Servizio e foto di Francesca Marino
Vendemmiare alla Sibilla: domenica 27 Settembre, ore 9. Siamo nei Campi Flegrei, una lingua di terra in mezzo al mare, tra monte di Procida e lago Fusaro. Tra crateri e colline, in un territorio di pescatori, si trovano le cantine della famiglia Di Meo, piccola azienda vitivinicola a conduzione familiare molto amata dagli appassionati, in cui nonni, padri, figli e “abitanti pelosi” sembrano attori protagonisti di scene bucoliche senza tempo, fatte di semplicità, amore per la natura e passione per il lavoro, quello vero.
Da un punto di vista pedoclimatico, i terreni de La Sibilla sono vulcanici di attività recente, di colore chiaro grazie alla presenza di zolfo oltre che di lapilli e ceneri; questo ha favorito la coltivazione della vite su piedefranco. La particolarità, al di là della componente salina dovuta alla vicinanza al mare, è che a circa 20 metri di profondità si trova la falda acquifera termale salata, ad una temperatura di 65 gradi. Il sale proveniente dal mare, dalle acque termali e dalla pioggia, andando a finire nel terreno, comporta un costante e veloce movimento di microelementi. Tutto ciò concorre alla produzione di un vino unico dal carattere particolarmente salato e minerale.
La lavorazione delle viti, fatta solo a mano, impegna tutta la famiglia, nessuno escluso. La visita dell’azienda comincia in compagnia di Luigi che, dopo averci mostrato le varietà di bianco e rosso tra ceste con le annate di marsiliano a riposo e scatole con le annate correnti di falanghina e piedirosso, ci lascia in compagnia del figlio Vincenzo, giovanissimo enologo, produttore ed appassionato, che ci condurrà a passeggio per i 9 ettari e più di vigna, che danno vita a circa 700 ettolitri per anno con una produzione di 70000 bottiglie, 20000 delle quali dirette in America. Ci spiega che, nonostante il piedirosso sia un vitigno difficile da coltivare in quanto poco produttivo, su 9 ettari, La Sibilla, arriva a produrne quasi la metà. E oltre ai due base, ci sono Cruna deLago, Vigna madre e sperimentazioni che prevedono una macerazione di cinque, sei mesi sulle bucce, come il Domus Giulii, un vino in cui si lavora il più possibile sulla struttura e sulla complessità più che sulla freschezza, ed il Marsiliano che è un brand di uve di marsigliese, olivella e piedirosso. Poi c’è il passito, la cui produzione viene fatta solo nelle annate migliori.
Bene, non voglio perdere il filo del racconto, una passeggiata in un’area naturalistica ed archeologica, in compagnia di Vincenzo, che ci conduce nella cantina vecchia in un’ antica vasca pluviale romana. Sembrava di trovarsi quasi in un film fantastico ed eccoci in gruppo, gli uni vicini agli altri, in un posto permeato ed invaso da odori antichi, tanto buio ed umido quanto pieno di fascino: botti in legno, bottiglie sistemate le une sulle altre, luci soffuse e soprattutto luogo in cui, cinque generazioni fa, ebbe inizio il lavoro delle vigne della famiglia Di Meo. La cantina vecchia, dove oggi avviene l’affinamento del Marsiliano, è la memoria storica della produzione de La Sibilla dalla fine degli anni ’90 ad oggi, ed è luogo, quindi, in cui vengono conservate con cura tutte le bottiglie delle annate precedenti con cui poter provare, a chiunque ne facesse richiesta, la costanza di stile e qualità dei vini negli anni.
“Non siamo biologici, non siamo biodinamici, ma siamo etici”, risponde Vincenzo ad una domanda di un componente del gruppo. E’ vero, a la Sibilla si respira innanzitutto aria di rispetto della tradizione, che vuol dire rispetto per i caratteri di bevibilità ed abbinabilità dei vini caratteristici del territorio flegreo, ma anche importanza della selezione, con cui si intende il rispetto delle aree del vitigno selezionate dai nonni in cui, oltre ad una elevata qualità del prodotto ottenuto, c’è anche costanza della qualità. E soprattutto continua ricerca nel tentativo di produrre vini da lunghissimo invecchiamento e che riescano quindi a “sfidare” il tempo.
Alla fine della passeggiata con il padre ed il figlio, conosciamo anche il nonno, Vincenzo, uomo con la saggezza di un anziano e l’allegria di un giovinetto, un personaggio unico che ci racconta uno spaccato della sua storia di vita: “A 17 anni, sò partito su di un ciuccio da Bacoli alla volta di Atripalda, per comprare i giunchi per legare le viti ed un pò di grano per affrontare i periodi di fame nera del ’43”. E dal ’43 ad oggi è stata scritta tanta storia sul libro della famiglia Di Meo ed è stata percorsa tanta strada che addirittura, oggi, li conduce alla vendita dei prodotti oltroceano.
A questo punto della passeggiata, con il nonno, il padre ed il figlio ha inizio il momento più suggestivo, la vendemmia, che da sempre è un evento che riunisce non solo i membri della famiglia ma anche contadini dei casolari vicini ed amici appassionati. Tutti uniti a manifestare sostegno, solidarietà e amicizia. C’è chi chiacchiera, chi pesta l’uva con i piedi, chi cucina, bimbi che giocano: scene bucoliche che purtroppo i più conoscono soltanto attraverso i film e che esistono ancora soltanto nei ricordi degli anziani. Noi oggi, grazie all’ospitalità ricevuta, abbiamo potuto festeggiare l’arrivo dell’autunno con il rito della vendemmia tagliando grappoli d’uva, armati di cesoie e ceste di vimini.
Dopo la raccolta, ci sediamo tutti intorno ad un tavolo in legno imbandito per un ristoro che di li a poco ci sarebbe stato offerto. Sarà difficile dimenticare il “pranzetto” di mamma Restituta fatto di piatti della tradizione a base dei prodotti dell’orto e reso ancor più speciale dalle canzoni intonate da nonno Vincenzo.
Sono le ore 18, la giornata volge al termine ed il rientro in città mi attende, un po’ stanca fisicamente ma soddisfatta di tutto ciò che ho imparato e di tutto l’amore che ho respirato in questa tersa giornata autunnale.
Grazie a tutta la famiglia Di Meo, di sicuro, l’anno prossimo tornerò.
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