di cui sopra. A mezzo pasto mi aveva pure fatto il grande dono di un ottimo bicchiere di Barolo. VOTO 14,5/20
Veramente gentile Caudio, che dà un bel colpo al luogo comune del ligure con braccino corto.
ANTIPASTI E PRIMI PIATTI FRA 15 E 18 EURO, PIATTI PRINCIPALI FRA I 23 E I 28 DELLO SPLENDIDO CRUDO
DOLCI, BEN 8 IN CARTA, A 8 EURO CIASCUNO.
Ristorante La Posta di Claudio Mazzoni
Via Don Minzoni 24
Tel: 0187 760437
www.lapostadiclaudio.com
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